Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3453 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. III, 11/02/2011, (ud. 14/01/2011, dep. 11/02/2011), n.3453

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5045/2006 proposto da:

PHILIA FONDAZIONE ANGELO PICCIOLI O.N.L.U.S. (OMISSIS), in

persona del suo Presidente e legale rappresentante p.t. Sig.

P.F.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

COLA DI RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato NARDONE LORENZO,

rappresentata e difesa dall’avvocato LA SPINA Giuseppe giusta delega

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.E. (OMISSIS);

– intimato –

sul ricorso 9149/2006 proposto da:

S.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MORDINI

14, presso lo studio dell’avvocato PETRILLO GIOVANNI, rappresentato e

difeso dall’avvocato BELLINGACCI MARCO giusta delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

PHILIA FONDAZIONE ANGELO PICCIOLI O.N.L.U.S., in persona del suo

Presidente e legale rappresentante p.t. Sig. P.F.

C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 92,

presso lo studio dell’avvocato NARDONE LORENZO, rappresentata e

difesa dall’avvocato LA SPINA GIUSEPPE giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 351/2005 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

SEZIONE SPECIALIZZ. AGRARIA, emessa il 28/09/2005, depositata il

26/10/2005 R.G.N. 269/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE LA SPINA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso con il rigetto del ricorso principale

e l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 10 novembre 2003 la Philia Fondazione Angelo Piccioli ONLUS, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Spoleto, sezione specializzata agraria, S.E. chiedendone la condanna al rilascio immediato di alcuni terreni di sua proprietà, previo accertamento che questi, già concessi in affitto al convenuto per la coltura del tabacco con contratti di durata inferiore all’anno e, quindi, soggetti alla disciplina di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 56, erano detenuti senza titolo.

Costituitosi in giudizio nel corso della prima udienza il S. ha resistito alla avversa domanda, facendo presente di condurre ininterrottamente dal 1982, o, al più, dal 1984 i terreni in questione e negando che la coltura praticata potesse definirsi stagionale o intercalare.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adita sezione ha rigettato la domanda attrice.

Gravata tale pronunzia dalla soccombente Philia Fondazione Angelo Piccioli ONLUS la Corte di appello di Perugia, sezione specializzata agraria, con sentenza 28 settembre – 26 ottobre 2005 ha rigettato il gravame.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, affidato a un unico complesso motivo, la Philia Fondazione Angelo Piccioli ONLUS, con atto 6 febbraio 2006.

Resiste, con controricorso e ricorso incidentale S.E..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. Il primo giudice – sotto il profilo di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46 – ha ritenuto inammissibile la richiesta di condanna del convenuto al rilascio del fondo per cui è controversia sul presupposto della mancanza di un valido titolo per il protrarsi della detenzione in quanto non preceduta del prescritto tentativo di conciliazione, essendo quello esperito limitato – a parere del tribunale – alla richiesta di rilascio sul presupposto della operatività della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 56.

Diversamente, i giudici di secondo grado – in accoglimento del primo motivo dell’appello della Philia Fondazione Angelo Piccioli ONLUS – hanno ritenuto che la richiesta di condanna al rilascio dei terreni rappresenta una conseguenza necessaria della invocata inapplicabilità della L. n. 203 del 1982, art. 56.

3. Con il proprio ricorso incidentale che per considerazioni d’ordine logico deve essere esaminato con precedenza, rispetto al ricorso principale, il S. censura nella parte de qua la sentenza impugnata lamentando inammissibilità della domanda di rilascio dei fondi perchè detenuti sine titulo in assenza di tentativo di conciliazione; violazione della L. n. 203 del 1982, art. 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

4. Il motivo – per alcuni versi inammissibile, per altri manifestamente infondato – non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

4.1. Interpretando la richiesta di tentativo di conciliazione – anteriore all’inizio del giudizio – formulata dalla Philia Fondazione Angelo Piccioli ONLUS, i giudici di appello sono pervenuti alla ora contestata conclusione che secondo la tesi dell’appellante, la mancanza di un titolo per la detenzione deriva proprio dal fatto che, essendo i contratti riconducibili alla previsione della L. n. 203 del 1982, art. 56 e perciò sottratti alla disciplina vincolistica, scaduto l’ultimo dei contratti intercorsi è venuto meno in capo al S. qualsiasi titolo idoneo a legittimare il protrarsi della detenzione dei terreni.

Pacifico quanto precede è palese che allorchè il ricorrente incidentale invoca che la domanda attrice come spiegata in sede di tentativo di conciliazione e, poi, in sede giudiziaria era unicamente volta a stabilire se il titolo negoziale esistente fosse cessato è palese che lo stesso censura non tanto l’applicazione che i giudici del merito hanno dato della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46 (come si lamenta in ricorso) quanto l’interpretazione della domanda di tentativo di conciliazione e del ricorso introduttivo del giudizio) di primo grado, data dai giudici di secondo, con conseguente inammissibilità del motivo del ricorso incidentale.

