Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34470 del 27/12/2019

Cassazione civile sez. un., 27/12/2019, (ud. 14/10/2019, dep. 27/12/2019), n.34470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente di sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7216/2018 R.G. proposto da:

BLEU SALENTO S.R.L., in persona dell’amministratore unico p.t.

D.P.G.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Gianluigi

Pellegrino, con domicilio eletto in Roma, corso del Rinascimento, n.

11;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GALLIPOLI, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e

difeso dall’Avv. M.L., con domicilio in Roma, piazza

Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– controricorrente –

e

NAUTICA SANTA CATERINA S.R.L., (già Darsena Santa Caterina S.r.l.),

in persona del legale rappresentante p.t. D.T.M.,

rappresentata e difesa dagli Avv. Marcello Leoni e David Dell’Atti,

con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via E. Faà

Di Bruno, n. 79;

– controricorrente

e

REGIONE PUGLIA;

– intimata –

avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 3892/17, depositata il

3 agosto 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 ottobre

2019 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto

la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Darsena Santa Caterina S.r.l. propose ricorso al Tribunale Amministrativo regionale per la Puglia, Sezione distaccata di Lecce, chiedendo l’annullamento a) del provvedimento n. 56 del 19 ottobre 2009, con cui il Comune di Gallipoli aveva rinnovato per sei anni, a far data del 1 gennaio 2009, le licenze di concessione demaniale n. 75/03 del 10 settembre 2003, n. 19/05 del 4 luglio 2005, n. 30/06 del 17 ottobre 2006 e n. 31/08 del 16 maggio 2008, rilasciate in favore della Bleu Salento S.r.l., b) delle connesse autorizzazioni n. (OMISSIS), rilasciate ai sensi dell’art. 24 c.n., c) del provvedimento prot. (OMISSIS) del Settore demanio del Comune.

A sostegno della domanda, la ricorrente dedusse la violazione dei principi di concorrenzialità, trasparenza ed imparzialità operanti in tema di rilascio e rinnovo delle concessioni destinate a strutture per la nautica da diporto, del D.P.R. 2 dicembre 1997, n. 509, dell’art. 37 c.n., in riferimento al giusto rapporto tra diritto d’insistenza e principio di concorrenza, e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 10-bis.

Si costituirono il Comune e la Bleu Salento, che resistettero alla domanda, chiedendone il rigetto.

1.1. Con sentenza del 24 marzo 2011, il Tar accolse la domanda.

2. L’impugnazione proposta dalla Bleu Salento è stata rigettata dal Consiglio di Stato con sentenza del 3 agosto 2017.

A fondamento della decisione, il Giudice amministrativo ha innanzitutto escluso la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, in relazione alla sopravvenienza dei provvedimenti con cui il Comune aveva ulteriormente prorogato le concessioni fino al 31 dicembre 2020, ai sensi del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 1, comma 18, convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25, come modificato dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221. Premesso infatti che con sentenza del 14 luglio 2016, in cause C-458/14 e C67/15, la Corte di Giustizia UE aveva dichiarato che il regime di proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche per attività turistico-ricreative contrastava con l’art. 12, par. 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 e con l’art. 49 TFUE, e ritenuto non pertinente il richiamo alla propria sentenza n. 3936/15, riguardante un’analoga vicenda, ma avente carattere interlocutorio, in quanto recante la proposizione della medesima questione pregiudiziale d’interpretazione della normativa comunitaria, il Consiglio di Stato ha osservato che, alla stregua principi enunciati dalla Corte di Giustizia, doveva ritenersi dubbia la legittimità della predetta proroga, non essendosi il Comune posta la questione dell’eventuale disapplicazione dell’art. 1, comma 18, cit. e della necessità di verificare l’esistenza sul mercato di operatori intenzionati a contendere alla Blue Salento la gestione dell’infrastruttura. In proposito, ha ritenuto ininfluente la circostanza che la concessione rilasciata alla predetta società avesse ad oggetto esclusivamente la gestione di un punto d’ormeggio, mentre la Darsena Santa Caterina era intenzionata a gestire un approdo turistico, osservando da un lato che la norma si riferiva indifferentemente ad entrambe le infrastrutture, e dall’altro che il Comune aveva comunque omesso di verificare se, al di là della ricorrente, vi fossero altri operatori interessati a sostituire la concessionaria, a seguito della scadenza della concessione.

