Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34512 del 27/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2019, (ud. 14/11/2019, dep. 27/12/2019), n.34512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20206/2014 R.G. proposto da:

A. COMMERCIO RICAMBI E ACCESSORI DEI F.LLI A. s.r.l. in persona

del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa

dall’avv. Massimo Di Vito (PEC:

avvmassimodivito.pec.ordinaavvocatichieti.it) e con domicilio eletto

in Roma presso lo studio dell’avv. Antonio Bubici giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Abruzzo n. 51/10/14 depositata il 28/01/2014 e non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

14/11/2019 dal Consigliere Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha riformato la pronuncia di primo grado, conseguentemente dichiarando legittimo l’atto impugnato, avviso di accertamento per IVA 2005;

– avverso la sentenza della CTR lombarda propone ricorso per cassazione la società contribuente con atto affidato a un unico motivo; l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione e/o errata applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, in relazione alla violazione degli obblighi di cui al D.L. n. 331 del 1993, artt. 46 e 47;

– il motivo è privo di fondamento;

– in esso si censura in sostanza la sentenza impugnata, sia pur con riferimento a diverse e non sempre pertinenti disposizioni di legge, per avere la CTR ritenuto erroneamente che l’erronea annotazione delle fatture contestate, con dicitura di non imponibilità D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 8, l’omissione dell’indicazione dell’importo e della percentuale dell’Iva afferente alle operazioni di acquisto intracomunitarie, l’omessa indicazione nel quadri VR e V39 dell’ammontare imponibile degli acquisti e dell’imposta, la omessa presentazione dei modelli INTRASTAT e INTRA 2, la mancata registrazione e integrazione delle fatture contestate, secondo la procedure del c.d. “reverse charge”, non costituissero mere violazioni formali;

– il motivo, sia pur articolato con riferimento a plurime disposizioni di legge, è infondato in tutte le sue declinazioni;

– va infatti ricordato che si considera operazione imponibile da tassare ai fini IVA in Italia, l’acquisto intracomunitario (conseguente all’immissione in libera pratica di prodotti nel territorio dell’Unione Europea), a seguito del quale il bene è introdotto nel territorio nazionale, operato da soggetti IVA italiani in altri Paesi dell’Unione. A tal fine, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3, e del D.L. n. 331 del 1993, art. 46, convertito nella L. n. 427 del 1993, l’acquirente del bene o il committente del servizio di intermediazione deve, anzitutto, numerare le fatture ricevute. Tali fatture – a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 47, comma 1, – vanno, dipoi, annotate distintamente, dai soggetti suindicati, dapprima nel registro delle fatture emesse (vendite), entro il mese di ricevimento (o comunque entro quindici giorni dal ricevimento), ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 23, quindi nel registro degli acquisti, del cit. decreto, ex art. 25, (cd. regime dell’inversione contabile o reverse charge), in guisa da dare vita ad un credito IVA esattamente corrispondente all’imposta dovuta. E tuttavia, ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione è pur sempre necessario che siano soddisfatti tutti gli obblighi sostanziali di assunzione del debito di imposta, ai fini di assicurare il rispetto del predetto regime di “tassazione in entrata”, anche laddove le due annotazioni, dell’IVA dovuta “a monte” dell’IVA detraibile “a valle”, non siano state effettuate. Tanto premesso, è del tutto pacifico tra le parti che, nel caso di specie, la contribuente si è limitata a contabilizzare le fatture in contestazione nel solo libro giornale, tenuto ai fini delle imposte sui redditi. Dall’omessa registrazione di dette fatture – regolarizzate e completate come sopra indicato – nel registro delle vendite, e poi in quello degli acquisti, è conseguito, pertanto, il mancato perfezionamento del meccanismo dell’inversione contabile, quanto meno in relazione ai suoi aspetti formali. Orbene, secondo un indirizzo consolidato della giurisprudenza comunitaria, ai sensi della sesta Dir. CE n. 388 del 1977, art. 18, n. 1, lett. d), e art. 22, come modificata dalla Dir. n. 17 del 2000, che contengono i requisiti formali del diritto a detrazione, il principio di neutralità fiscale impone che l’inosservanza da parte di un soggetto passivo delle formalità imposte da uno Stato membro, in applicazione delle disposizioni comunitarie succitate, non può privarlo del suo diritto alla detrazione dell’IVA, mediante annotazione a credito nella dichiarazione di imposta, ferma restando l’eventuale sanzione per l’inosservanza di tali obblighi. Con specifico riferimento alla corretta individuazione di tali obblighi – in ordine alla quale si sono registrate in passato diverse opzioni interpretative, ingenerate anche dalle differenti versioni linguistiche della citata sentenza Ecotrade (“obblighi sostanziali”, “sub-stantive requirements”, “exisigences de fond”) – la Corte di Giustizia ha, peraltro, da ultimo definitivamente chiarito (cfr. C. Giust. 11.12.2014, C- 590/13, Idexx) – a seguito di domanda pregiudiziale proposta da questa Corte, con ordinanza del 7.10.2013, ai sensi del TFUE, art. 267, – cosa debba effettivamente intendersi per obblighi sostanziali, alla stregua del diritto comunitario cogente, e ne ha evidenziato la distinzione rispetto ai requisiti formali del diritto alla detrazione;