Sotto due, concorrenti, profili:

– in primis in quanto, data la tassatività dei motivi del ricorso per cassazione, la censura doveva essere sviluppata sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cioè quale vizio della motivazione e non sotto quella di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e, in particolare, quale violazione di legge (cfr. Cass. 3 luglio 2008, n. 18202);

– in secondo luogo, il motivo è inammissibile perchè – in ispregio del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, e di cui all’art. 366 c.p.c. – non sono stati trascritti, nel ricorso incidentale, nè il testo della richiesta di tentativo di conciliazione, nè il ricorso introduttivo in primo grado, almeno nei loro punti salienti, a parere del ricorrente malamente interpretato dai giudici del merito, con conseguente inammissibilità della censura (cfr. Cass. 13 giugno 2007, n. 13845; Cass. 18 aprile 2007, n. 9245; Cass. 9 gennaio 2006, n. 79, tra le tantissime).

4. 2. Anche a prescindere dai rilievi che precedono l’assunto fatto proprio dal ricorrente incidentale è manifestamente infondato, almeno sotto due, concorrenti, profili:

– da un lato l’assunto stesso non considera che invocando parte concedente che il rapporto inter partes era sorto come contratto della L. 3 maggio 1982, n. 203, ex art. 56 e che questo era cessato, ciò non può che significare che la fondazione Angelo Piccioli chiedeva il rilascio del terreno perchè successivamente alla cessazione dell’ultimo contratto – non soggetto, quanto alla durata e alla rinnovazione tacita, alla disciplina di cui alla legge n. 203 del 1982 – il S. era nel godimento del fondo senza titolo (sì che era sufficiente che il tentativo di conciliazione si svolgesse in margine all’accertamento dei pregressi contratti quali contratti della L. n. 203 del 1982, ex art. 56);

– in secondo luogo il motivo sviluppato dal ricorrente incidentale prescinde totalmente da quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza al momento consolidata di questa Corte regolatrice, costante nell’ affermare che non sono soggette al tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, nè le controversie aventi ad oggetto i contratti di affitto a conduttore non coltivatore diretto di cui all’art. 22 della stessa legge – che si qualificano tali sulla base del loro oggetto e delle qualità “soggettive” del conduttore, senza che rilevino quelle della parte concedente (che, quindi, può rivestire la qualità di coltivatore diretto, senza che perciò muti la natura del contratto) – nè la domanda con la quale l’attore chieda il rilascio di un fondo sostenendo che lo stesso è detenuto dal convenuto senza titolo (in termini, ad esempio, Cass. 14 dicembre 2007, n. 26299; Cass. 4 novembre 2005, n. 21389; Cass. 24 giugno 2003, n. 10017; Cass. 6 giugno 2003, n. 9060, tra le tantissime).

5. Sostenendo l’appellante che il S., non essendosi costituito in giudizio tempestivamente, ma solo alla prima udienza, era decaduto dalla facoltà di eccepire eccezioni in senso proprio e, per l’effetto, il tribunale non avrebbe potuto d’ufficio ricondurre il rapporto a un ordinario contratto di affitto, i giudici di secondo grado hanno ritenuto la infondatezza di una tale censura, atteso che il primo giudice, rigettata la domanda attrice – quanto alla invocata riconducibilità del rapporto inter partes nella previsione di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 56 – ne ha tratto tutte le necessarie conseguenze giuridiche, in conformità del potere dovere di decidere sull’oggetto della domanda, così come prospettato dallo stesso ricorrente.

6. Quanto al merito la Corte di appello – accertata la qualifica, in capo al S., di coltivatore diretto, atteso che nei contratti scritti intervenuti tra le parti non si precisa mai, come pure sarebbe stato indispensabile, L. n. 606 del 1966, ex art. 3, che trattavasi di affitto a conduttore non coltivatore diretto – hanno ritenuto che mentre le concessioni, fra le quali rientrano i contratti di affitto, per coltivazioni intercalari possono essere stipulate per una durata inferiore a quella prevista dalla legge, essendo sottratte espressamente alle sue disposizioni le coltivazioni, e dunque i contratti di affitto, per coltivazioni stagionali ma non intercalari non possono esserlo, dal momento che stante la lettera della legge sono soltanto i contratti di compartecipazione limitata a singole coltivazioni stagionali ad essere sottratti alle disposizioni della L. n. 203.

