Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34483 del 16/11/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/11/2021, (ud. 26/05/2021, dep. 16/11/2021), n.34483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta M.C. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI M. Marcello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9965/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Cassa rurale e artigiana di (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante p.t., corrente in Gorizia, con l’avv. Corrado Grande

e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via XXIV Maggio

n. 43;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il

Friuli Venezia Giulia, Trieste, n. 96/01, pronunciata il 14 ottobre

2013 e depositata il 21 ottobre 2013, non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 maggio

2021 dal Co: Marcello M. Fracanzani.

 

Fatto

RILEVATO

1. L’istituto di credito Cassa Rurale e Artigiana di Lucinico, Farra e Capriva era oggetto di una verifica fiscale che si concludeva con un p.v.c. avente ad oggetto n. 5 rilievi, poi recepiti in un avviso di accertamento notificato in data 03 settembre 2009 per l’anno d’imposta 2004. Sulla scorta di tali rilievi l’Ufficio non riconosceva le perdite d’impresa ed elevava il reddito imponibile della banca ai fini Irpeg, così come il valore della produzione netta ai fini Irap, con conseguente recupero a tassazione e irrogazione delle relative sanzioni. In disparte il quinto rilievo, annullato in via di autotutela, i rimanenti quattro, recepiti nell’atto impositivo, venivano annullati dalla Commissione tributaria provinciale. Promosso appello da parte dell’Ufficio e costituitasi la contribuente, la Commissione tributaria regionale disponeva una CTU contabile le cui conclusioni deponevano a favore della banca. L’appello veniva respinto.

2. Insorge con ricorso l’Avvocatura generale dello Stato, che svolge due censure circoscritte, però, unicamente al primo rilievo ed avente ad oggetto le perdite sui crediti fiscalmente rilevanti. Replica l’istituto di credito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo l’Avvocatura generale dello Stato prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 87 del 1992, art. 20, del D.P.R. n. 917 del 1986 – TUIR, artt. 101 e 106, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1. Segnatamente il patrono erariale dubita che la CTR abbia fatto buon governo dell’art. 101 TUIR, comma 5. Afferma infatti che il giudice d’appello avrebbero accolto l’errata tesi del CTU secondo cui il D.L. n. 83 del 2012 (cosiddetto decreto rilancio), richiamato nell’elaborato peritale, sarebbe inapplicabile al caso di specie, tenuto conto che esso troverebbe applicazione solo nei confronti dei soggetti IAS Adopter. Detta qualifica non era invero riferibile alla contribuente nell’anno d’imposta oggetto di accertamento, essendolo diventata solo nel successivo 2006. Lamenta poi che la CTR avrebbe erroneamente avvalorato l’illegittima condotta della banca, che aveva svalutato integralmente i crediti soltanto ritenuti come inesigibili, di fatto legittimandola a non dover dare prova dell’esistenza di elementi certi e precisi ai fini della deducibilità delle perdite sui crediti. Dopo aver illustrato la disciplina relativa alle iscrizioni a bilancio delle “svalutazioni dei crediti” e delle “perdite sui crediti”, la parte ricorrente rappresenta la diversa deducibilità fiscale delle due voci (svalutazioni e perdite su crediti) e afferma che la svalutazione deve essere collegata all’eventualità del recupero (anche parziale) del credito e che, viceversa, se il credito viene iscritto in bilancio per un valore di realizzo pari a zero, ciò significa che la Banca reputa che esso non sia recuperabile, sicché dovrebbe essere imputato a perdita. Nel caso di specie, la Banca aveva applicato la disciplina della svalutazione (integrale) dei crediti ad una situazione che doveva essere inquadrata come perdita, di tal via rimanendo esonerata dall’onere di fornire preliminarmente la prova della certezza e precisione della perdita stessa.

