Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34443 del 16/11/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/11/2021, (ud. 12/05/2021, dep. 16/11/2021), n.34443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11850-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

HOTEL VECCHIA TAVERNA DI S.C. & C SNC;

– intimata –

avverso la sentenza n. 574/2012 della COMM.TRIB.REG.CAMPANIA

SEZ.DIST. di SALERNO, depositata il 06/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2021 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del

sostituto procuratore generale Dott. BASILE TOMMASO, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 17.11.2009, l’Ufficio di Eboli notificò a Hotel Vecchia Salerno di S.C. & C. s.n.c. un avviso di recupero con cui si contestava l’indebito utilizzo in compensazione di un credito IVA maturato nel 2008, dell’importo di Euro 68.577,36, procedendo altresì all’irrogazione della sanzione pari al 200% del credito, ai sensi del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 18, conv. in L. n. 2 del 2009. La società impugnò l’avviso con ricorso dinanzi alla C.T.P. di Salerno, che con sentenza n. 230/08/11 lo accolse parzialmente, rideterminando l’importo indebitamente portato in compensazione in Euro 57.787,84 e riducendo la sanzione al 30% del credito, in considerazione del fatto che la maggior percentuale prevista dall’art. 27 cit. concerne unicamente l’ipotesi della inesistenza tout court del credito d’imposta. Avverso detta sentenza propose appello l’Agenzia delle Entrate, ma la C.T.R. della Campania, sez. st. di Salerno lo rigettò con decisione del 6.11.2012, in particolare ribadendo la correttezza della rideterminazione della sanzione al 30% del credito indebitamente portato in compensazione, in applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 così come ritenuto dal primo giudice.

L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, affidandosi a due motivi. La società è rimasta intimata. Con ordinanza interlocutoria resa a seguito dell’adunanza camerale del 26.1.2021, il ricorso è stato rimesso all’odierna udienza pubblica, in ragione dell’interesse nomofilattico inerente alla questione della distinzione, ai fini dell’applicazione della sanzione, tra “credito inesistente” e “credito non spettante”. Il P.G. ha quindi rassegnato conclusioni scritte, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in L. n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 18, secondo periodo, conv. in L. n. 2 del 2009, come modificato dal D.L. n. 5 del 2009, art. 7, comma 2, conv. in L. n. 33 del 2009, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 La ricorrente evidenzia che, a far data dall’11.2.2009, la sanzione irrogabile in caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per importo superiore a cinquantamila Euro è pari al 200% del credito indebitamente utilizzato, sicché ha errato la C.T.R. nel diversamente opinare, in quanto, ai sensi del D.P.R. n. 435 del 2001, art. 11, comma 5, (nel testo applicabile ratione temporis), per il credito IVA maturato nel periodo infrannuale del 2009 (primo, secondo e terzo trimestre), la compensazione può effettuarsi previa presentazione di apposita dichiarazione all’Agenzia delle Entrate, adempimento che la società non ha espletato, con conseguente disconoscimento dei crediti relativi, da considerarsi appunto inesistenti.

1.2 – Con il secondo motivo, proposto in subordine, si denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 La ricorrente ripropone i medesimi argomenti prima evidenziati, sotto il profilo del preteso vizio motivazionale, assumendo che la C.T.R. ha omesso di valutare quanto dedotto con l’appello.

2.1 – Il primo motivo è infondato.

Il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 18, conv. in L. n. 2 del 2009, è stato abrogato dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 32, comma 2, lett. b), a decorrere dal 1 gennaio 2016 (data così anticipata per effetto della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 133). Di ciò si dirà infra.

In ogni caso la disposizione, nel testo all’epoca in vigore, così recitava: “L’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è punito con la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. E’ punito con la sanzione del duecento per cento della misura dei crediti compensati chiunque utilizza i crediti di cui al primo periodo per il pagamento delle somme dovute per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun anno solare”.

Per quanto qui interessa, la fattispecie rientra oggi nella previsione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 5, introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15 che così stabilisce: “Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16, comma 3, e art. 17, comma 2. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 36-bis e 36-ter e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54-bis”.

Come è evidente, l’originaria previsione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 18, secondo periodo, che commina la sanzione “secca” del 200% per l’indebito utilizzo di crediti superiori a cinquantamila Euro, è stata senz’altro abrogata, sicché la tesi agenziale non può comunque trovare accoglimento, potendo al più discutersi di una sanzione compresa tra il 100% e il 200% del credito, e ciò in applicazione del principio del favor rei, D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 3.

