Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34513 del 27/12/2019
Cassazione civile sez. trib., 27/12/2019, (ud. 14/11/2019, dep. 27/12/2019), n.34513
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24523/2013 R.G. proposto da:
M.A., (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avv.
Nicola Verderico, elettivamente domiciliato presso il suo studio in
Barcellona Pozzo di Gotto, via tenente colonnello Arcodaci 74;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro
tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello
Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via
dei Portoghesi 12.
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 183/27/2012 della Commissione Tributaria
Regionale della Sicilia, sezione staccata di Messina, depositata il
giorno 11 luglio 2012.
Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 14
novembre 2019 dal Consigliere Giuseppe Fichera.
Fatto
FATTI DI CAUSA
M.A., titolare di una impresa individuale, unitamente al coniuge T.M.F., impugnò l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRPEF, ILOR, contributo al SSN e c.d. tassa per l’Europa, per l’anno d’imposta 1996.
L’impugnazione venne integralmente accolta in primo grado; proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sezione staccata di Messina, con sentenza depositata il giorno 11 luglio 2012, lo accolse, dichiarando legittimo l’avviso di accertamento impugnato.
Avverso la detta sentenza, il solo M.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui ha risposto con controricorso Agenzia delle Entrate.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va respinta l’eccezione di improcedibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente, dovendosi osservare, per un verso, come vi è in atti copia autentica della sentenza impugnata e, per altro verso, che la mancata richiesta di trasmissione, da parte del ricorrente, del fascicolo d’ufficio del giudice a quo, ex art. 369 c.p.c., non determina l’improcedibilità dell’impugnazione ove l’esame di quel fascicolo – è esattamente il caso che ci occupa – non sia necessario per la soluzione delle questioni prospettate con quest’ultima (da ultimo, Cass. 24/03/2017, n. 7621).
2. Con il primo motivo deduce M.A. la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 633, art. 39, comma 1, lett. d), avendo i giudici di merito erroneamente ritenuto provati i maggiori redditi accertati dall’Amministrazione, invertendo l’onere della prova a carico dei contribuenti.
3. Con il secondo motivo lamenta vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), considerato che la commissione tributaria regionale ha contraddittoriamente ritenuto legittimo l’avviso impugnato, nonostante la carenza di qualsivoglia prova dei maggiori redditi accertati dall’Amministrazione.
4. Con il terzo motivo eccepisce la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55, comma 4, (il TUIR), atteso che il giudice di merito ha ritenuto che fossero assoggettati a tassazione come maggiori ricavi, le “anticipazioni” effettuate in favore dell’impresa dal contribuente.
4.1. I tre motivi, meritevoli di esame congiunto per la comunanza di oggetto, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Sono inammissibili laddove lamentano vizio di motivazione, senza spiegare perchè il ragionamento dei giudici di merito sarebbe contraddittorio, sostanzialmente invocando una nuova valutazione degli elementi indiziari già vagliati dal giudice di merito, che è appunto non consentita in questa sede.
Sono infondati laddove contestano la violazione della disciplina in tema di accertamento tributario, avendo il giudice di merito fatto chiara applicazione dei principi – più volte ribaditi da questa Corte – a tenore dei quali l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pure in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile, circostanza che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purchè preciso e grave (tra le tante, Cass. 30/10/2018, n. 27552).
Inconferente, poi, si mostra il richiamo all’orientamento di questa Corte che ha chiarito come i versamenti in denaro (le c.d. anticipazioni) fatti dal titolare a favore dell’impresa individuale non possono essere considerati nè ricavi, nè plusvalenze patrimoniali, nè sopravvenienze attive ai fini dell’imposta sul reddito personale e, quindi, non costituiscono di per sè materia imponibile (così Cass. 20/10/2010, n. 21511), per la decisiva considerazione che, nella vicenda che ci occupa, la commissione tributaria regionale ha inteso valorizzare l’esistenza dei detti versamenti effettuati dal contribuente in favore dell’impresa individuale di cui era titolare, per importi considerevoli e tutti privi della benchè minima giustificazione, soltanto come elemento indiziario – unitamente ad altri – della denunciata inattendibilità delle scritture contabili dell’impresa stessa.
5. Con il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 2909 c.c., e dell’art. 324 c.p.c., poichè la sentenza impugnata non ha rilevato il giudicato esterno formatosi a seguito del passaggio in giudicato di altra sentenza resa dal giudice tributario, che aveva accolto il ricorso del contribuente in relazione ad un avviso di rettifica IVA per l’anno 1997.
6. Con il quinto motivo assume la nullità della sentenza, nonchè vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), considerato che la sentenza del giudice di appello non ha inteso motivare alcunchè, in ordine all’eccezione di giudicato esterno pure formulata dal contribuente.
6.1. I due motivi, bisognosi di trattazione congiunta, sono inammissibili per manifesto difetto di interesse al loro accoglimento da parte del ricorrente.
Invero, è noto che in osservanza del principio costituzionale del giusto processo e della sua ragionevole durata, il giudice, anche in sede di legittimità, deve rilevare d’ufficio l’esistenza di un eventuale giudicato esterno (Cass. 07/10/2010, n. 20802; Cass. 15/06/2007, n. 14014).
Nel caso che ci occupa, la mera lettura della sentenza resa inter partes dalla Commissione Tributaria Provinciale di Messina in data 17 marzo 2005 (la n. 119/09/2005), consente di concludere che nessun giudicato esterno risulta formatosi, solo considerato che la detta pronuncia si riferisce pacificamente ad atto impositivo diverso (un avviso di rettifica), per una imposta diversa (IVA) e per una diversa annualità (1997), rispetto a quelli per cui è processo.
7. Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti del ricorrente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
PQM
Respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, liquidate in complessivi Euro 5.600,00, oltre alle spese anticipate a debito e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2019