Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34456 del 24/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 24/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 24/12/2019), n.34456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16861-2018 proposto da:

R.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO

GALLEANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DANIELE BIAGINI;

– ricorrente principale –

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BORGOGNONA, 47,

presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GIAMPIERO PROIA, CARLO MIRABILE;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 293/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 27/03/2018 r.g.n. 982/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO RAIMONDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per: accoglimento primo motivo del

ricorso incidentale, assorbito ricorso principale;

udito l’Avvocato CLAUDIO RIZZO per delega verbale Avvocato SERGIO

NATALE EDOARDO GALLEANO;

udito l’Avvocato CLIZIA CALAMITA DI TRIA per delega verbale Avvocato

CARLO MIRABILE;

udito l’Avvocato CAMILLA NANNETTI per delega verbale Avvocato ARTURO

MARESCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 366/17 del 22.9.2017, il Tribunale di Livorno respingeva l’opposizione proposta da R.A., in base al rito previsto dalla L. n. 92 del 2012, confermando l’ordinanza resa in fase sommaria dallo stesso ufficio con la quale era respinta l’impugnazione proposta dallo stesso R. contro il licenziamento disciplinare per giusta causa intimatogli dalla società Poste italiane s.p.a. il 24.2.2016.

2. La detta sentenza veniva impugnata con reclamo dinanzi alla Corte di appello di Firenze. La società Poste italiane si costituiva per resistere all’impugnazione.

3. Con sentenza pubblicata il 27.2018 la Corte di appello di Firenze, in parziale accoglimento del reclamo, riteneva non proporzionato il licenziamento per giusta causa intimato al reclamante, dichiarava risolto il rapporto di lavoro tra quest’ultimo e la società datrice di lavoro in data 24.2.2016, condannava Poste italiane s.p.a. a corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria omnicomprensiva pari a 24 mensilità della retribuzione globale di fatto ai sensi della L. n. 300 del 1970, novellato art. 18, comma 5 cioè la misura massima prevista dalla legge, oltre interessi e rivalutazione dalla data del licenziamento al saldo, e compensava per un terzo le spese del giudizio, ponendo i residui due terzi a carico di Poste italiane s.p.a.

4. Per quanto qui interessa, la Corte fiorentina, dopo aver confermato la specificità e la tempestività della contestazione ritenute in prime cure, accertava che il lavoratore, dipendente di Poste italiane con qualifica di quadro livello A1, e mansioni di responsabile della qualità area recapito, area manager 2, applicato presso l’unità produttiva (OMISSIS), aveva partecipato a una vasta azione volta ad alterare i risultati degli accertamenti compiuti dalla società per la verifica della qualità del recapito. Tale verifica era compiuta mediante l’invio di lettere “test”, che il lavoratore contribuiva ad intercettare sì da far risultare una qualità del servizio diversa da quella reale. La Corte di merito accertava anche il ruolo attivo del R. nell’organizzazione e nel funzionamento del sistema di intercettazione, ruolo che esprimeva un “atteggiamento psicologico di tipo volitivo.” Il comportamento del lavoratore, però, non era considerato dalla Corte fiorentina sufficiente a integrare una giusta causa di licenziamento, perchè esso si inquadrava in una prassi diffusa protrattasi per lungo tempo, il che non poteva non incidere sul grado di partecipazione volitiva del lavoratore all’illecito, sminuendone la coscienza del disvalore, per cui il licenziamento per giusta causa doveva ritenersi non proporzionato. La misura dell’indennità risarcitoria veniva liquidata nella misura massima prevista dalla legge in considerazione di diversi fattori, quali le dimensioni dell’azienda, la rilevante anzianità di servizio del lavoratore e la sua età anagrafica, che non lasciava prevedere un facile ricollocamento al lavoro, mentre non si doveva tener conto della condotta scorretta da lui tenuta, condotta che pure era stata accertata.

5. Contro quest’ultima sentenza R.A. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Poste italiane s.p.a. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato a tre motivi. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale R.A. denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. perchè la Corte territoriale non gli avrebbe consentito di provare la coincidenza tra il soggetto che avrebbe emesso l’ordine di contraffare i dati sulla qualità del recapito e il soggetto che ha esercitato il potere disciplinare.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale il lavoratore si duole dell’errata interpretazione dell’art. 54 del CCM di Poste Italiane, che avrebbe condotto all’applicazione, in tesi non corretta, della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 in luogo del comma 4 come novellato dalla L. n. 92 del 2012 e della negazione della tutela reintegratoria nel posto di lavoro che invece sarebbe stata dovuta.