– al riguardo la Corte Europea ha, per vero, osservato che “i requisiti sostanziali del diritto alla detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto” (v. sentenza Idexx, par. 41). Sotto il profilo in esame, va, pertanto, preso in considerazione anzitutto il disposto della sesta Dir. cit,. art. 17, par. 2, (come modificata dalla Dir. n. 17 del 2000), a tenore del quale “nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini delle sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore: (….) d) l’imposta sul valore aggiunto dovuta ai sensi dell’art. 28 bis, paragrafo 1, lett. a)”, che a sua volta dispone che “sono parimenti soggetti all’IVA: (….) a) gli acquisti intracomunitari di beni effettuati a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale o da un ente che non è soggetto passivo, quando il venditore è un soggetto passivo che agisce in quanto tale”. Deve tenersi conto, inoltre, del disposto della cit. Dir., art. 21, par. 1, che recita: “l’imposta sul valore aggiunto è dovuta: 1) in regime interno (….) d) dalla persona che effettua un acquisto intracomunitario di beni imponibili. Quando l’acquisto intra- comunitario di beni è effettuato da una persona residente all’estero, gli Stati membri possono prendere disposizioni intese a stabilire che l’imposta sia dovuta da altri. A tal fine può essere designato, in particolare, un rappresentante fiscale. Gli Stati membri possono anche prevedere che una persona diversa da quella che effettua l’acquisto intracomunitario di beni sia solidalmente tenuta a versare l’imposta”; – le prime due disposizioni succitate evidenziano come il sistema comune dell’IVA – mediante il meccanismo della detrazione – sia ispirato al principio della neutralità dell’imposizione fiscale in parola in relazione a tutte le attività economiche, ivi compresi gli acquisiti intracomunitari di beni imponibili, qualunque siano gli scopi ed i risultati delle stesse, purchè si tratti di attività di per sè soggette ad IVA. Inoltre, per effetto dell’applicazione del regime di autoliquidazione istituito dal cit. art. 21, par. 1, non si verifica alcun versamento dell’IVA tra il venditore e l’acquirente del bene, ove quest’ultimo è debitore, per l’acquisto effettuato, dell’IVA a monte, potendo al tempo stesso detto acquirente operare la detrazione della medesima imposta; cosicchè nulla è dovuto – in via di principio all’Amministrazione finanziaria;

– a giudizio della Corte di Lussemburgo, in relazione agli acquisti intracomunitari di beni imponibili, i requisiti sostanziali esigono, dunque, ai sensi della sesta Dir., art. 17, par. 2, lett. d), (nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla Dir. 16 dicembre 1991, n. 380): a) che tali acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo IVA; b) che quest’ultimo sia debitore dell’IVA attinente a detti acquisti; c) che i beni in questione siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili. Nessun altro obbligo o adempimento, diverso dai requisiti suindicati, può, dunque, condizionare nel sistema dell’IVA sugli acquisti intracomunitari, quale delineato dalla formazione Europea cogente – l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta dovuta su dette operazioni;

