Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34445 del 16/11/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/11/2021, (ud. 12/05/2021, dep. 16/11/2021), n.34445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13854-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ AGRICOLA CASTELLO DI CIGOGNOLA SRL, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA VENEZIA 11, presso lo studio

dell’avvocato LIVIA SALVINI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4577/2018 della COMM.TRIB.REG.LOMBARDIA,

depositata il 26/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2021 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del

sostituto procuratore generale Dott. BASILE TOMMASO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 4.5.2016, la D.P. di Pavia notificò alla Società Agricola Castello di Cicognola s.r.l. un avviso di recupero con cui si contestava l’indebito utilizzo in compensazione di un credito IVA maturato nel 2008 e pari ad Euro 381.339,00, e ciò stante l’accertata natura di società di comodo della contribuente, L. n. 724 del 1994, ex art. 30. La società impugnò l’avviso con ricorso dinanzi alla C.T.P. di Pavia, che con sentenza n. 34/02/16 lo accolse, rilevando che la società operava in modo continuativo e che nella specie, non trattandosi di crediti inesistenti, non poteva trovare applicazione il termine decadenziale di otto anni D.L. n. 185 del 2008, ex art. 27, comma 16, conv. in L. n. 2 del 2009, bensì quello ordinario quadriennale, nella specie non rispettato. Avverso detta sentenza, propose appello l’Agenzia delle Entrate, ma la C.T.R. della Lombardia, con sentenza n. 4577/2018 del 26.10.2018, lo rigettò, in particolare evidenziando che, per effetto della novella apportata al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 dal D.Lgs. n. 158 del 2015, si è al cospetto di compensazione di un credito “non spettante” e non già di un “credito inesistente”, come pure implicitamente ritenuto dalla stessa Agenzia, laddove ha comminato la sanzione del 30% del credito utilizzato, ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 4, anziché quella prevista dal comma 5, nella misura dal 100% al 200% del credito.

L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, affidandosi ad un unico motibo cui resiste la società con controricorso, illustrato da memoria ex art. 380-bis c.p.c. Con ordinanza interlocutoria n. 29717/2020 del 29.12.2020, la Sez. VI-T ha rimesso il ricorso a questa Sezione per la discussione in udienza pubblica, non sussistendo i presupposti per la sua definizione ai sensi dell’art. 375 c.p.c. Il P.G. ha quindi rassegnato conclusioni scritte, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in L. n. 176 del 2020, chiedendo l’accoglimento del ricorso. La controricorrente ha depositato ulteriore memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con l’unico motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16, conv. in L. n. 2 del 2009, conseguente alla falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente si duole dell’erroneità della decisione d’appello, nella parte in cui s’e’ distinto, ai fini della verifica della tempestività dell’azione di recupero, tra l’ipotesi della inesistenza del credito d’imposta indebitamente portato in compensazione (cui solo si riferisce la disciplina speciale in rubrica, che prevede il raddoppio dei termini di accertamento), e quella della mera non spettanza del credito. Ritiene invece la ricorrente che una tale distinzione – valevole soltanto nell’ambito sanzionatorio e solo dal 2015, per effetto delle modifiche apportate al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 dal D.Lgs. n. 158 del 2015 – non abbia ragion d’essere ai fini del calcolo del termine per l’accertamento, che deve ritenersi nella specie soggetto al raddoppio ai sensi dell’art. 27, comma 16, cit. Pertanto, avrebbe errato la C.T.R. nel rilevare l’intervenuta decadenza per superamento del termine quadriennale.

2.1 – Il ricorso è infondato.

Il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16, conv. in L. n. 2 del 2009, così recita: “Salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per il reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater, l’atto di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 421, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”. La questione del termine di decadenza in discorso risulta senz’altro intercettata dalla nuova disciplina dettata dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 5, introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15 che così stabilisce: “Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16, comma 3, e art. 17, comma 2. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 36-bis e 36-ter e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54-bis”.