Nel merito, premesso che la domanda della Darsena Santa Caterina era stata proposta prima dell’adozione dei provvedimenti impugnati, il Giudice amministrativo ha affermato che, essendo l’istruttoria ancora in corso a quell’epoca, il Comune non avrebbe potuto limitarsi a dare atto dell’intervenuta proroga della concessione, sia perchè la stessa non si era ancora concretizzata, sia perchè la normativa comunitaria risultava incompatibile con il diritto d’insistenza previsto dall’art. 37 c.n., nel testo, applicabile catione temporis, introdotto dal D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 2, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494. Ha quindi ribadito che il Comune avrebbe dovuto a) innanzitutto verificare l’esistenza di un altro soggetto interessato a gestire più proficuamente la concessione demaniale, e b1) in seguito, una volta palesatasi la Darsena Santa Caterina, verificare se tale società fosse legittimata a proporsi quale nuova titolare della concessione, b2) se essa fosse concretamente interessata alla gestione di un semplice punto di ormeggio o di un più consistente approdo turistico, e b3) se nel frattempo l’infrastruttura si fosse trasformata da punto di ormeggio in approdo turistico. Ha escluso che scelte provvedimentali diverse da quella adottata fossero all’epoca precluse dalla L.R. Puglia 23 giugno 2006, n. 17, art. 17 rilevando che tale disposizione non faceva obbligo, ma consentiva semplicemente ai Comuni, fino all’approvazione del Piano regionale delle coste, di rinnovare le concessioni rilasciate, con durata ed a condizioni identiche a quelle in scadenza, e di rinnovare le concessioni annuali per la durata di sei anni con vincolo di precarietà.

3. Avverso la predetta sentenza la Bleu Salento ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Hanno resistito con controricorsi, illustrati anche con memorie, il Comune di Gallipoli e la Nautica Santa Caterina (già Darsena Santa Caterina). La Regione Puglia non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione per difetto della procura speciale, sollevata dalla difesa del Comune in relazione al tenore letterale del mandato rilasciato al difensore della società ricorrente: il testuale riferimento dello stesso alla revocazione della sentenza impugnata, non proponibile dinanzi a questa Corte, ed alla facoltà di presentare, tra l’altro, motivi aggiunti, non ammessi nel giudizio di legittimità, non può generare infatti equivoci in ordine alla volontà della Bleu Salento di conferire al procuratore l’incarico di proporre ricorso per cassazione; tale intento, chiaramente desumibile dall’apposizione del mandato in calce all’atto e dall’attribuzione al difensore del potere di rappresentare la società dinanzi alla Corte di cassazione, consente di ravvisare nel predetto riferimento il risultato di una mera svista, un errore materiale occorso nella redazione della procura, che non incide sulla riferibilità della stessa all’impugnazione concretamente proposta, e quindi sull’ammissibilità della stessa.

2. Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia l’eccesso di potere giurisdizionale, per violazione del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 34, comma 2, osservando che, nonostante il rilascio di una nuova concessione demaniale, sostitutiva di quella impugnata e fondata su presupposti diversi, la sentenza impugnata ha omesso di dichiarare l’improcedibilità del ricorso, procedendo ad un’autonoma valutazione della legittimità di tale provvedimento, senza considerare che lo stesso non era stato impugnato. Premesso infatti che nel corso del giudizio di appello, con atti nn. 276, 277 e 278 del 31 dicembre 2014, il Comune aveva comunicato ad essa ricorrente la proroga della concessione demaniale n. 56/09 e di quelle per il posizionamento di alcune opere fino al 31 dicembre 2020, ai sensi del D.L. n. 194 del 2009, art. 1, comma 18, come modificato dalla L. n. 221 del 2012, sostiene che il Giudice amministrativo non avrebbe potuto accertare in via incidentale ed ufficiosamente l’illegittimità di tali provvedimenti, non impugnati dalla Darsena Santa Caterina, ma avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare improcedibile il ricorso.

