Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34523 del 27/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2019, (ud. 14/11/2019, dep. 27/12/2019), n.34523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6209-2014 proposto da:

ALLUMINIO DONGO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE

BEETHOVEN 52, presso lo studio dell’avvocato RITA IMBRIOSCIA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELO CIAVARELLA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

sul ricorso 6599-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ALLUMINIO DONGO SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 89/2013 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 18/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. GRAZIA CORRADINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con avviso di accertamento, notificato in data 28.12.2010, emesso per la annualità di imposta 2005 nei confronti della Spa Alluminio Dongo – a seguito di invio di questionario ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, con cui la Agenzia delle Entrate aveva richiesto la presentazione di specifica e dettagliata documentazione fiscale ed i libri e registri fiscali obbligatori, che la contribuente non aveva esibito assumendo che erano stati “smaltiti” a seguito di crollo parziale della copertura in amianto del fabbricato in cui erano custoditi – la Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Como recuperò analiticamente a tassazione, ai fini IRES ed IRAP, i costi dedotti e non documentati ed, ai fini IVA, l’imposta detratta sulle fatture non prodotte, nonchè l’IVA non esposta nelle operazioni di acquisto senza applicazione di imposta effettuate avvalendosi del plafond di esportatore abituale e l’IVA non esposta su cessioni all’esportazione o cessioni intracomunitarie, delle quali mancava pure ogni documentazione (Rilievi 1 ai fini IRES / IRAP e rilievi da 1 a 6 a fini IVA). L’Ufficio recuperò inoltre a tassazione, ai fini IRES, una variazione in diminuzione non documentata in relazione ad una rinuncia a crediti posta in essere a beneficio della società Casti Spa, che deteneva una partecipazione nella Alluminio Dongo (rilievo n. 2 ai fini IRES) e la plusvalenza da cessione di azienda evidenziata dal maggior valore di avviamento del ramo di azienda ceduta dalla Alluminio Dongo alla “Fonderie Alluminio Spa”, appartenenti al medesimo gruppo industriale, per cui era intervenuta conciliazione giudiziale ai fini della imposta di registro fra la cessionaria e la Agenzia delle Entrate (rilievo n. 3 IRES).

Successivamente, in data 10.2.2011, la contribuente presentò istanza di accertamento con adesione e contestualmente presentò parte della documentazione costituita da fatture attive e passive e bollette di esportazione reperite presso clienti e fornitori, esclusa peraltro qualsiasi ricostruzione del libro giornale e delle schede di mastro in formato elettronico e copia degli estratti conto bancari. L’Ufficio, a seguito della documentazione prodotta, pur se oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, propose una riduzione dei maggiori imponibili contestati, che non fu accettata dalla società, la quale, in data 24.5.2011, presento ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Como.

La Commissione Tributaria Provinciale di Como, con sentenza n. 205/1/2011, accolse parzialmente il ricorso confermando la pretesa erariale così come proposta dall’Ufficio nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione, con la sola eccezione della ripresa a tassazione concernente la variazione in diminuzione ex art. 38 del TUIR, ed annullò le sanzioni irrogate.

Investita dall’appello della contribuente che lamentò la nullità della sentenza per difetto di motivazione e contraddittorietà della stessa in relazione al recupero della plusvalenza d’avviamento per cessione di azienda e ripropose i motivi già dedotti in primo grado, in particolare con riguardo alla perdita incolpevole della documentazione faticosamente ricostruita rilevando come le differenze emergenti dalle fatture prodotte ed i dati di bilancio erano dovute alla diversa collocazione contabile tra il bilancio originario, nonchè dall’appello incidentale dell’Ufficio sui punti accolti dal primo giudice, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 89/27/2013, depositata in data 18 luglio 2013, accolse in parte l’appello principale ed in parte quello incidentale e compensò parzialmente le spese.