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale Poste italiane s.p.a. lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte territoriale tenuto conto, in particolare, dell’accertata esistenza dell’elemento soggettivo, dell’intenzionalità dell’inadempimento e dell’elevatezza delle funzioni svolte dal lavoratore.

4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la società datrice di lavoro denuncia, in via gradata, motivazione assente e/o carente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione e/o errata applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3; violazione e/o errata applicazione dell’art. 54, lett. c) e lett. g) del CCNL di riferimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per non essersi la sentenza impugnata pronunciata sulla domanda subordinata di Poste italiane s.p.a. di qualificare il provvedimento espulsivo irrogato al lavoratore quale licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

5. Infine, con il terzo motivo di ricorso incidentale, Poste italiane s.p.a si duole della violazione e/o errata applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la Corte territoriale riconosciuto al lavoratore l’indennità risarcitoria nella misura massima consentita di 24 mensilità della retribuzione globale di fatto in base a un ragionamento illogico e contraddittorio.

6. Per ragioni logiche va esaminato con priorità il primo motivo del ricorso incidentale di Poste italiane s.p.a. Il motivo è fondato, ciò che comporta l’assorbimento degli altri motivi nonchè del ricorso principale.

7. Con il primo motivo del ricorso incidentale la società Poste italiane pone in rilievo che l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale rivela una condotta estremamente grave, tale da integrare, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, gli estremi della giusta causa di licenziamento e della proporzionalità della sanzione espulsiva. La ricorrente incidentale pone in rilievo che dalla specifica competenza professionale del lavoratore, responsabile qualità recapito area manager (OMISSIS) con la qualifica di Quadro A1, non potrebbe che discendere la piena consapevolezza e volontà di violare le disposizioni interne sul recapito della corrispondenza “in palese violazione di quelli che, quale responsabile della qualità per il territorio di sua competenza, erano suoi precipui doveri di ufficio, ledendo così il vincolo fiduciario riposto dall’Azienda sul proprio dipendente venendo conseguentemente meno la possibilità di fare affidamento, per il futuro, sulla correttezza del suo operato e sulla sua lealtà e fedeltà.”

8. Risulta dall’accertamento in fatto ritenuto dalla Corte di appello che il lavoratore è stato sia destinatario sia mittente di comunicazioni dirette ad alterare i risultati degli accertamenti compiuti dalla società per la verifica della qualità del recapito. La Corte territoriale evidenzia un ruolo attivo del R. – la cui consapevolezza della palese illegittimità della condotta posta in essere non poteva essere revocata in dubbio – nell’organizzazione e nel funzionamento di tale sistema di intercettazione (v. sentenza impugnata, pag. 5).

9. Ora, si deve innanzitutto osservare che la giusta causa di licenziamento è una nozione di legge che si viene ad inscrivere in un ambito di disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi “normativi” e di clausole generali (Generallelauseln) – correttezza (art. 1175 c.c.); obbligo di fedeltà, lealtà, buona fede (art. 1375 c.c.); giusta causa, appunto (art. 2119 c.c.) – il cui contenuto, elastico ed indeterminato, richiede, nel momento giudiziale e sullo sfondo di quella che è stata definita la “spirale ermeneutica” (tra fatto e diritto), di essere integrato, colmato, sia sul piano della quaestio facti sia su quello della quaestio iuris attraverso il contributo dell’interprete, mediante valutazioni e giudizi di valore desumibili dalla coscienza sociale o dal costume o dall’ordinamento giuridico o da regole proprie di determinate cerchie sociali o di particolari discipline o arti o professioni, alla cui stregua poter adeguatamente individuare e delibare altresì le circostanze più concludenti e più pertinenti rispetto a quelle regole, a quelle valutazioni, a quei giudizi di valore, e tali non solo da contribuire, mediante la loro sussunzione, alla prospettazione e configurabilità della tota res (realtà fattuale e regulae iuris), ma da consentire inoltre al giudice di pervenire, sulla scorta di detta complessa realtà, alla soluzione più conforme al diritto, oltre che più ragionevole e consona.

10. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica, come in più occasioni sottolineato da questa Corte, e la disapplicazione delle stesse è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. Pertanto, l’accertamento della ricorrenza, in concreto, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, è sindacabile nel giudizio di legittimità, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale (Cass. n. 13149 del 2016, n. 25044 del 2015; n. 8367 del 2014; n. 5095 del 2011). E ciò, in quanto il giudizio di legittimità deve estendersi pienamente, e non solo per i profili riguardanti la logicità e la completezza della motivazione, oggi nei limiti fissati dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al modo in cui il giudice di merito abbia in concreto applicato una clausola generale, perchè nel farlo compie, appunto, un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma, dando concretezza a quella parte mobile della stessa che il legislatore ha introdotto per consentire l’adeguamento ai mutamenti del contesto storico-sociale (Cass., S.U., n. 2572 del 2012).

11. Nel motivo di ricorso qui in esame, le censure formulate nei confronti della sentenza della Corte fiorentina appaiono conferenti poichè evidenziano in modo puntuale gli standards dai quali il Collegio di merito si è discostato, sottolineando gli errores in iudicando che nella sentenza appaiono palesi, laddove, pur definendosi il comportamento del R. come non meramente passivo, “avendo egli assunto anche un ruolo attivo che esprime un atteggiamento psicologico di tipo volitivo” (sentenza impugnata, pag. 6), si tende a giustificarlo in quanto la “consolidata prassi” all’interno dell’azienda avrebbe sminuito la coscienza del disvalore di tale comportamento, per cui, tenuto conto dell’inquadramento non dirigenziale del lavoratore e dell’inesistenza di precedenti disciplinari, la violazione del lavoratore non poteva ritenersi idonea a ledere irrimediabilmente la fiducia datoriale, tanto da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto. Quasi che, nel descritto contesto lavorativo, dal R. non si potesse esigere altra condotta che quella dallo stesso tenuta, di acritico conformarsi ad una prassi chiaramente illecita e diretta proprio ad ostacolare il corretto dispiegarsi della funzione cui il lavoratore era preposto, quella della qualità del recapito. La qual cosa è ben lungi dalla previsione del disposto della norma di cui all’art. 2014 c.c. che, nel prescrivere (al comma 2) che il prestatore di lavoro debba osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende, obbliga lo stesso prestatore ad usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. E certamente, nella fattispecie, la natura della prestazione dovuta avrebbe dovuto essere oggetto di una particolare attenzione e diligenza da parte di coloro che operavano in quel particolare settore in cui il R. prestava servizio, non come semplice operatore, ma, come si è detto, come quadro responsabile della qualità del recapito.

12. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, il licenziamento disciplinare è giustificato nei casi in cui i fatti attribuiti al prestatore d’opera rivestano il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da ledere irrimediabilmente l’elemento fiduciario. Il giudice di merito deve, pertanto, valutare gli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. n. 1977 del 2016, n. 1351 del 2016, n. 12059 del 2015, n. 25608 del 2014).

13. La Corte territoriale, alla luce delle considerazioni che precedono, non si è attenuta a tale insegnamento e, nonostante l’accertata gravità del fatto, incidente proprio sulle primarie responsabilità affidate al lavoratore, ha sminuito il grado di colpevolezza del lavoratore, senza trarre le dovute conseguenze logico-giuridiche in termini di proporzionalità tra fatto commesso e sanzione irrogata. La Corte di merito, non calibrando il livello di diligenza richiesto al grado del lavoratore e alla specificità delle mansioni, non ha tenuto nel debito conto il fatto che le delicate mansioni attribuite al R. sono state esercitate in modo da arrecare pregiudizio al datore di lavoro, in violazione anche dell’art. 2105 c.c., u.p., con inosservanza dell’obbligo di fedeltà, con grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e con modalità tali da porre in dubbio la futura correttezza con modalità tali da porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento da parte del dipendente (v. Cass. n. 25044 del 2015, cit., e n. 5434 del 2003).

14. Gli altri motivi del ricorso incidentale ed il ricorso principale restano assorbiti, data l’evidente pregiudizialità che, nella fattispecie, la valutazione della condotta rimproverata al lavoratore riveste nei confronti dell’intera controversia, in cui la valutazione della sussistenza della giusta causa del recesso attiene all’intero thema decidendum.

15. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito, a tutti i principi innanzi affermati, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri ed assorbito il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2019

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