Tuttavia, del D.Lgs. n. 471 del 1997, il “nuovo” art. 13, comma 5, terzo periodo, come appunto introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15 si spinge a dettare la definizione normativa di credito “inesistente” ai fini che interessano, tale essendo il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36-bis e 36-ter e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis.

Al riguardo, può dunque affermarsi che il credito fiscale illegittimamente utilizzato dal contribuente può dirsi “inesistente” quando manca il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente) e quando tale mancanza sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell’anagrafe tributaria, banca dati pubblica disciplinata dal D.P.R. n. 605 del 1973, su cui detti controlli anche si fondano.

Così stando le cose, ritiene la Corte che l’affermazione secondo cui sarebbe priva di senso la distinzione tra “credito inesistente” e “credito non spettante” – come sostenuto, nel solco di Cass. n. 10112/2017, da Cass. n. 19237/2017 (di recente confermata da Cass. n. 24093/2020 e da Cass. n. 354/2021) – vada necessariamente contestualizzata, non solo perché riferita a problematica diversa da quella qui in esame (le citate pronunce concernono, infatti, il termine di decadenza per gli accertamenti dell’ufficio ai fini del recupero dei crediti d’imposta indebitamente compensati), ma soprattutto perché comunque superata dalla citata novella.

Ne discende, ulteriormente, che nella specie – posto che il maggior credito disconosciuto dall’Agenzia non è utilizzabile per soli motivi formali, come accertato dalla C.T.R. con apprezzamento di merito non adeguatamente censurato e come sostanzialmente riconosciuto dalla stessa ricorrente (v. ricorso, passim) – non si pone alcun problema di applicazione del principio del favor rei, giacché, anche per effetto della descritta definizione normativa di credito inesistente, non si rientra in tale ultima ipotesi. Del resto, costituisce riprova di ciò la previsione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 4, anch’esso introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15 secondo cui “Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato”.

Detto ultimo intervento normativo, in verità, mira a meglio delimitare i contorni della definizione normativa di cui s’e’ detto e non ha portata realmente innovativa in subiecta materia, essendosi già da tempo affermato, nella giurisprudenza di questa Corte, che “In tema di IVA, la dichiarazione di cui al D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3, contenente i dati richiesti per l’istanza di rimborso, fin dal momento della sua introduzione e prima ancora della previsione di uno specifico termine per il suo espletamento, integra un presupposto della compensazione, sicché, pur non escludendo, in presenza delle altre condizioni, l’esistenza di un credito d’IVA suscettibile comunque di rimborso e non determinando conseguentemente il suo recupero da parte dell’amministrazione finanziaria, la sua omissione giustifica l’applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, commi 1 e 2, in quanto strumentale a controlli di tipo sostanziale” (Cass. n. 33102/2019) e ancora “In tema di agevolazioni tributarie, il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 così come accade ogniqualvolta sia utilizzata,Ú compensazione in assenza dei relativi presupposti” (Cass. n. 18080/2017). Il che è quanto, nella sostanza, ha ritenuto il giudice d’appello.

Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, il discrimine ai fini dell’applicazione della sanzione del 30%, ovvero della sanzione dal 100% al 200% del credito indebitamente utilizzato, come previste dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, commi 4 e 5, (introdotti dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15 con contestuale abrogazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 18, conv. in L. n. 2 del 2009, come modificato dal D.L. n. 5 del 2009, art. 7, comma 2, conv. in L. n. 33 del 2009) va individuato, rispettivamente, nell’utilizzo di un credito “non spettante” ovvero di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – ai sensi dello stesso art. 13, comma 5, terzo periodo, D.Lgs. cit. – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non e’, cioè, “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36-bis e 36-ter e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis”.

3.1 – Il secondo motivo, proposto in subordine, è inammissibile.

La ricorrente ha infatti denunciato il vizio di omessa motivazione ai sensi del previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza però tener conto che nella specie era applicabile il nuovo disposto della norma processuale (che, al riguardo, prevede la proponibilità del ricorso per cassazione per “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”, su cui si veda in generale Cass., Sez. un., n. 8053/2014), la sentenza essendo stata depositata in data successiva all’11.9.2012, data di entrata in vigore della modifica apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012.

4.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato. Nulla va disposto sulle spese, l’intimata non avendo svolto difese.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2021

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