La CTR rigettò preliminarmente la eccezione di giudicato esterno sollevata dalla contribuente con riguardo alla sentenza della stessa CTR n. 54/49/2012, pur impugnata con ricorso per cassazione, che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della stessa società per il periodo di imposta 2003, asseritamente avente il medesimo presupposto di imposta sulla base della illegittimità del metodo analitico applicato in luogo di quello induttivo applicabile nella fattispecie in esame, rilevando come il ricorso per cassazione avesse riguardato proprio la legittimità del metodo analitico. Ritenne, nel contempo, che correttamente l’Ufficio avesse fatto ricorso al metodo analitico, peraltro non contestabile dal contribuente poichè offriva maggiori garanzie di quello induttivo e che la sentenza di primo grado fosse motivata consentendo il controllo sulla esattezza e logicità del ragionamento e che non fosse neppure vero che l’Ufficio non aveva contestato la documentazione prodotta dalla contribuente poichè ciò era avvenuto anche con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, per cui i documenti non prodotti dalla parte in risposta all’invito dell’Ufficio non potevano essere presi in esame a favore del contribuente in sede processuale. Accolse poi, in tutto o in parte l’appello principale della contribuente relativamente al recupero dei costi ai fini IRPEG ed IRAP, tranne che per i costi per perdite su cambi per cui la società non aveva presentato alcuna documentazione; lo rigettò quanto al rilievo relativo all’accertamento della plusvalenza da avviamento per cessione di azienda basato sul maggior valore definito dalle parti ai fini della imposta di registro, con riguardo al principio giurisprudenziale, al momento cristallizzato, per cui il valore determinato in via definitiva ai fini della imposta di registro, assumeva carattere determinante per la Amministrazione Finanziaria anche ai fini delle imposte sui redditi; lo rigetto, anche, quanto al rilievo n. 1 in relazione all’IVA e lo accolse invece quanto ai rilievi IVA dal n. 2 al n. 6, ritenendo che la società avesse prodotto la documentazione giustificativa in sede di memoria nel giudizio ed annullo la sanzione per dichiarazione infedele in relazione all’accoglimento per gran parte del ricorso, ritenendo che le differenze, dovute a mancate quadrature contabili, fossero irrilevanti. Quanto, infine, all’appello incidentale dell’Ufficio, rigettò il primo motivo, relativo alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 4 e 5, ritenendo che una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni consentisse al contribuente di dimostrare la involontarietà della sottrazione originaria della documentazione e quindi la produzione dei documenti recuperati anche nel corso del giudizio, in conseguenza della esimente prevista dall’art. 32 cit.; rigettò altresì il secondo motivo relativo all’annullamento della ripresa a tassazione della variazione in diminuzione ritenuta non documentata dall’Ufficio poichè sarebbe spettato alla Amministrazione verificare la “neutralizzazione” della sopravvenienza contabilizzata dalla contribuente, mentre accolse il terzo motivo, concernente la debenza della sanzione relativamente alla plusvalenza non dichiarata, poichè tale sanzione prescindeva dalla sussistenza o meno di una causa di forza maggiore.

Contro la sentenza, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la società Alluminio Dongo (iscritto con il n. RG 6209/2014), notificato il 5 marzo 2014, affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Contro la stessa sentenza ha presentato separato ricorso la Agenzia delle Entrate, con atto notificato ugualmente in data 5 marzo 2014 (iscritto con il n. RG6599/2014) con due motivi, cui ha resistito con controricorso la contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, va disposta la riunione tra il ricorso R.G. n. 6209 e quello RG n. 6599 del 2014, a norma dell’art. 335 c.p.c., trattandosi della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza.