2. Il motivo è infondato.

Occorre premette che, in materia, questa Corte è giunta a recenti approdi giurisprudenziali, da cui non v’e’ motivo di discostarsi, secondo cui “Ai sensi del codice civile la redazione del bilancio delle società di capitali deve rispondere ai criteri di chiarezza, veridicità e correttezza (art. 2423 c.c., comma 2) e, in particolare, i crediti devono essere iscritti secondo il valore presumibile di realizzazione (art. 2426 c.c., n. 8); norma sostanzialmente identica a quest’ultima è il D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, art. 20, comma 4, che disciplina la contabilità delle banche e degli altri istituti finanziari. In base all’art. 101 TUIR, comma 5, le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi; infine, l’art. 106 TUIR detta le regole per le svalutazioni dei crediti e gli accantonamenti per rischi su crediti. Tanto premesso in termini generali, appare conforme ai surrichiamati principi lato sensu contabili l’asserzione della sentenza impugnata secondo cui è legittima l’imputazione a conto economico dei crediti integralmente svalutati che, prescindendo dal criterio quantitativo (in quanto, nella specie, la svalutazione dei crediti è del 100%, sicché essi sono iscritti in bilancio con valore pari a zero), poggi (esclusivamente) sulla riconosciuta sussistenza del rischio d’inesigibilità “ragionevolmente prevedibile”, ma “non ancora definitiva”. A conclusione di un’analisi valutativo-estimativa – cui sono tenuti, in ogni caso, gli amministratori della società e che, in relazione alle perdite su crediti, come suaccennato, deve essere ancorata ad elementi certi e precisi – nell’ottica della corretta redazione del bilancio e della legittima deducibilità delle due differenti poste, l’esatto discrimine tra “perdite sui crediti” e “svalutazioni dei crediti” è segnato dalla definitività del venire meno della voce: si ha perdita del credito quando esso è divenuto (alla stregua di un giudizio prognostico) definitivamente inesigibile; la svalutazione, totale o parziale, del credito, invece, ne presuppone una perdita (solo) potenziale, probabile, ma non (ancora) certa e definitiva.

2.1 Non è persuasiva l’obiezione dell’Ufficio secondo cui l’integrale svalutazione del credito dovrebbe determinare lo stralcio della posta dal bilancio (ossia la sua cancellazione, come avviene, invece, per le perdite sui crediti), poiché, in tale caso, il credito non è venuto meno né dal punto di vista giuridico – in quanto la pretesa creditoria può essere fatta valere nei confronti del debitore inadempiente – né dal punto di vista economico. Il credito conserva un proprio valore, non è definitivamente perso, è suscettibile di “ripresa di valore”, per rivalutazione e per incasso, e può ancora essere soddisfatto tramite una procedura di recupero coattivo (nella specie, una parte dei crediti, già integralmente svalutati, è stata poi incassata). La sentenza d’appello fa buon governo del parametro della definitività o meno della perdita, quale presupposto della corretta imputazione dei crediti nel senso sopra indicato, e, per di più, si premura di sottolineare l’irrilevanza del “criterio quantitativo”, quale asserito (da parte dell’Amministrazione erariale) discrimen delle due diverse voci contabili a confronto, rimarcando, opportunamente, che, in assenza di elementi chiari e precisi da cui inferire la definitiva inesigibilità del credito, è ben possibile e rispettoso dei principi di diritto civile, tributario, nonché corretto, sul piano contabile, che esso venga anche integralmente svalutato. Ne esce, in tal modo, ben tratteggiata la peculiare natura dei due eventi contabili, ossia il carattere temporaneo della svalutazione del credito e la (tendenziale) definitività ed assolutezza della perdita su crediti. Così delineata la diversa fisionomia dei due istituti della svalutazione (o rettifica di valore) dei crediti e della perdita su crediti, in conclusione, non è convincente nemmeno la tesi dell’Ufficio in virtù della quale, sul piano tributario, la svalutazione (assertivamente illegittima) dei crediti avrebbe comportato un indebito vantaggio fiscale per la contribuente che, in tal modo, avrebbe eluso il limite di deducibilità delle perdite, sancito dall’art. 106 TUIR, comma 5. E’ il caso di ricordare che l’art. 101 TUIR, comma 5, l’art. 106 TUIR, commi 3 e 5, nel disciplinare la rilevanza contabile dei surrichiamati componenti negativi del reddito, configurano un sistema coordinato di deduzioni, che mira ad evitare il rischio che il contribuente fruisca sine titulo di una doppia deduzione di un medesimo componente (il credito)” (Cfr. Cass., V, n. 10685/2018).

3. Con riferimento al caso in esame, una svalutazione integrale del credito non determina l’elusione delle prescrizioni sulla deducibilità di quel componente attivo, perché – in disparte l’ipotesi (pur astrattamente possibile) di una sua successiva ripresa di valore, capace di generare maggiore reddito – se il credito, integralmente svalutato, in progresso di tempo venisse definitivamente perso, non si avrebbe alcuna corrispondente deduzione per essere già stata contabilizzata, negli esercizi precedenti, la rettifica del suo valore.