3. Non merita accoglimento, in proposito, l’eccezione sollevata dalla difesa del Comune, secondo cui l’interesse all’impugnazione sarebbe venuto meno per effetto dell’ordinanza n. 215/17, con cui l’Amministrazione ha proceduto all’annullamento d’ufficio dei provvedimenti di rinnovazione delle concessioni impugnati in primo grado, in tal modo determinando anche la caducazione delle ulteriori proroghe successivamente disposte.

La ricorrente ha precisato infatti di aver impugnato la predetta ordinanza dinanzi al Tar Puglia, Sezione distaccata di Lecce, che con sentenza del 30 maggio 2018, n. 921 ha rigettato il ricorso; tale decisione ha costituito a sua volta oggetto d’impugnazione, ancora pendente dinanzi al Consiglio di Stato, che ha dapprima disposto la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado, con ordinanza del 16 luglio 2018, n. 3271, e successivamente, con ordinanza del 31 febbraio 2019, n. 3674, ha disposto la riunione del giudizio di appello a quello di revocazione promosso dalla ricorrente avverso la sentenza impugnata in questa sede, sospendendo entrambi i giudizi in attesa della definizione del presente ricorso. La legittimità dell’ordinanza di annullamento è pertanto tuttora in discussione dinanzi al Giudice amministrativo di secondo grado, il quale, sospendendo l’esecutività della sentenza appellata, ai sensi del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 98 ha paralizzato l’efficacia del provvedimento impugnato in primo grado, in tal modo escludendone di fatto anche l’incidenza sulle proroghe in questione.

4. Non può invece trovare ingresso, in questa sede, l’ulteriore eccezione sollevata da entrambi i controricorrenti, secondo cui la Bleu Salento non avrebbe interesse ad impugnare la dichiarazione d’illegittimità delle proroghe, in quanto, avendo le stesse portata non già sostitutiva degli originari provvedimenti di rinnovazione delle concessioni, ma ricognitiva di un effetto prodottosi ex lege, l’accoglimento del ricorso non consentirebbe di escludere l’interesse della Nautica Santa Caterina ad ottenere, in sede di rinvio, la dichiarazione d’illegittimità dei provvedimenti impugnati, che comporterebbe la caducazione automatica delle proroghe.

In quanto riflettente la persistenza dell’interesse all’impugnazione dei provvedimenti di rinnovazione delle concessioni, indipendentemente dalla dichiarazione d’illegittimità delle proroghe, la predetta questione attiene alla fondatezza dell’eccezione d’improcedibilità sollevata dinanzi al Giudice amministrativo, e non è quindi proponibile nel giudizio d’impugnazione per motivi attinenti alla giurisdizione, il cui oggetto non consiste nella verifica della correttezza giuridica della soluzione adottata dal Giudice amministrativo, ma nell’accertamento dell’avvenuta violazione da parte dello stesso (in positivo o in negativo) dell’ambito della giurisdizione in generale o dei c.d. limiti esterni della sua giurisdizione, configurabile quando esso abbia giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell’erroneo convincimento che essa appartenesse ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al sindacato sulla legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato di merito (cfr. Cass., Sez. Un., 29/03/2017, n. 8117; 5/06/2006, n. 13176; 6/07/2005, n. 14211; 22/09/1997, n. 9344).

5. Il ricorso è peraltro inammissibile.

La questione sottoposta all’esame di questa Corte consiste infatti nello stabilire se, nella parte in cui ha affermato l’illegittimità delle ulteriori proroghe delle concessioni, escludendone pertanto l’idoneità a determinare il venir meno dell’interesse all’impugnazione degli originari provvedimenti di rinnovazione, la sentenza impugnata abbia ecceduto i limiti esterni della giurisdizione spettante al Giudice amministrativo, avendo pronunciato su una questione che non poteva essere affrontata in via incidentale, ma avrebbe dovuto essere sollevata mediante la tempestiva impugnazione dei provvedimenti di proroga.

