Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34510 del 27/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2019, (ud. 14/11/2019, dep. 27/12/2019), n.34510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5715/2014 R.G. proposto da:

S.N., rappresentato e difeso nel presente giudizio

dall’avv. Antonio Damascelli (PEC: a.damascelli.pec.giuffre.it)

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Bari, sez. II civ., n.

1084/2013 depositata in data 30 agosto 2013 e non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

14/11/2019 dal Consigliere Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha confermato la pronuncia di primo grado, confermato la legittimità dell’atto impugnato, ordinanza-ingiunzione del 1 marzo 1994 emesso dalla Dogana di (OMISSIS) con il quale si disponeva il pagamento della somma ivi indicata per diritti di prelievo agricolo relativi ad IVA, oltre a interessi e accessori dovuti a fronte dell’importazione di olio;

– avverso la sentenza della Corte pugliese ricorso per cassazione il contribuente con atto affidato tre motivi; il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1988, artt. 67 e 130, e D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 17, in combinato disposto con il R.D. n. 639 del 1910, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e al

D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, per avere erroneamente il secondo giudice ritenuto legittimo e consentito il manifestarsi della pretesa tributario con il mezzo dell’ingiunzione di pagamento, dovendosi invece da parte del creditore ricorrere all’iscrizione a ruolo;

– il secondo motivo di gravame censura la sentenza della Corte d’appello per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 374 del 1990, artt. 9 e 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, per non avere il giudice del secondo grado ritenuto che l’Ufficio avrebbe dovuto incardinare il contraddittorio prima ancora di emettere l’ingiunzione;

– i soprannotati motivi risultano strettamente collegati tra di loro e possono quindi esaminarsi congiuntamente;

– essi sono ambedue infondati;

– in tema di tributi doganali, l’ingiunzione prevista dal D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 82, – anche dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, e l’abrogazione, ad opera del cit. D.P.R., art. 130, delle disposizioni che regolavano la riscossione coattiva mediante rinvio al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, ha conservato una precipua funzione accertativa, costituendo un atto complesso, che è rivolto a portare la pretesa fiscale a conoscenza del debitore ed a formare il titolo, autonomamente impugnabile, per la successiva ed eventuale esecuzione forzata;

– essa quindi integra, nell’ambito del giudizio di opposizione, gli estremi della domanda sostanziale sulla quale il giudice è tenuto a pronunciarsi di veder riconosciuto il diritto di recupero così azionato;

– ne consegue che la precisata ingiunzione è legittimamente adottata per il recupero di diritti doganali il cui mancato pagamento sia determinato da un fatto di reato, anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, il quale ha disciplinato “ex novo” la revisione dell’accertamento da parte degli Uffici doganali, non essendo tale disciplina applicabile allorchè è in corso un procedimento penale, attese le maggiori garanzie in questo assicurate di rispetto del principio del contraddittorio;

– questa Corte ha chiarito in svariate pronunce (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26045 del 16/12/2016; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 615 del 12/01/2018; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17944 del 04/07/2019) come in tema di tributi doganali, ove il loro mancato pagamento derivi da un reato, sia il termine di prescrizione dell’azione di recupero dei dazi all’importazione, che quello di decadenza per la revisione dell’accertamento del D.Lgs. n. 374 del 1990, ex art. 11, sono prorogati sino ai tre anni successivi alla data d’irrevocabilità della decisione penale, a condizione che, nel triennio decorrente dall’insorgenza dell’obbligazione doganale, l’Amministrazione emetta un atto nel quale venga formulata una “notitia criminis” tale da individuare un fatto illecito, penalmente rilevante, ed idoneo ad incidere sul presupposto d’imposta;

– nel presente caso, come annota la sentenza gravata (pag. 9 ultime righe) la pretesa punitiva risulta sul punto tempestivamente manifestata; di qui la conseguente tempestività dell’azione di recupero dei tributi evasi;

– il terzo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione del TUD, art. 38, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, per avere erroneamente la Corte d’appello ritenuto solidalmente responsabile del pagamento dei tributi lo S., ancorchè egli non fosse nè il proprietario nè il soggetto per conto dei quali la merce oggetto di contrabbando era stata importata;

– il motivo è inammissibile;

– l’inammissibilità deriva dal mancato collegamento con la ratio decidenti del provvedimento impugnato: invero la Corte d’appello ha ritenuto che “le condanne TULD, ex art. 292-295-338, costituiscono il fondamento giuridico della pretesa fatta valere, che dunque ha il suo fondamento in fatti penali costitutivi di detta pretesa, in base alla norma indicata, senza che allo S. possa applicarsi il medesimo T.U., art. 38,..” (pag. 9 secondo capoverso);

– la critica formulata con il mezzo si fonda invece sulla ritenuta erronea applicazione del TUD, art. 38, che non costituisce però ratio decidendi ma mero obiter dictum della sentenza della Corte territoriale;

– esso pertanto non scalfisce adeguatamente la pronuncia gravata e va

dichiarato inammissibile;

complessivamente, quindi, il ricorso è rigettato;

– le spese sono regolate dalla soccombenza; sussistono i presupposti per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato;

P.Q.M.

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 30.000 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2019

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