Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3446 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. I, 12/02/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 12/02/2020), n.3446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13225/2016 proposto da:

M.M., G.F.F., in proprio e nella qualità

di soci e già amministratori della (OMISSIS) s.r.l. in

liquidazione, elettivamente domiciliati in Roma, Via Federico Cesi

n. 21, presso lo studio dell’avvocato Torrisi Salvatore, che li

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Bruno Pietro, Rizzuti

Gaetano, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Ga.Co., L.P.A., P.H.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 545/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

pubblicata il 21/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/11/2019 dal cons. dott. TERRUSI FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

che:

M.M. e G.F.F. hanno proposto ricorso per cassazione “in qualità di soci e già amministratori, ed in proprio, della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione” (d’ora in avanti, breviter, società), avverso la sentenza della corte d’appello di Catanzaro che ne ha respinto il reclamo contro la sentenza del tribunale di Cosenza, dichiarativa del fallimento;

la curatela non ha svolto difese;

i ricorrenti hanno depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – col primo motivo i ricorrenti – la cui legittimazione al ricorso per cassazione deriva dalla qualità rivestita, di amministratori della società prima dello scioglimento (v. Cass. n. 6787-95, Cass. n. 6578-99, Cass. n. 25157-10) – denunziano la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 5 e art. 18, comma 10, poichè la corte d’appello, alla quale era stata sottoposta la questione della ricorrenza o meno dello stato di insolvenza, avrebbe dovuto, dinanzi alla riscontrata carenza probatoria derivante dalle scritture contabili, attivare i poteri istruttori d’ufficio;

col secondo mezzo denunziano la violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., ulteriormente lamentando che la corte d’appello non abbia in tal guisa correttamente applicato le norme sull’onere della prova, imponendo alla società di dimostrare la non ricorrenza dello stato d’insolvenza;

col terzo mezzo, in stretta correlazione, deducono la violazione dell’art. 132 c.p.c., per essere la motivazione della sentenza solo apparente;

infine col quarto motivo eccepiscono l’omesso esame del fatto decisivo se l’attivo patrimoniale della società, una volta liquidato, consentisse o meno di pagare per intero i debiti esistenti;

II. – il ricorso, i cui motivi possono essere unitariamente esaminati per connessione, è manifestamente infondato;

per quanto in effetti rileva, si evince dalla sentenza che in sede di reclamo era stato ascritto al tribunale di non aver “valutato l’insolvenza sulla scorta dei principi richiesti per le società in liquidazione”;

a tal riguardo erano stati dalla reclamante rappresentati gli elementi di asserito “equilibrio tra attivo e passivo”, tali da escludere l’insolvenza;

III. – sul punto la corte d’appello ha raffrontato le poste attive e passive desunte dalle scritture contabili, per quanto lacunose poichè ferme all’anno 2013, e ne ha tratto che, a fronte di un passivo di oltre 7,9 milioni EUR, di cui ben 5,4 milioni da pagarsi nell’anno, l’attivo era risultato composto da appena 34,00 EUR di liquidità, con l’aggiunta di 112.000,00 EUR di crediti e di un valore di bilancio stimato in 7,8 milioni EUR per immobilizzazioni (materiali, immateriali e finanziarie); ha quindi osservato che dalla relazione al bilancio era emersa la consistenza delle dette immobilizzazioni materiali (costituite da attrezzature di laboratorio, mobili, arredi e macchinari, oltre che un fabbricato destinato a opificio), senza tuttavia possibilità di comprendere se in effetti codeste avessero “un mercato”: vale a dire se dessero concrete prospettive di realizzo e in quali tempi, attesa “la loro natura e la obsolescenza che a molti di essi si associa(va)”;

IV. – tale motivata valutazione è idonea a esprimere la ratio decidendi ed esclude il fondamento del terzo motivo di ricorso; mentre tutti gli altri, sebbene parzialmente formulati sub specie di censure in iure, risultano finalizzati a sovvertire il giudizio di merito a proposito della incerta realizzabilità dei beni costituenti l’attivo; giudizio privo di errori di diritto, giacchè quando la società è in liquidazione la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione della L. Fall., art. 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale e integrale soddisfacimento dei creditori sociali (v. per tutte Cass. n. 25167-16, Cass. n. 1941417);

V. – a sua volta la pretesa di ottenere d’ufficio l’espletamento di indagini suppletive, a mezzo c.t.u. o altro, si scontra col carattere discrezionale di tali incombenti, ai quali il giudice del merito può (e deve) dar corso solo ove li ritenga necessari (L. Fall., art. 18, comma 10); sicchè la censura, riferita alla violazione di tale norma, neppure supera il preliminare vaglio di ammissibilità in cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020

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