2. Ciò posto, partendo dal ricorso della contribuente, con il primo motivo si deduce nullità della sentenza per travisamento di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In proposito la società Alluminio Dongo ha rilevato che – avendo la contribuente eccepito, nel corso del giudizio di appello, a seguito della sentenza n. 54/49/2012 della CTR di Milano emessa nel giudizio di impugnazione della sentenza di primo grado che aveva deciso sull’accertamento relativo all’anno di imposta 2003, basato sullo stesso presupposto della illegittimità del metodo analitico di accertamento, contestato dalla contribuente anche nel presente giudizio, l’intervenuto giudicato esterno sulla arbitrarietà del metodo di accertamento poichè il ricorso per cassazione dell’Ufficio relativo alla sentenza n. 54/49/2012 riguardava soltanto i rilievi IVA – la riposta della sentenza impugnata su tale eccezione, secondo cui il ricorso per cassazione era basato sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, aveva travisato un fatto decisivo per il giudizio considerato che l’acquiescenza alla sentenza di appello ai fini IRPEG ed IRAP comportava la accettazione della illegittimità del metodo di accertamento utilizzato dall’Ufficio, mentre l’unico metodo legittimo di accertamento, in caso di perdita della documentazione, era quello induttivo, in base all’indirizzo più recente della Corte di Cassazione.

3) Con il secondo motivo lamenta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, e per motivazione contraddittoria ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere la sentenza impugnata dapprima ritenuto che l’Ufficio avesse contestato la inutilizzabilità della documentazione prodotta in giudizio D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 4, ma subito dopo ritenuto fondato l’appello della contribuente nei limiti di quanto documentalmente provato e respinto l’appello incidentale dell’Ufficio su tale punto, rendendosi applicabile la esimente prevista dall’art. 32, comma 5.

4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 2709 c.c., art. 173 TUIR, art. 53 Cost., comma 1 e art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, del c.p.c. per avere la sentenza impugnata ritenuto vincolante per l’amministrazione, ai fini della imposta sulla plusvalenza, il maggior valore accertato dalla Amministrazione ai fini della imposta di registro, benchè le due imposte fossero basate su diversi presupposti e la contribuente avesse fornito la prova contabile del pagamento del prezzo, ponendosi poi la decisione del giudice di appello in contrasto con il divieto di doppia imposizione e con il principio di capacità contributiva, in presenza di una giurisprudenza tutt’altro che univoca.

5. Il primo motivo è, in primo luogo, inammissibile poichè viene dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il travisamento del fatto decisivo consistente nella acquiescenza, da parte dell’Ufficio, alla sentenza di appello in merito all’accertamento ai fini IRPEG ed IRAP per l’anno 2003, con conseguente obbligo di applicazione del giudicato esterno anche per il successivo anno 2005, benchè si tratti di ricorso proposto contro sentenza pubblicata in data 25.1.2013 e quindi dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ad opera del D.L. n. 13 del 2012, convertito dalla L. n. 143 del 2012.

5.1. In merito alla modifica di cui innanzi, come chiarito da questa Corte anche a Sezioni Unite, essa (tramite il nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (ex plurimis, Cass. Sez. U.,07/04/2014, n. 8053, Rv. 629831-01, e successive conformi tra le quali, tra le più recenti, anche Cass. sez. 2, 29/10/2018, n. 27415, Rv. 651020-01).

5.2. Tale novellata disposizione è stata interpretata da questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (ex plurimis: Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629830-01; Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8054, Rv. 629832-01 e successive conformi, tra le quali anche Cass. sez. 3, 12/10/2017, n. 23940, Rv. 645828-01, per la quale, quindi, non sono più ammissibili mere censure di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale ma solo quelle deducenti violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, e quindi causa di nullità della sentenza, e Cass. sez. 6-3, 25/09/2018, n. 22598, Rv. 650880-01, che riconduce il vizio in oggetto ad una nullità processuale denunciabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Sicchè, anche dopo la riformulazione di cui innanzi, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante (nella specie, del motivo d’appello), il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto. Per converso, il vizio motivazionale, come introdotto nel 2012 ed innanzi interpretato, presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del Giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che (sotto il profilo dell’omessa motivazione) che si tramuti in “violazione di legge costituzionalmente rilevante”, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè nei termini innanzi descritti (circa le persistenti differenze tra omessa pronuncia e vizio motivazionale dopo la riformulazione nel 2012 dell’art. 360 c.p.c., si vedano: Cass. sez. 63, 08/10/2014, n. 21257, Rv. 632914-01; Cass. sez. 6-3, 20/11/2015, n. 23828, Rv. 637781-019).

