Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3450 del 13/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3450 Anno 2018
Presidente: DI VIRGILIO ROSA MARIA
Relatore: DI MARZIO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 24098-2016 proposto da:
SOCIETA’ TARQUIN° VESSA SRL IN LIQUIDAZIONE, in
persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 31, presso lo studio
dell’avvocato FRANCESCO ASTONE, che la rappresenta e difende
unitamente agli avvocati PIETRO RESCIGNO, RAFFAELE
CARRANO;

– ricorrente contro
UNICREDIT SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TREBBIA 3, presso lo
studio dell’avvocato ANTONIETTA CASSESE, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ‘rECLA BIANCO;

– controrícorrente –

Data pubblicazione: 13/02/2018

avverso la sentenza n. 578/2015 della CORTE D’APPELLO di
SALERNO, depositata il 14/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 05/12/2017 dal Consigliere Dott. MAURO DI

RILEVATO CHE
1. — Con sentenza del 14 settembre 2015 la Corte d’appello di Salerno
ha accolto in parte l’appello proposto da Tarquinio Vessa S.r.l. in
liquidazione, Vessa Gennaro e Vessa Nicola nei confronti di Unicredit
S.p.A. contro la sentenza con cui il locale Tribunale aveva accolto
l’opposizione spiegata dagli stessi appellanti avverso un decreto
ingiuntivo di pagamento dell’importo di L. 314.262.544, con accessori
e spese.

2. — Per la cassazione della sentenza la ricorrente Tarquinio Vessa
S.r.l. in liquidazione ha formulato cinque mezzi illustrati da memoria.
Unicredit S.p.A. ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO CHE
3. — Il primo motivo denuncia per un verso violazione del principio
dell’onere della prova del credito azionato dalla banca in relazione agli
articoli 633 e seguenti c.p.c., 2697 c.c., rilevante ai sensi dell’articolo
360, comma primo, numero 3, c.p.c., per avere la sentenza accertato il
saldo negativo del conto oggetto del giudizio, comprensivo delle
competenze trimestrali rinvenienti da conti ulteriori, non provate, e,
per altro verso, nullità per contraddittorietà della motivazione ai sensi
dell’articolo 360, comma primo, numero 4 c.p.c., in relazione
all’articolo 111 della Costituzione.
Ric. 2016 n. 24098 sez. M1 – ud. 05-12-2017
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MARZIO.

Il secondo motivo denuncia violazione del principio dell’onere della
prova in relazione agli articoli 2697 c.c., 360, comma primo, numero 3,
c.c., per avere la decisione impugnata operato il calcolo del debito in
assenza del deposito da parte della banca dell’intera documentazione
contabile afferente il rapporto, censurando la sentenza impugnata per

scoperto di conto corrente, quantunque quest’ultima non avesse
depositato gli estratti conto concernenti l’intera durata del rapporto.
Il terzo motivo denuncia violazione del principio dell’onere della prova
in relazione agli articoli 2697 c.c., 360, comma primo, numero 3, c.p.c.,
per avere la decisione impugnata operato il calcolo del debito
muovendo da un saldo negativo e così violando il noto principio del
cosiddetto «saldo _zero».
Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli
1283 c.c., 117 e 120 decreto legislativo 1 settembre 1993, numero 385,
rilevante ai sensi dell’articolo 360, comma primo, numero 3 c.p.c., per
non aver considerato i giudici di merito che sul conto oggetto di causa
venivano addebitate competenze trimestrali rinvenienti da conti
ulteriori su cui venivano calcolati ulteriori interessi passivi.
Il quinto motivo denuncia nullità della sentenza ai sensi dell’articolo
360, comma primo, numero 4, c.p.c., per violazione dell’articolo 112
c.p.c., omessa pronuncia in ordine all’eccezione del difetto di prova del
credito azionato, nonché del saldo di L. 4.602.157 al 5 ottobre 1992,
omessa pronuncia in ordine all’eccezione del difetto di prova delle
competenze trimestrali rinvenienfi da conti ulteriori.