3.1 Viceversa, l’iscrizione della perdita sul credito, non preventivamente svalutato (soluzione contabile, qui disattesa, che, come suaccennato, a parere dell’Ufficio, sarebbe stata corretta), avrebbe assunto rilevanza fiscale, perché la stessa perdita deducibile sarebbe stata determinata, ai sensi dell’art. 106, comma 5 cit., con riferimento al valore di bilancio del credito (non svalutato in precedenza).

3.2 Per completezza, si precisa che tale conclusione non è inficiata dal D.Lgs. n. 147 del 2015, sopravvenuto art. 13, comma 3, laddove esso afferma: “L’art. 101 TUIR, comma 5 (…) si interpreta nel senso che le svalutazioni contabili dei crediti di modesta entità e di quelli vantati nei confronti di debitori che siano assoggettati a procedure concorsuali o a procedure estere equivalenti ovvero abbiano concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di risanamento, deducibili a decorrere dai periodi di imposta in cui sussistono elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale ed eventualmente non dedotte in tali periodi, sono deducibili nell’esercizio in cui si provvede alla cancellazione del credito dal bilancio in applicazione dei principi contabili” (es. 01C-2002). I lavori parlamentari chiariscono: “Il comma 3 reca una norma di interpretazione autentica relativa al richiamato art. 101 TUIR, comma 5: esso si interpreta nel senso che le svalutazioni contabili dei crediti di modesta entità e quelli normativamente assimilati (assoggettati a procedure concorsuali o a procedure estere equivalenti ovvero abbiamo concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di risanamento), deducibili a decorrere dai periodi di imposta in cui sussistono elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale ed eventualmente non dedotte in tali periodi, sono deducibili nell’esercizio in cui si provvede alla cancellazione del credito dal bilancio in applicazione dei principi contabili. Di conseguenza, la mancata deduzione – in tutto o in parte-come perdite fiscali delle svalutazioni contabili dei crediti nell’esercizio in cui già sussistevano i requisiti per la deduzione non costituisce violazione del principio di competenza fiscale, a condizione che la deduzione avvenga non oltre il periodo di imposta in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla vera e propria cancellazione del credito dal bilancio”. Natura, scopo e genesi della disposizione sono ribaditi nella relazione illustrativa (conf. Cass. V, n. 15218/2021).

4. Ne’ coglie nel segno la censura dell’Ufficio secondo cui la CTR avrebbe recepito acriticamente la tesi del CTU, conseguentemente applicando al caso di specie la disciplina riferibile agli IAS Adopter, invece inapplicabile nella fattispecie in commento per ragioni temporali. Invero, si evince dalla piana lettura della decisione impugnata che la CTR ha fondato la sua decisione sul richiamato art. 106 TUIR e non anche sulla normativa dettata in tema di Ias Adopter.

Il motivo è dunque infondato.

5. Con la seconda doglianza l’Avvocatura generale dello Stato denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo in parametro all’art. 360 c.p.c., n. 5, per aver la CTR omesso di verificare se la banca avesse o meno le giustificate ragioni per procedere alla svalutazione dei crediti, illustrate dalle pagine 13 a 17 del p.v.c.. Afferma che la CTR avrebbe omesso l’esame di dette ragioni che, se valutate, avrebbero indotto la CTR a concludere per l’erroneità dell’operazione di svalutazione dei crediti.

6. Il motivo è inammissibile.

E’ orientamento oramai costante di questa Corte di legittimità quello per cui “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). (…) (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439).” (cfr. Cass. V, n. 34288/2019).

6.1 Nel caso di specie la parte ricorrente, pur avendo fatto valere l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, mira in realtà ad ottenere una rivisitazione e diversa valutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di legittimità perché di esclusiva spettanza del giudice di merito.

7. E ciò in disparte il fatto che il patrono erariale ometta la trascrizione dei corrispondenti motivi di appello, sicché non fornisce nemmeno la prova che quelle circostanze di fatto – che la stessa parte ricorrente ricorda essere state indicate nel p.v.c. ma che non è dato sapere se poi siano state anche trasfuse nel nell’avviso di accertamento – siano effettivamente entrate a far parte del thema decidendum e, soprattutto, siano state sottoposte allo scrutinio della CTR e ciò in violazione del principio di autosufficienza.

Il motivo è pertanto inammissibile.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della Cassa Rurale e Artigiana di (OMISSIS), che liquida in Euro quattromilacento/00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15%, Iva e Cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2021

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