5.3. Ne consegue quindi, nei termini innanzi evidenziati, che nella specie non è ravvisabile il vizio denunciato poichè la sentenza impugnata contiene una ampia motivazione (come riportata nella parte espositiva) sulla insussistenza del giudicato esterno, con cui è stato presa specificamente in esame anche la questione della pretesa acquiescenza da parte dell’Ufficio alla illegittimità del metodo analitico dell’accertamento per l’anno di imposta 2003, la quale costituisce peraltro una argomentazione e non certamente un fatto storico o naturalistico, come richiesto dal vizio art. 360 c.p.c., ex n. 5, dedotto dalla ricorrente.

5.4. Il motivo sarebbe comunque infondato.

5.5. In materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno è certamente applicabile anche nel caso in cui gli atti tributari impugnati in due giudizi siano diversi, purchè sia però identico l’oggetto del giudizio medesimo, riferito al rapporto tributario sottostante. Tale efficacia trova ostacolo in relazione alle qualificazioni giuridiche, nonchè alle argomentazioni della sentenza, poichè detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all’esegesi esercitata da altro giudice, nè è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, ferma, in ogni caso, la necessità del collegamento, tendenzialmente durevole, ad una situazione di fatto. In relazione alle imposte periodiche, poi, l’efficacia del giudicato esterno è limitata ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata sicchè è esclusa l’efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie “tendenzialmente permanenti” in quanto suscettibili di variazione annuale o in relazione a più ridotti periodi temporali (v. ex pluribus Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23723 del 21/10/2013 Rv. 628972 – 01; Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 21824 del 07/09/2018 Rv. 650505 – 01).

5.6. Orbene, come rilevato dalla sentenza impugnata con giudizio di fatto non contestabile in sede di legittimità, in primo luogo, nella specie non si formato alcun giudicato esterno con riguardo al metodo applicabile all’accertamento per l’anno 2013, poichè dal ricorso per cassazione contro la sentenza 54/49/2012 della CTR (allegato 5 al presente ricorso per cassazione della contribuente) risulta che la Agenzia ricorrente ha contestato specificamente, con il primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata proprio con riguardo alla statuizione relativa alla pretesa illegittimità dell’utilizzazione del metodo analitico di accertamento, mentre la rinuncia a ricorrere per cassazione, con riguardo alla parte dell’accertamento relativa all’IRPEG, all’IRAP ed al primo motivo in materia di IVA, è stata determinata, dichiaratamente ed esclusivamente, come risulta a pagina 20 del ricorso per cassazione, dalla circostanza che la sentenza impugnata aveva ritenuto corrette quelle riprese con motivazione in fatto che la Agenzia delle Entrate ha reputato di non potere contestare in sede di ricorso per cassazione. Non è quindi vero che la Agenzia avesse prestato acquiescenza implicita o esplicita al suddetto metodo di accertamento poichè aveva presentato ricorso aggredendo tutte le ragioni giustificatrici “di ordine generale” della sentenza, rinunciando invece a presentare ricorso unicamente con riguardo ai singoli recuperi per cui la sentenza impugnata aveva ritenuto, in fatto, la correttezza, indipendentemente dal metodo di accertamento. In secondo luogo, come correttamente rilevato dalla Agenzia controricorrente, la situazione fattuale e giuridica per le annualità 2003 e 2005 erano ben diverse in quanto per il 2005 l’accertamento è stato basato, al contrario di quanto avvenuto per il 2003, sulla mancata risposta al questionario da parte della contribuente; il che, al contrario di quanto sostiene la ricorrente, peraltro in contrasto con l’orientamento consolidato di questa Corte, non integra i requisiti di identità soggettiva ed oggettiva richiesti per la applicazione del giudicato esterno nell’ambito di un rapporto giuridico che non ha neppure il carattere “di esecuzione prolungata”, nè si riferisce a fatti ad “efficacia permanente o pluriannuale”, ma si traduce in singoli accertamenti ancorati a diversi presupposti.

6. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

6.1. Con esso viene dedotta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 5, nonchè motivazione contraddittoria ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ma la stessa ricorrente riconosce che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della disposizione invocata, ritenendo la sussistenza della specifica esimente ed ammettendo i documenti prodotti nel giudizio, mentre, quanto alla pretesa contraddittorietà della motivazione, a parte il rilievo che tale censura non può integrare il vizio di violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, e quindi causa di nullità della sentenza per una nullità processuale denunciabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ma neppure un vizio di motivazione ex comma 5 (peraltro neppure denunciato sotto tale profilo), nessuna contraddizione si ravvisa nella motivazione della sentenza impugnata in ordine alla utilizzabilità nel giudizio dei documenti tardivamente prodotti perchè rinvenuti solo in tale fase, il che non si pone in contrasto con la asserzione della sentenza in sede di risposta alla eccezione di mancata contestazione da parte dell’Ufficio della documentazione prodotta nel giudizio, poichè le due argomentazioni, in risposta a diverse censure proposte dalla ricorrente, non sono fra loro inconciliabili, mentre deve ritenersi corretta la risposta ad entrambe secondo l’ordine di pregiudizialità della questione di mancata contestazione rispetto a quella di applicabilità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 5.

7. E’ invece fondato il terzo motivo di ricorso relativo alla illegittimità della ripresa a tassazione della plusvalenza da cessione di ramo di azienda basata esclusivamente sul maggiore valore definito ai fini della imposta di registro.

7.1. La ricorrente si duole della interpretazione giurisprudenziale applicata dalla sentenza di appello, ritenendola non consolidata. Si deve però, ora, prendere atto dello ius superveniens, costituito dal D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, che, in tema di imposte sui redditi, esclude l’accertamento induttivo della plusvalenza ricavata dalla cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale.

7.2. Si tratta di norma interpretativa e, come tale, retroattiva, in ragione del chiaro intento del legislatore, desumibile, peraltro, dal comma 4 dell’articolo cit., che contempla una disciplina transitoria solo per le disposizioni di cui al comma 1, senza nulla statuire per quelle contenute nei commi 2 e 3 (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 9513 del 18/04/2018 Rv. 647713 – 01; v. ancora Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 19227 del 02/08/2017 Rv. 645291). E’ stato infatti ritenuto con giurisprudenza ormai consolidata che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3 – che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva – esclude che l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini di altra imposta commisurata al valore del bene, posto che la base imponibile ai fini IRPEF è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Il riferimento contenuto nella detta norma all’imposta di registro ed alle imposte ipotecarie e catastali svolge una funzione esemplificativa, volta esclusivamente a rimarcare la ratio della norma incentrata sulla non assimilabilità della differente base impositiva -valore- rispetto a quella prevista per l’IRPEF corrispettivo (v. ancora Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11543 del 06/06/2016 Rv. 640048 – 01).

7.3. Di tale disposizione interpretativa, che corrisponde alla interpretazione della norma applicabile nel caso in esame, richiesta dalla ricorrente, si deve quindi fare applicazione in questa sede, essendo del tutto pacifico sulla base della sentenza impugnata e degli scritti difensivi di entrambe le parti, che il recupero del maggior valore è avvenuto in base al criterio del valore determinato in sede di imposta di registro.