RITENUTO CHE
4. — Il Collegio ha disposto l’adozione della modalità di motivazione
semplificata.
Ric. 2016 n. 24098 sez. M1 – ud. 05-12-2017
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aver provveduto a rideterminare il credito della banca, derivante dallo

5. — Il ricorso va respinto.

5.1. — Il primo motivo è inammissibile sotto il primo profilo ed
infondato sotto il secondo.

ricorre quando il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una
parte diversa da quella che ne risultava per legge gravata (Cass. 17
giugno 2013, n. 15107), mentre, nel caso in esame, la doglianza non
investe l’individuazione del soggetto tenuto a provare la sussistenza del
credito fatto valere dalla banca in via monitoria, soggetto che anche
nella fase di opposizione è indubbiamente il creditore in monitorio, ma
denuncia l’erroneità del ragionamento seguito dal giudice di merito per
aver ritenuto provato detto credito senza considerare che sul conto
corrente erano confluiti addebiti provenienti da conti correnti diversi,
pure facenti capo a Tarquinio Vessa S.r.l.: la censura ha cioè ad oggetto
lo scrutinio operato dalla Corte d’appello in ordine alla chiesta
estensione dell’indagine ai rapporti di dare-avere tra le parti agli
addebiti sul conto corrente oggetto del contendere provenienti da altri
conti, con la conseguente esigenza, secondo gli appellanti, di
determinare lo svolgimento dei rapporti ad essi inerenti, indagine che
la Corte territoriale ha invece giudicato estranea al thema decidendion
ritualmente dedotto in giudizio, così da dar luogo ad una inammissibile
mutati° libelli, peraltro affetta da genericità, per essere mancata finanche
l’allegazione di quali e quanti fossero i diversi conti in questione.
Quanto al secondo profilo della doglianza, è agevole rammentare che
la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art.
54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,
applicabile nel caso di specie in ragione dell’epoca della pronuncia della
Ric. 2016 n. 24098 sez. M1 – ud. 05-12-2017
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Occorre difatti anzitutto ricordare che la violazione dell’art. 2697 c.c.

sentenza impugnata, è stata interpretata da questa Corte, alla luce dei
canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al

z

«minimo costitu ionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale
che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in

risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancan(r
assoluta di motivi sotto ta.spetto materiale e grafico», nella «motiva-one
apparente», nel «contrasto irriducibile tra afferrna.zioni inconciliabili» e nella
«motivaione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque
rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass.,
Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
In questo caso par di comprendersi che la censura rivolta alla sentenza
impugnata abbia ad oggetto il «contrasto irriducibile tra affermnioni
inconciliabili» perché la Corte d’appello avrebbe da un lato affermato che
l’esame degli ulteriori menzionati rapporti avrebbe comportato un
indebito ampliamento della controversia e, dall’altro lato, avrebbe
nondimeno operato il ricalcolo comprendendo le poste provenienti
degli ulteriori conti suddetti: e tuttavia detto addebito è palesemente
privo di fondamento, giacché la Corte territoriale ha operato il
menzionato ricalcolo nell’ambito delle risultanze del conto oggetto del
contendere, comprensive anche degli addebiti provenienti da altri conti
come in esso cristallizzati, escludendo viceversa che l’indagine potesse
estendersi all’esame degli altri conti, così da rimettere in discussione, in
relazione allo svolgimento di questi ultimi, non del conto il cui
scoperto era stato azionato con il ricorso per decreto ingiuntivo,
l’entità degli addebiti poi confluiti nel conto medesimo. Nel che non

Ric. 2016 n. 24098 sez. M1 – ud. 05-12-2017
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quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio

ricorre alcun contrasto, tantomeno irriducibile, tra affermazioni
inconciliabili.