Hanno ancora osservato i giudici di secondo grado:

– è pacifico che nel caso in esame non sia stato posto in essere un contratto di compartecipazione (non essendo le parti in alcun modo associate per conseguire un determinato risultato nè avendo condiviso in alcun modo il rischio insito nella gestione dell’impresa): si tratta di stabilire se il rapporto intercorso possa essere ricondotto nell’unica ipotesi di contratto di affitto sottratto alle disposizioni di legge: il contratto di affitto per coltivazioni intercalari;

– alla luce della giurisprudenza di legittimità in argomento sono coltivazioni intercalari solo quelle caratterizzate dal loro svolgersi, oltre che in un rapido ciclo vegetativo con carattere di precarietà e di breve durata, nell’intervallo di tempo fra due periodi colturali considerati principale per importanza e impegno della fertilità del terreno: nella specie la lunga durata della concessione prevista nei contratti scritti prodotti, il fatto pacifico della ininterrotta disponibilità del terreno per l’intera annata agraria 1985-86 e 1986-87, la natura della coltura, tale da impegnare in modo prevalente la fertilità del terreno, il fatto non provato e neanche allegato di una utilizzazione effettiva dei terreni da parte del proprietario nei mesi restanti e, addirittura la mancanza di prova circa la ripresa della disponibilità materiale dei terreni in tali mesi, inducono nel loro insieme a escludere la possibilità di qualificare la coltivazione posta in essere come intercalare (e, quindi, a ricondurre il rapporto alla previsione della L. n. 203 del 1982, art. 56).

7. La ricorrente principale censura la sentenza sopra riassunta con un unico complesso motivo con il quale denunzia violazione della L. n. 203 del 1982, art. 56, degli artt. 112 e 416 c.p.c., degli artt. 1372, 1362 e segg., art. 2697 c.c. della L. n. 203 del 1982, art. 6, dell’art. 1414 c.c., e segg., violazione della L. n. 203 del 1982, in punto di disciplina dei rapporti agrari e di proroga legale, il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3) 4) e 5).

Per quanto è dato comprendere dalla non chiara – e in più punti anzi decisamente oscura nonchè inutilmente ripetitiva degli stessi concetti – esposizione delle argomentazioni che a norma dell’art. 366 c.p.c., devono illustrare ogni singolo motivo di ricorso, la sentenza viene impugnata dalla ricorrente principale perchè:

– ha malamente interpretato i contratti inter partes omettendo di qualificarli intercalari, prescindendo dagli insegnamenti di questa Corte (e così incorrendo, almeno giusta l’assunto della ricorrente principale, nella violazione di legge denunziata e, in particolare, nella violazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 56);

– ha rilevato d’ufficio e non su istanza di controparte che per l’annata agraria 1986-87 il contratto aveva durata annuale, omettendo, altresì, di considerare che la previsione era del tutto eccezionale e limitatamente a quell’annata;

– ha trascurato di fare applicazione dell’accordo collettivo della provincia di Perugia del 18 dicembre 1997, che espressamente afferma che la coltura del tabacco può essere considerata coltura stagionale;

– la corte del merito ha espresso un ragionamento giuridico incongruo, con riguardo ai contratti e alla volontà ivi espressa dalle parti che deponeva e depone per la sussistenza di una coltura intercalare, tale essendo stata da loro considerata la coltura del tabacco;

– erroneamente la sentenza ha affermato esistere un rapporto di dipendenza tra la domanda di rilascio fondata sulla applicabilità della L. n. 203 del 1982, art. 56 e quella di rilascio senza titolo alcuno, titolo non dedotto e non dimostrato dalla controparte;

– vi è stata ultra e extra petizione da parte del giudice del merito e quindi violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto anche in ipotesi di non applicabilità della L. n. 203 del 1982, art. 56, la corte nel rigettare la domanda non avrebbe potuto disporre che il S. potesse rimanere nei terreni in ragione del regime vincolistico, perchè il S. era decaduto anche dal potere di proporre eccezioni in senso proprio tale essendo quella di far valere l’esistenza di un titolo sottoposto a regime vincolistico;

– sussiste violazione dell’art. 112 c.p.c. anche nella riconosciuta qualifica al S., di coltivatore diretto.

8. Il riassunto motivo – per più profili inammissibile e per altri manifestamente infondato – non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

8.1. L’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione .

Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici – contemporaneamente – non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di in-terpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonchè, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire.

La denuncia del vizio di motivazione – infine – deve essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (in termini, ad esempio, Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178, ma sempre nello stesso senso, Cass. 3 settembre 2010, n. 19044; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 7 marzo 2007, n. 5273).