8. Si può ora passare all’esame del ricorso della Agenzia delle Entrate.

9. Con il primo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 4 e 5, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che la contribuente potesse esimersi dalla preclusione derivante dalla mancata presentazione dei documenti richiesti in sede amministrativa e produrli quindi nelle fasi successive sulla sola base della sua “dichiarazione di non avere potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile”, pur essendo stata la parte resa edotta della necessità di recuperare i documenti perduti nel crollo del soffitto dell’edificio fin da prima del 2010, in occasione delle verifiche relative agli anni precedenti ed avesse prodotto parte dei documenti in sede di accertamento con adesione, per cui la omessa risposta al questionario costituiva una scelta consapevole e non invece una conseguenza del crollo del 2008.

10. Con il secondo motivo si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, di omesso esame di fatti decisivi discussi fra le parti e quindi di omessa o insufficiente motivazione su fatti decisivi consistenti nella giustificazione della mancata produzione dei documenti in risposta al questionario del giugno del 2010, considerato che l’accertamento era stato emesso sei mesi dopo per cui la contribuente ben avrebbe potuto recuperare la documentazione in quel lasso di tempo.

11. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente poichè riguardano la stessa questione delle conseguenze derivanti dalla mancata presentazione in sede amministrativa dei documenti richiesti in sede di verifica ovvero a seguito di questionario inviato dall’Ufficio.

11.1. La materia è disciplinata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52.

11.2. La prima disposizione, nel testo vigente ratione temporis, prevede, al comma 3, che l’Ufficio può invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, compresi i documenti di cui al successivo art. 34. Ai soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili secondo le disposizioni del titolo III può essere richiesta anche l’esibizione dei bilanci o rendiconti e dei libri o registri previsti

dalle disposizioni tributarie. L’ufficio può estrarne copia ovvero trattenerli, rilasciandone

ricevuta, per un periodo non superiore a sessanta giorni dalla ricezione. Non possono essere trattenute le scritture cronologiche in uso; aggiunge, al comma 4, che l’Ufficio può inviare ai

contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini

dell’accertamento nei loro confronti, con invito a restituirli compilati e firmati; nonchè, al

penultimo ed ultimo comma: Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta. Le cause di inutilizzabilità previste dal comma 3 non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile. Tali disposizioni trovano corrispondenza nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, in materia di IVA che prevede al comma 5: I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione.

11.3. La questione proposta nel caso in esame deve essere inquadrata nell’ambito del secondo periodo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, da porre però anche in relazione con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, u.c., considerato che la verifica in esame era stata attivata congiuntamente ai fini delle imposte dirette e dell’IVA e che la contribuente, invitata con questionario a presentare i registri fiscali obbligatori ed altri specifici documenti, aveva prontamente risposto, con nota in data 27.7.2010, trascritta a pag. 3 del controricorso della Agenzia delle Entrate ribadendo, a conferma di quanto già dichiarato in sede di verifica, “l’impossibilità della società, che versa involontariamente nell’attuale posizione di disagio dovuta ad un evento straordinario che ha determinato gli effetti critici accaduti e certamente dovuti a causa di forza maggiore, alla ricostruzione di quanto richiesto”.

11.4. Si tratta, quindi, di verificare quali siano i limiti della preclusione in esame e, in particolare, se e in che misura sia consentito, alla parte che dichiara di non possedere un dato documento o addirittura la intera documentazione o gran parte di essa, di produrlo in giudizio senza incorrere nella suddetta preclusione.