5.2. — Il secondo motivo è inammissibile perché, denunciando
nuovamente violazione del principio dell’onere della prova di cui

gravato dell’onere probatorio, ma si appunta in buona sostanza
sull’assunto, versato nel merito, secondo cui la banca, non avendo
depositato l’intera documentazione contabile concernente il rapporto,
non avrebbe dato la prova del proprio credito.

5.3. — Per il terzo motivo valgono considerazioni identiche a quelle
appena svolte.

5.4. — Il quarto motivo è inammissibile.
Vale difatti osservare che il vizio di violazione di legge ricorre (quanto
alla violazione di legge in senso proprio) in ipotesi di erronea
negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma,
nonché di attribuzione ad essa di un significato non appropriato,
ovvero (quanto alla falsa applicazione), alternativamente, nella
sussunzione della fattispecie concreta entro una norma non pertinente,
perché, rettamente individuata ed interpretata, si riferisce ad altro, od
altresì nella deduzione dalla norma, in relazione alla fattispecie
concreta, di conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur
corretta interpretazione (Cass. 26 settembre 2005, n. 18782).
Dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta
nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della
fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione
che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione
Ric. 2016 n. 24098 sez. M1 – ud. 05-12-2017
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all’articolo 2697 c.c., non concerne affatto l’individuazione del soggetto

della norma di legge. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi —
violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione
dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della
legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della
fattispecie concreta — è segnato dal fatto che solo quest’ultima

delle risultanze di causa (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30
dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n.8315; Cass. 16 luglio
2010, n. 16698; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., Sez. Un., 5
maggio 2006, n. 10313).
Nel caso in esame la censura non contiene in realtà alcuna denuncia di
violazione di legge, né in senso proprio né sotto l’aspetto della falsa
applicazione, degli articoli 1283 c.c., 117 e 120 decreto legislativo 1
settembre 1993, numero 385, ma si appunta nuovamente
sull’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui
l’indagine in ordine ai rapporti di dare-avere tra le parti non poteva
estendersi allo svolgimento dei rapporti concernenti gli ulteriori,
neppure indicati, conti.

5.5. — Il quinto motivo è infondato.
Il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato
comporta il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non
richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi
corrispondenza nella domanda di merito. In giurisprudenza è stato in
tal senso più volte affermato che il principio di corrispondenza tra il
chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice,
interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli
elementi obiettivi di identificazione dell’azione, attribuendo o negando
ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non
Ric. 2016 n. 24098 sez. M1 – ud. 05-12-2017
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censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione

compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda,
ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio
un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il
diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto
dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e

processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato
dalla parte a sostegno della domanda (Cass. 19 giugno 2004, n. 11455;
Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24
settembre 2015, n. 18868).
Va da sé che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non
basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è
necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che
si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si
verifica, in particolare, quando la decisione adottata comporti la
reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in
proposito una specifica argomentazione (Cass. 4 ottobre 2011, n.
20311; Cass. 20 settembre 2013, n. 21612; Cass. 11 settembre 2015, n.
17956).
Nel caso in esame, dunque, non ha evidentemente fondamento
l’assunto dei ricorrenti secondo cui la Corte d’appello non avrebbe
pronunciato sull’eccezione di difetto di prova del credito azionato, sia
in relazione alla mancata produzione della documentazione necessaria,
sia in relazione all’omesso calcolo degli addebiti provenienti da altri
conti: si tratta al contrario di aspetti che la sentenza impugnata ha
espressamente considerato e disatteso.

6. — Le spese seguono la soccombenza.

Ric. 2016 n. 24098 sez. M1 – ud. 05-12-2017
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situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel

PER QUESTI MOTIVI
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso, in favore della
controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di
legittimità, liquidate in complessivi € 4.100,00, di cui € 100,00 per
esborsi; ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater,

parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso
articolo 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma il 5 dicembre 2017.
Il pr e sidente

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dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della

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