Tale questione può essere riguardata sotto due diversi profili, concernenti rispettivamente la valutazione dei presupposti per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere e l’osservanza del termine per l’impugnazione degli atti amministrativi, nessuno dei quali coinvolge tuttavia il rispetto dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, con la conseguenza che risultano entrambi inidonei a legittimare la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8. In quanto rimesso al giudice cui spetta la giurisdizione sul rapporto dedotto in giudizio, nell’ambito della necessaria verifica in ordine alla persistenza delle condizioni dell’azione, l’accertamento dei fatti che possono provocare il venir meno dell’interesse alla decisione non può mai comportare il travalicamento dei predetti limiti, costituendo espressione proprio del potere giurisdizionale attribuito al giudice in riferimento alla materia del contendere, il cui esercizio può dar luogo al più ad un error in procedendo (cfr. Cass., Sez. Un., 27/06/ 1986, n. 4280; 2/10/1980, n. 5339; 13/07/1976, n. 2691): in tal senso si è costantemente espressa la giurisprudenza di legittimità, la quale, proprio in riferimento all’ipotesi in cui, come asseritamente accaduto nel caso in esame, il Giudice amministrativo si sia pronunciato in ordine a un atto non più esistente, in quanto sostituito da un nuovo provvedimento adottato dalla Pubblica Amministrazione nelle more del giudizio, ha escluso la possibilità di far valere l’omesso rilievo della cessazione della materia del contendere mediante il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione (cfr. Cass., Sez. Un., 3/10/1977, n. 4178). Esula a sua volta dalla problematica riguardante il rispetto dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa la denuncia dell’inosservanza del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 34, comma 2, nella parte in cui esclude che, al di fuori delle ipotesi previste dal comma 3 (annullamento non più utile per il ricorrente) e dall’art. 30, comma 3 (domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi), il Giudice amministrativo possa conoscere della legittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare ai sensi dell’art. 29: tale disposizione, nel circoscrivere l’ambito della cognizione del giudice adito all’atto impugnato ed a quelli destinati a perdere automaticamente efficacia in conseguenza del suo annullamento, codifica un orientamento già da tempo affermatosi nella giurisprudenza amministrativa, che poneva a carico del ricorrente l’onere d’impugnare specificamente gli atti che non si ponessero in rapporto di presupposizione/consequenzialità immediata, diretta e necessaria con quello impugnato; essa opera in una duplice direzione, impedendo da un lato d’includere nell’oggetto del giudizio l’accertamento della legittimità di atti che non si configurino come conseguenza inevitabile di quello impugnato o come effetto immediato e necessario della determinazione in esso contenuta, ed imponendo dall’altro di ritenere cessata la materia del contendere, ove l’assetto delle situazioni giuridiche risultante dal provvedimento impugnato sia stato inciso da un atto successivo, implicante nuove ed ulteriori valutazioni degl’interessi coinvolti, che non abbia costituito a sua volta oggetto d’impugnazione da parte del ricorrente (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 7/11/ 2018, n. 6290; 20/12/2013, n. 6131; Cons. Stato, Sez. IV, 26/11/2013, n. 5621). In quanto volta a delimitare l’oggetto del giudizio, con riferimento alla domanda proposta dal ricorrente, la norma in esame non concorre all’individuazione dei confini della giurisdizione amministrativa rispetto alla sfera della Pubblica Amministrazione, ma si occupa più semplicemente di disciplinare l’ambito della cognizione del giudice adito rispetto alle controversie rientranti nella sua giurisdizione: la sua eventuale violazione, dando luogo ad una pronuncia sulla legittimità di un atto che non può considerarsi oggetto dell’impugnazione, ovverosia ad una pronuncia oltre i limiti della domanda, non si traduce pertanto in un eccesso di potere giurisdizionale, configurandosi piuttosto come un error in procedendo, non deducibile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, (cfr. Cass., Sez. Un., 22/04/2013, n. 9687; 4/10/2012, n. 16849; 9/06/2006, n. 13433).

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuno dei controricorrenti in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale dallo stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2019

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