11.5. In proposito questa Corte fin dal 2000 (Cass. Sez. U., 25 febbraio 2000, n. 45), a composizione di un contrasto giurisprudenziale, aveva enunciato i principi interpretativi di fondo sulla questione della corretta interpretazione della previsione normativa in esame, affermando che, a norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5, perchè la dichiarazione resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere i libri, i registri, le scritture e i documenti, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatori, richiestigli in esibizione, determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, occorre: la sua non veridicità o, più in generale, il suo strutturarsi quale sostanziale rifiuto di esibizione, evincibile anche da meri indizi; la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; ed il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento. Dalla suddetta pronuncia si evince, quindi, che la previsione normativa in esame deve essere interpretata con particolare rigore ed entro limiti specifici, posto che la sua applicazione comporta una chiara limitazione del diritto di difesa del contribuente, costituzionalmente tutelato, di potere legittimamente produrre in giudizio, a fini difensivi, i documenti ritenuti idonei a sostenere le proprie ragioni di difesa avverso la pretesa impositiva dell’ufficio finanziario, sotto il profilo principale dell’accertamento dell’intento del contribuente sottoposto a verifica di sottrarre volontariamente alla verifica un dato documento al fine di ostacolare gli accertamenti in atto, profilo che comporta, solo in questo caso, la non possibilità per il medesimo contribuente di utilizzarlo successivamente in proprio favore.

11.6. Le successive pronunce di questa Corte, fino a quelle attuali, si sono mosse all’interno di tale direttrice con ulteriori sviluppi in epoca più redente, affermando con la sentenza del 28 aprile 2017, n. 10527 che “In definitiva, la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo, solo ove non sia veritiera, cosciente, volontaria e dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale. Infatti, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5, a cui rinvia il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli art. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto alla difesa e da non obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti, sicchè non può reputarsi sufficiente, ai fini della suddetta preclusione, il mancato possesso imputabile a negligenza o imperizia nella custodia e conservazione della documentazione contabile”. Analogamente Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 7011 del 21/03/2018 Rv. 647551 ha ritenuto l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa solo ove l’amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale richiesta degli stessi, accompagnata dall’avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza, e che il contribuente ne aveva rifiutato l’esibizione, dichiarando di non possederli, o comunque sottraendoli al controllo, con uno specifico comportamento doloso volto ad eludere la verifica, fino alla recentissima pronuncia n. 20731 del 01/08/2019 Rv. 655041 – 01, per cui “La dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo solo ove sia non veritiera, cosciente, volontaria e dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale, poichè il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, a cui rinvia il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto di difesa del contribuente e da non obbligare lo stesso a pagamenti non dovuti, sicchè non può reputarsi sufficiente, ai fini della suddetta preclusione, il mancato possesso imputabile a negligenza o imperizia nella custodia e conservazione della documentazione contabile”.

11.7. A questi principi si è attenuta la sentenza impugnata poichè ha ritenuto che la dichiarazione della contribuente di avere “perso” la disponibilità dei documenti a seguito del crollo dell’edificio fosse veritiera e che nessuna sottrazione cosciente, volontaria o dolosa, fosse ipotizzabile, il che rendeva possibile la produzione anche nel giudizio dei documenti la cui ricostruzione era avvenuta in quel momento. Al contrario, la interpretazione offerta dalla Agenzia delle Entrate, per cui sarebbe comunque imputabile alla contribuente una sorta di “ritardo” nella ricostruzione dei documenti, non appare conforme alla linea interpretativa consolidata di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, considerato che, una volta superata la preclusione in virtù della veritiera dichiarazione del contribuente di non disporre più dei documenti per “forza maggiore”, viene meno la preclusione di produzione nelle fasi successive, in cui la produzione può avvenire secondo le regole ordinarie del processo tributario.

12. In conclusione, devono essere rigettati il ricorso della Agenzia delle Entrate ed i motivi primo e secondo del ricorso della contribuente. In accoglimento del terzo motivo di ricorso della contribuente, la sentenza deve essere invece annullata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Lombardia, la quale dovrà verificare in concreto la sussistenza o meno della accertata plusvalenza alla luce del principio per cui non può essere determinata solo sulla base del valore dichiarato o definito ai fini della imposta di registro e deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate ed il primo ed il secondo motivo del ricorso proposto dalla Spa Alluminio Dongo; accoglie il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia in ordine al motivo accolto ed anche per le spese ad altra sezione della CTR delle. Lombardia.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2019

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