Pacifici i principi di diritto che precedono è palese la inammissibilità della censura, nella parte in cui denunzia violazione della L. n. 203 del 1982, art. 56, sotto il profilo della erronea interpretazione data dai giudici del merito ai contratti inter partes atteso – a tacer da altri profili di inammissibilità – che la deduzione prescinde totalmente dai principi sopra indicati e in violazione del principio dell’ autosufficienza del ricorso per cassazione, non sono neppure trascritti, in ricorso, i contratti (o almeno le clausole di questo) che si assumono erroneamente interpretati.

8.2. Come assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (da cui totalmente prescinde la difesa del ricorrente) tutte le ragioni che possono condurre al rigetto della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza, o per la successiva caducazione del diritto con essa fatto valere, possono essere rilevate anche d’ufficio, in base alle risultanze rite et recte acquisite al processo, nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali (cfr. Cass. 15 maggio 2007, n. 11108).

Assumendo nella specie la odierna ricorrente di avere stipulato con il S. unicamente contratti aventi durata inferiore all’anno e risultando – per contro – dalla documentazione acquisita che, come ammette la stessa parte ricorrente almeno per un anno era stata prevista una durata del contratto pari a un anno è palese che correttamente i giudici del merito hanno ritenuto non dimostrati, da parte della attrice, i fatti costitutivi su cui basava la domanda proposta.

8.3. Pacifico che nella specie il rapporto ha avuto inizio nel 1984 è palese la non applicabilità alla fattispecie del dell’accordo collettivo della provincia di Perugia del 18 dicembre 1997.

Nella specie, comunque, i giudici sono pervenuti alla conclusione ora criticata sulla base dei contratti intervenuti tra le parti e non risulta in alcun modo che le parti stesse abbiano inteso fare riferimento al detto accordo collettivo.

8.4. Assumendo la parte ora ricorrente che il S. aveva ottenuto la detenzione del fondo per cui è controversia in forza di contratti della L. 3 maggio 1982, n. 203, ex art. 56, ed avendo accertato – per contro – i giudici del merito che, in realtà, i contratti stipulati non rientravano nello schema di cui alla citata disposizione ma in quello di cui agli artt. 1 e ss. della stessa legge è palese che correttamente i giudici del merito hanno rigettato ogni domanda attrice, non potendo la detenzione del S. – alla luce delle stesse argomentazioni difensive della parte attrice la quale ha sempre ammesso l’esistenza di una serie di contratti, qualificarsi senza titolo, senza che rilevi che al riguardo nessuna prova ha offerto il conduttore (cfr. Cass. 19 gennaio 2010, n. 739) e non essendo stato chiesto, da alcuna delle parti, neppure in via subordinata, l’accertamento della data di cessazione del rapporto della L. n. 203 del 1982, ex art. 1, comma 2).

8.5. Recita la L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 40, comma 1, sono abrogate le disposizioni di legge che prevedono la proroga dei contratti agrari o che disciplinano le eccezioni alla stessa.

Pacifico quanto precede e non controverso che i giudici del merito non hanno mai affermato nè esplicitamente, nè implicitamente, che il rapporto inter partes è soggetto a regime vincolistico è palese la inammissibilità delle censure sviluppate al riguardo dalla parte ricorrente allorchè denunzia che i giudici avrebbero sottoposto il rapporto per cui è controversia a regime vincolistico.

Come evidenziato sopra, essendo rimasto accertato che il S. e la parte ora ricorrente non hanno posto in essere contratti ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 56, cioè – come recita la stessa rubrica della disposizione da ultimo richiamata – contratti per i quali è esclusa l’applicazione della presente legge – è palese la soggezione del rapporto in questione alla presente legge, cioè alle disposizioni, come osservato sopra, di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 1, e segg., in particolare in tema di durata del rapporto (art. 1, comma 2) e di sua rinnovazione tacita (art. 4).

8.6. I giudici del merito hanno accertato, in linea di fatto, che la ricorrente non ha mal concretamente contestato nè prima nè nel corso del giudizio la qualifica di coltivatore diretto del S..

Certo quanto sopra e pacifico che tale affermazione non risulta in alcun modo impugnata dalla ricorrente è palese la inammissibilità del ricorso nella parte in cui denunzia violazione da parte della sentenza impugnata dell’art. 112 c.p.c., anche nella riconosciuta qualifica al S., di coltivatore diretto.

Censura, comunque, inammissibile ove si considera che era onere della ricorrente indicare in quale occasione, nel rispetto delle regole del contraddittorio, la stessa aveva tra l’altro dedotto, e chiesto di accertare con statuizione idonea ad acquisire forza di giudicato, che il S. doveva qualificarsi conduttore non coltivatore diretto.

9. Anche il ricorso principale, in conclusione, risultato manifestamente infondato, deve rigettarsi.

10. Atteso il rigetto di entrambi i ricorsi sussistono giusti motivi onde disporre, tra le parti, la totale compensazione delle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta;

compensa, tra le parti, le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 14 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA