Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34440 del 24/12/2019

Cassazione civile sez. un., 24/12/2019, (ud. 14/10/2019, dep. 24/12/2019), n.34440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente di sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11765-2019 proposto da:

D.R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSANO D’ADDA

25, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA PORZIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato ORAZIO PAPALE;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI NOLA, PROCURATORE DELLA

REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI NOLA, PROCURATORE GENERALE DELLA

REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 252/2018 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 31/12/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2019 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con Delib. 5 aprile 2016, il COA di Nola comunicava ad D.R.A., in possesso del titolo di Avocat rilasciato in Romania dall’U.N. B.R. – struttura “Bota”, l’avvenuta cancellazione dall’elenco speciale degli avvocati stabilizzati ex D.Lgs. n. 96 del 2001.

Avverso detto provvedimento l’odierna ricorrente proponeva ricorso avanti al Consiglio Nazionale Forense che, con sentenza n. 252 depositata il 31 dicembre 2018, lo rigettava.

Ritenute inammissibili ed in ogni caso infondate le istanze di ricusazione, nonchè le questioni di legittimità costituzionale e di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, il Consiglio Nazionale Forense rilevava che il COA avesse correttamente agito, nel pieno rispetto delle norme di legge quanto alle denunziate violazioni di norme procedimentali, trovando nella specie applicazione il combinato disposto della L. n. 247 del 2012, art. 17 e R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 45 per cui la partecipazione dell’iscritto al procedimento una volta comunicato l’invito a comparire, costituiva una facoltà il cui esercizio era riservato allo stesso, relativamente al merito della delibera impugnata, condivideva la conclusione, nel senso che la valutazione di idoneità del titolo di iscrizione spetta all’autorità competente dello Stato da cui il titolo è rilasciato.

Avverso questa decisione propone ricorso per cassazione, articolato in sette motivi, D.R.A., chiedendo altresì, la sospensione dell’esecuzione della decisione impugnata e la trasmissione alla Corte di Giustizia delle questioni pregiudiziali.

Il Consiglio dell’Ordine Forense di Caltagirone è rimasto intimato.

Attivato il procedimento camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotto, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L.31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 (applicabile al ricorso in oggetto ai sensi del medesimo D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 2), la causa è stata riservata in decisione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 56 bis, comma 2 bis della direttiva 2013/55/UE. In particolare, secondo la ricorrente, il Consiglio Nazionale Forense avrebbe errato nel ritenere applicabile la procedura IMI, stante il difetto di vigenza della stessa al momento dell’iscrizione.

Il motivo è infondato.

E’ preliminare ricostruire il quadro normativo richiamato dall’odierna ricorrente al fine di chiarirne la portata e le finalità.

La direttiva 2013/55/UE, recante modifiche alla direttiva 2005/36/CE per il riconoscimento delle qualifiche professionali e del regolamento UE n. 1024/2012, relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno, c.d. “regolamento IMI”, ha introdotto una serie di misure volte alla semplificazione amministrativa per i prestatori di servizi.

Tra queste, vi è, innanzitutto, l’introduzione della Tessera Professionale Europea (o Epc, European Professional Card), che funge, a scelta del richiedente, come strumento di semplificazione della prestazione temporanea e occasionale di servizi e del riconoscimento delle qualifiche professionali. La Tessera accelera lo scambio di informazioni tra lo Stato membro ospitante e quello di origine grazie a una procedura di riconoscimento elettronico tramite il sistema IMI.

Nel medesimo abito l’art. 1 della direttiva, al considerando 44 lett. b), ha introdotto, all’art. 56 della direttiva 2005/36 il comma 2 bis il quale dispone che “Ai fini dei paragrafi 1 e 2, le autorità competenti devono utilizzare il sistema IMI”.

Il sistema Imi o “Sistema di informazione del mercato interno” (Internal Market Information) è uno strumento elettronico per lo scambio di informazioni tra le autorità competenti degli Stati membri. E’ stato inizialmente disciplinato mediante decisioni (CGUE, 19 gennaio 2006, causa C-330/03 e CGUE, 27 giugno 2013, causa C575/11), che ne hanno esteso l’applicazione anche alla direttiva 2005/36/CE e attualmente, la materia è soggetta al regolamento UE n. 1024/2012 cit.

Dunque, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, non si tratta di una procedura totalmente nuova e dunque obbligatoria solo a far data dal 28 dicembre 2013, poichè già prima dell’ultima direttiva 2005/36/CE, il sistema era disciplinato mediante interpretazioni giurisprudenziali. In particolare, le pronunce CGUE hanno avuto la funzione di estendere l’applicazione del sistema creato dalle direttive di mutuo riconoscimento dei titoli professionali, senza tuttavia creare ex novo una procedura fino ad allora inesistente.

