Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3447 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. II, 12/02/2010, (ud. 15/01/2010, dep. 12/02/2010), n.3447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DELLE MEDAGLIE D’ORO 201, presso lo studio dell’avvocato

SGADARI STEFANO, rappresentato e difeso dall’avvocato MISCIAGNA

PASQUALE;

– ricorrente –

contro

R.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CASSIA 530, presso lo studio dell’avvocato MASCI

GIORGIO, rappresentato e difeso dagli avvocati DEPALO NICOLANTONIO,

LOIACONO LEONARDO;

– controricorrente –

e contro

R.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 36/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 31/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

15/01/2010 dal Consigliere Dott. BURSESE Gaetano Antonio;

udito l’Avvocato MISCIAGNA Pasquale, difensore del resistente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per l’accoglimento 5 motivo;

rigetto il resto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notif. in data 30.12.93 R.F. citava avanti al tribunale di Bari A.M. per sentire dichiarare la risoluzione del contratto preliminare con lui concluso in data 13.05.93 riguardante la compravendita dell’appartamento sito in (OMISSIS), con la conseguente condanna del convenuto alla restituzione della somma di L. 140.000.000 versata a titolo d’acconto, oltre a quella di L. 40.000.000 concordata dalle stesse parti a titolo di penale. Precisava che con lo stesso contratto il promettente venditore si era impegnato a far acquistare il menzionato immobile direttamente dall’impresa edile R. G. (dalla quale a sua volta l’ A. aveva promesso di acquistarlo), obbligandosi, in caso d’inadempimento, alla restituzione della somma anticipata ed a quella stabilita a titolo di risarcimento del danno. Aggiungeva che il convenuto era rimasto inadempiente in quanto l’immobile promesso in vendita era poi risultato assoggettato al regime di edilizia convenzionata, vincolo che era stato imposto dal costruttore R.G. in favore del Comune di (OMISSIS) e che aveva comportato un’apprezzabile riduzione del relativo prezzo di mercato.

Costituitosi in giudizio, l’ A. contestava la domanda attrice e chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa il R.G. per esserne manlevato, precisando che quest’ultimo, a sua insaputa, aveva sottoscritto con il Comune il vincolo in questione per potere usufruire di agevolazioni fiscali. Il R. G. benche’ regolarmente citato, non si costituiva in giudizio. Nelle more del giudizio, in data 6.10.1998 lo stesso R.G. trasferiva direttamente al R.F. l’immobile in questione. Previa istruzione della causa, il tribunale adito, con sentenza n. 54 del 25.1.2002, dichiarava cessata la materia del contendere tra il R. F. e l’ A. ed in accoglimento della domanda proposta da quest’ultimo nei confronti del nominato R.G., riteneva il medesimo inadempiente al contratto concluso con l’ A. e pertanto lo condannava al pagamento della pattuita penale, con rivalutazione ed interessi per complessivi Euro 35.194,55, oltre al pagamento delle spese processuali.

Avverso la decisione il R.G. proponeva appello, adducendo l’infondatezza della stessa nella parte in cui lo aveva condannato al pagamento della penale ed al risarcimento del danno, in violazione degli artt. 1382 e 1383 c.c.; si costituiva l’ A. chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

L’adita Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. 36/05 depos. in data 31.01.2005, accoglieva il gravame, rigettando la domanda proposta nei confronti del R.G. dall’ A., che condannava al pagamento delle spese del doppio grado. Sosteneva la Corte territoriale che la clausola penale contenuta nel contratto de quo non era stata prevista anche per il semplice ritardo nell’adempimento – che nella fattispecie, era intervenuto sia pure nelle more del giudizio – per cui il R.G. non poteva essere condannato al pagamento di detta penale (che comunque non poteva essere rivalutata), stante il divieto di cumulo con l’esecuzione del contratto.

L’ A. ricorre per la cassazione di tale pronuncia, sulla base di n. 5 censure; il R.G. resiste con controricorso; non hanno svolto difese gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso, l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1383 c.c. nonche’ l’omessa o insufficiente, contraddittoria motivazione della sentenza impugnata.

Ritiene che nella fattispecie non operi il divieto di cumulo tra penale e prestazione principale di cui all’art. 1383 c.c. atteso che l’originaria domanda era stata richiesta la risoluzione del contratto per inadempimento, mentre l’adempimento dello stesso era avvenuto solo nel corso del giudizio. Pertanto la somma pattuita a titolo di penale era dovuta anche se non pattuita per il semplice ritardo, perche’ non poteva essere esclusa l’esistenza di danni connessi con il ritardato adempimento della prestazione.

Con il secondo motivo del ricorso, l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., comma 3 e art. 1455 c.c.;

nonche’ l’omessa insufficiente, contraddittoria motivazione.

L’esecuzione tardiva della prestazione costituisce essa stessa un’ipotesi particolare d’inadempimento, per cui e’ dovuta la penale in questione; d’altra parte, l’azione di risarcimento del danno non presuppone necessariamente anche la pronuncia di risoluzione del contratto avuto riguardo al disposto di cui all’art. 1453 c.c..

Entrambe le censure – congiuntamente esaminate attesa la loro evidente connessione – sono prive di giuridico fondamento.

L’art. 1383 c.c. statuisce chiaramente che la somma pattuita a titolo di penale non e’ dovuta nel caso di mero ritardo nell’adempimento, a meno che non sia stata espressane convenuta per tale specifica ipotesi.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte la clausola penale mira a determinare preventivamente il risarcimento del danno soltanto in relazione all’ipotesi pattuita, che puo’ consistere nel ritardo o nell’inadempimento; ne consegue che essa non puo’ operare per una diversa ipotesi (Cass. n. 23706 del 9.11.2009, secondo cui la clausola non e’ operante neppure nel caso inverso a quello in esame, in cui la penale era stata stipulata per il semplice ritardo e si era invece verificato l’inadempimento).

D’altra parte, come ha osservato il controricorrente, nell’ipotesi di cui trattasi, l’eventuale danno da ritardo avrebbe dovuto essere provato in concreto, nei modi ordinari, ma di certo non poteva liquidarsi con la penale pattuita per l’inadempimento.

Con il terzo motivo del ricorso, l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. nonche’ l’omessa o insufficiente motivazione, in relazione alla questione della rivalutazione della somma pretesa a titolo di penale. Il motivo deve ritenersi assorbito atteso il rigetto dei prime due motivi.

Con il quarto motivo del ricorso, l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 331 c.p.c.; l’omessa insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione.

La censura attiene alla posizione processuale del R.F. ritenuta estranea dal giudice di merito all’impugnazione della sentenza avendo rilevato il la sua totale estraneita’ all’impugnazione della sentenza, “non essendo stata tra l’altro, avanzata alcuna domanda nei suoi confronti”. La doglianza e’ inammissibile non avendo l’esponente alcun interesse in proposito.

Con i quinto motivo del ricorso, infine, l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. nonche’ l’omessa insufficiente, contraddittoria motivazione. Ritiene erronea la pronuncia nel punto in cui il giudice a quo lo aveva condannato al pagamento anche delle spese di primo grado, nel quale il R. G. era rimasto contumace.

La doglianza appare fondata essendo pacifico che nel giudizio di primo grado il R.G. era rimasto contumace e quindi non aveva sopportato alcuna spesa od onere di difesa.

Conclusivamente il ricorso dev’essere accolto unicamente con riferimento a tale ultimo motivo; conseguentemente, potendosi decidere la causa nel merito ex art. 384 c.p.c. la sentenza dev’essere cassata in relazione al motivo accolto in ordine alla condanna alle spese processuali del giudizio di primo grado a carico di R.G., spese che dunque non sono dovute dai ricorrenti a quest’ultimo con riferimento al giudizio di 1 grado.

Attesi i profili processuali della fattispecie, si ritiene di compensare le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta i primi quattro motivi del ricorso; accoglie il 5 motivo e per l’effetto, cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto in ordine alla condanna alle spese del giudizio di primo grado a carico di R.G.. Compensa le spese del giudizio di legittimita’.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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