– quanto detto fermo restando riguardo al diritto alla detrazione, che qui non è in discussione, va rilevato che per contro, gli obblighi formali del diritto a detrazione “disciplinano le modalità ed il controllo dell’esercizio del diritto medesimo, nonchè il corretto funzionamento del sistema dell’IVA” (cfr. sentenza Idexx, par. 42);

– a tal proposito, la Dir. n. 388 del 1977, art. 18, par. 1, prevede che “per poter esercitare il diritto a deduzione, il soggetto passivo deve: (….) d) quando è tenuto al pagamento dell’imposta quale acquirente o destinatario, in caso d’applicazione dell’art. 21, paragrafo 1, assolvere le formalità fissate da ogni Stato membro”. Inoltre, la cit. Dir., art. 22, dispone, tra l’altro: a) che “2. ogni soggetto passivo deve tenere una contabilità che sia sufficientemente particolareggiata da consentire l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto ed i relativi controlli da parte dell’amministrazione fiscale”; b) che “3. a) ogni soggetto passivo deve emettere una fattura o un documento equivalente per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi che effettua per un altro soggetto passivo”; c) che “8. (….) gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi”;

– tali altri obblighi, la cui inosservanza qui rileva, secondo la giurisprudenza comunitaria succitata, tali misure non possono andare al di là di quanto necessario per il raggiungimento di detti obiettivi e non devono rimettere in discussione il principio fondamentale della neutralità dell’IVA;

– nel caso che ci occupa, l’Ufficio ha operato, va ricordato, non escludendo il diritto alla detrazione dell’IVA sulle operazioni oggetto delle irregolarità contabili, ma unicamente sanzionando tali condotte;

– orbene, la giurisprudenza di questa Corte si colloca armoniosamente nel solco tracciato dalla Corte di Giustizia, poichè ha sul punto ritenuto, in fattispecie analoga alla presente (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 23352 del 06/10/2017) che in tema di sanzioni tributarie, la violazione ha carattere meramente formale quando ricorrono due concorrenti requisiti, ovvero quello di non arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, di non incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo, sicchè integra una violazione sostanziale e non formale del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 4, l’omessa annotazione di fatture di acquisti intracomunitari nelle dichiarazioni periodiche presentate con dati inesatti, in quanto in grado di incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo;

– ancora, sia pur con riguardo a fattispecie non sovrapponibile ma nella quale di è fatta applicazione del medesimo principio qui adottato, si è statuito che (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 21101 del 24/08/2018) in tema d’IVA, ove non sia istituito un registro delle fatture, l’omessa annotazione delle stesse nel registro dei corrispettivi delle operazioni di cessione eseguite integra una violazione sostanziale, in quanto non consente di accertare la corrispondenza tra gli importi riportati nel registro dei corrispettivi e quelli risultanti dalle fatture, così integrando un pregiudizio per l’esercizio delle azioni di controllo suscettibile di incidere sulla determinazione della base imponibile e sul versamento del tributo;

– pertanto, correttamente la CTR ha escluso, nel caso di specie che potesse trovare applicazione il D.Lgs. n. 472 del 1992, art. 6, il cui comma 5-bis, prevede come è noto che “non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”, dal momento che il comportamento tenuto, in applicazione dei principi e della giurisprudenza sopra riportata alla quale si intende qui dare continuità, integra qui pregiudizio per l’esercizio dell’azione di controllo;

– e tal pregiudizio si manifesta, nel presente caso, in quanto oltre alla omessa annotazione degli acquisti intracomunitari cui si è fatto cenno, sussistono le ulteriori condotte tenute in dichiarazione IVA nei quadri VR e V39 e la mancata presentazione dei modelli INTRA di cui pure si è detto; in particolare il non corretto assolvimento del tributo può derivare dalla mancata o tardiva emissione e/o registrazione di fatture emesse o anche dalla registrazione di fatture di acquisto con IVA non detraibile. A ben vedere, quindi, anche l’omessa trasmissione degli elenchi INTRASTAT potrebbe quindi riconnettersi ad una evasione dell’imposta sugli acquisti intra UE e pertanto certo non può considerarsi violazione meramente formale;

– conseguentemente, il ricorso va rigettato;

– stante la novità della questione, sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio;

– sussistono i requisiti per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Compensa le spese di tutti i gradi di giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2019

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