Come è evidente, nel contesto della rideterminazione del quadro sanzionatorio circa l’indebita compensazione di crediti, il D.Lgs. n. 471 del 1997, “nuovo” art. 13, comma 5, terzo periodo, come appunto introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15 si spinge a dettare la definizione normativa di credito “inesistente”, tale essendo il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36-bis e 36-ter e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis.

Al riguardo, può dunque affermarsi che il credito fiscale illegittimamente utilizzato dal contribuente può dirsi “inesistente” quando ne manca il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente) e quando tale mancanza sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell’anagrafe tributaria, banca dati pubblica disciplinata dal D.P.R. n. 605 del 1973, su cui detti controlli anche si fondano. Non è affatto casuale, del resto, che il raddoppio dei termini di decadenza in discorso sia collegato alla non immediata riscontrabilità da parte del fisco, mediante i suddetti controlli, del carattere indebito della compensazione, la maggior durata giustificandosi, all’evidenza, solo per i casi in cui sia necessaria una più complessa attività istruttoria.

Così stando le cose, ritiene la Corte che l’affermazione secondo cui sarebbe priva di senso logico-giuridico la distinzione tra “credito inesistente” e “credito non spettante” – come sostenuto, nel solco die Cass. n. 10112/2017, da Cass. n. 19237/2017 (di recente confermata da Cass. n. 24093/2020 e da Cass. n. 354/2021) – vada necessariamente superata anche per effetto della citata novella, non solo perché quest’ultima è direttamente applicabile alla fattispecie, ratione temporis, ma anche perché nella stessa definizione positiva di “credito inesistente” può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base dell’originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati dal contribuente, mediante l’emissione dell’atto di recupero di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421.

Infatti, è già assai significativo che tale ultima disposizione si riferisca in linea generale alla “riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17”, mentre l’art. 27, comma 16, D.L. cit., che estende il termine di decadenza all’ottennio dal relativo utilizzo, concerna invece la sola “riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17”, ossia – già intuitivamente, sul piano semantico, prim’ancora che giuridico – ad una fattispecie necessariamente più ristretta rispetto a quella generale, evidentemente ritenuta più grave. A ciò si aggiunga che la citata novella del 2015 si innesta nella riscrittura della norma già contenuta nel contestualmente abrogato art. 27, comma 18, D.L. cit. (che regolava il relativo quadro sanzionatorio), e mira quindi a specificare il contenuto del precetto originario, così ancorando la nozione di “credito inesistente” ad una dimensione anche secondo il linguaggio comune – “non reale” o “non vera”, ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza (come pure può evincersi dal contenuto della Relazione illustrativa al D.L. n. 185 del 2008).

In tale prospettiva, il ricorso è dunque infondato, perché – fermo l’incontestato accertamento fattuale circa la mera non spettanza del credito IVA per cui è processo, a cagione del mancato superamento del test di operatività di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, – la tesi seguita dalla C.T.R., laddove si distingue, ai fini della verifica della tempestività del recupero fiscale, tra “credito inesistente” e “credito non spettante e/o non utilizzabile”, è del tutto corretta e conforme all’impianto normativo pretesamente violato. Del resto, come anche evidenziato dal giudice d’appello, non può non rilevarsi come detta distinzione finisca con l’essere corroborata dalla stessa attività di recupero realizzata dall’Agenzia, che ha inflitto alla contribuente la sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 4, concernente appunto l’indebito utilizzo di “crediti non spettanti”, e non già la sanzione di cui al comma 5 della stessa disposizione, relativa invece ai “crediti inesistenti”.

Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l’applicazione del termine di decadenza “termale, previsto dal D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16, conv. in L. n. 2 del 2009, presuppone l’utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 5, terzo periodo, (introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15) – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non e’, cioè, “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36-bis e 36-ter e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis”.

3.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato. La complessità delle questioni trattate, testimoniata anche dalla sussistenza di precedenti di legittimità di segno contrario alla presente decisione, giustifica ampiamente l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2021

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