D’altronde, lo stesso legislatore comunitario ha chiarito che, la direttiva in questione, contribuisce solo a rafforzare obblighi già esistenti: “In futuro gli Stati membri non dovrebbero solo reagire alle richieste di informazioni, ma le loro autorità competenti dovrebbero altresì avere il potere, nei limiti delle rispettive competenze, di allertare in modo proattivo le autorità competenti di altri Stati membri in merito a professionisti che non sono più abilitati ad esercitare la loro professione” (considerando 29 della direttiva 2013/55/ UE).

Del resto i controlli delle autorità competenti sui prestatori di servizi professionali, tengono conto dell’interesse della sicurezza dei destinatari dei servizi, ma anche dei diritti del professionisti e, inoltre, tramite il sistema IMI è anche attivabile il meccanismo di allerta, già previsto dalla direttiva 2006/126/CE relativa ai servizi nel mercato interno, per la segnalazione di sanzioni penali o disciplinari a carico del professionista che richieda il riconoscimento della propria qualifica professionale.

Per tali ragioni, correttamente il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto applicabile al caso di specie la normativa di riferimento.

Il secondo motivo è rubricato “Pregiudiziale Corte di giustizia Europea” e censura la sentenza del CNF per aver rigettato l’istanza di sospensione del procedimento e la formulazione alla Corte di Giustizia Europea del quesito da lei formulato.

Il motivo è inammissibile.

La doglianza, formulata in modo generico e aspecifico, non censura un capo determinato della sentenza impugnata e non individua puntualmente la violazione di legge in cui sarebbe incorso il CNF. In ogni caso, dal motivo, non viene in rilievo una questione di interpretazione della normativa comunitaria, ma unicamente la rilevanza che, sul piano probatorio, assumono le informazioni provenienti dall’indicato organismo; quindi, non di interpretazione della normativa comunitaria si tratta, bensì, unicamente, dell’apprezzamento di prove, anche documentali, concernenti la provenienza del titolo abilitante all’esercizio della professione da un organismo effettivamente abilitato, nel proprio ordinamento, a rilasciare quel titolo (in tal senso, Cass. Sez. Un. 22398 del 2016 e Cass. Sez. Un. 13400 del 2017).

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la nullità del procedimento per violazione del R.D. n. 1578 del 1933, art. 45 con riguardo alla circostanza che il COA abbia disposto la cancellazione degli avocat senza previa convocazione degli stessi. A sostegno della censura la ricorrente richiama un precedente di questa Corte, l’ordinanza del 21 luglio 2016, n. 15042 adottata in sede cautelare e confermata con la sentenza n. 6963 del 17 marzo 2017.

Il motivo è privo di pregio alla luce delle considerazioni che verranno di seguito illustrate.

E’ pacifico, nella vicenda in esame, che l’avocat sia stata invitata a presentare eventuali osservazioni entro il termine di trenta giorni, come accertato dal CNF e a norma della Legge Professionale Forense, art. 17 e specificamente del comma 12, allo stesso spettava la facoltà di chiedere di essere ascoltato personalmente. La ricorrente pur non avendolo fatto, sostiene che il COA avrebbe comunque dovuto citarlo dinanzi a sè, in applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 45 che disciplina la procedura per applicazione dei provvedimenti disciplinari, in questi termini: “(nessuna sanzione disciplinare) può essere inflitta (dal Consiglio dell’Ordine) senza che l’incolpato sia stato citato a comparire davanti ad esso, con l’assegnazione di un termine non minore di dieci giorni, per essere sentito a sue discolpe”.

Come le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza n. 3706 del 2019 (non massimata) hanno chiarito, la procedura di cancellazione regolata dall’art. 17 non è una procedura disciplinare. Se lo fosse, la disciplina dei procedimenti disciplinari sarebbe applicabile in via diretta, circostanza che al contrario non si verifica. Del resto, la legge professionale distingue e regola in gruppi di norme diverse procedura di cancellazione per carenza dei requisiti (art. 17) e procedura disciplinare (titolo V).

La disciplina del procedimento disciplinare è chiamata ad integrare la regolamentazione dell’art. 17 “in quanto applicabile”, cioè solo in quanto manchi una norma specifica nella disciplina sulla iscrizione e cancellazione dall’albo per assenza dei requisiti di legge e solo in quanto non vi sia rapporto di incompatibilità tra le due normative.

Ciò non avviene nel caso in esame. Infatti, come si è visto, la disciplina specifica dettata dall’art. 17, comma 12 prevede che il COA quando rilevi la mancanza di un requisito necessario per l’iscrizione, prima di deliberare la cancellazione ha l’obbligo di invitare l’iscritto a presentare le sue osservazioni, riconoscendosi a quest’ultimo la facoltà di essere ascoltato, il COA è obbligato a provvedervi, in tal casi non può adottare alcuna deliberazione senza avere preventivamente convocato l’iscritto.

Questa disciplina è specifica ed incompatibile con quella dettata per la procedura disciplinare, che impone sempre e comunque la citazione dell’incolpato. Nè può ragionevolmente sostenersi che la disciplina specifica leda il principio del contraddittorio, perchè l’invito a comparire costituisce pur sempre un obbligo per il COA anche nella procedura per la cancellazione, ma nella sola ipotesi che l’iscritto ne faccia richiesta. La scelta è rimessa all’avocat interessato.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 295 c.p.c., per avere il Consiglio Nazionale forense rigettato l’istanza di sospensione necessaria, in attesa della definizione della causa introdotta innanzi al Tribunale di Roma n. 84028/2016 RG.

La censura non coglie la ratio decidendi.

Il CNF, correttamente pronunciandosi sulla pregiudiziale richiesta di sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c., ha chiarito che affinchè possa operare la suddetta norma, è necessario che ricorra un rapporto di dipendenza tra i giudizi.

Nella vicenda in esame, orbene, tale rapporto non sussiste, dal momento che la causa introdotta innanzi al Tribunale di Roma n. 84028/2016 ha ad oggetto la presunta violazione della direttiva Europea 98/05 e mira ad ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento dei danni, con conseguente petitum e causa petendi diversi rispetto all’odierna richiesta di annullamento della delibera di cancellazione.

Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies. In particolare, secondo la ricorrente, il Consiglio Nazionale Forense avrebbe adottato il provvedimento di cancellazione dall’Albo degli avvocati stabiliti in termini “non ragionevoli”, secondo la disciplina dettata dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies.

Con il sesto motivo la ricorrente deduce la violazione del principio del legittimo affidamento. In particolare, avendo la ricorrente conseguito il titolo BOTA nella convinzione della sua legittimità, avrebbe errato CNF a dichiararlo illegittimo.

I motivi, da trattare unitariamente vertendo sulla medesima questione, sono inammissibili prima che infondati.

Sono inammissibile nella parte in cui fanno discendere il termine, entro cui il CNF avrebbe potuto adottare la delibera di cancellazione, dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies e non dalla puntuale norma di riferimento, il D.Lgs. n. 96 del 2001, art. 12.

Sono altresì infondati: è sufficiente evidenziare quanto affermato dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza impugnata.

La ratio perseguita dal legislatore, infatti, è il corretto esercizio della professione forense, cui non si può validamente opporre un termine ultimo di esercizio per effetto di un diritto quesito del ricorrente ovvero il legittimo affidamento del ricorrente. Egli infatti, non solo deve possedere, in qualsiasi momento in cui risulti iscritto all’Albo, tutti i requisiti necessari, ma ha altresì l’obbligo di attestare annualmente con certificazione la regolarità dell’iscrizione.

Con il settimo motivo la ricorrente denuncia la nullità del procedimento per contraddittorietà ed eccesso di potere da parte del COA di Nola. In particolare, secondo la ricorrente, in modo contraddittorio, il COA di Nola avrebbe, da un lato, avviato il procedimento di cancellazione della D.R. e, dall’altro, iscritto due avocat aventi il medesimo titolo BOTA della ricorrente.

Il motivo è inammissibile.

Come correttamente sostenuto e chiarito nella decisione impugnata dal CNF, la censura sollevata dalla ricorrente non coglie la ratio delle decisioni susseguitesi, prima del Consiglio dell’Ordine di Nola e poi del Consiglio Nazionale Forense.

In primo luogo, l’interesse pubblico alla cancellazione non poteva condurre all’adozione di altro provvedimento, se non quello deliberato dal COA di Nola; in secondo luogo, oltre ad essere irrilevante l’eventuale iscrizione di soggetti non aventi i requisiti al fine che qui interessa, comunque il momento della cancellazione della D.R., avvenuta in data 5 aprile 2016, si pone successivamente alle presunte iscrizioni avvenute, a detta della ricorrente, in data 21 ottobre 2014 e 10 febbraio 2015.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Dal rigetto nel merito del ricorso discende l’assorbimento della richiesta volta alla sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato.

Nessuna pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità per non avere l’intimato svolto alcuna attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

dichiara assorbita l’istanza di sospensione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 14 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2019

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