Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3444 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. I, 12/02/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 12/02/2020), n.3444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12041/2015 proposto da:

D.C.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale

Clodio, 61 presso lo studio dell’avvocato Anna Mattioli e

rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Ghelli per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MONTALE, in persona del Sindaco in carica, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Vito Sinisi, 71 presso lo studio

dell’avvocato Arierigo Cianti e rappresentato e difeso dall’avvocato

Paolo Golini per procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza non definitiva n. 965/2011 e quella definitiva n.

503/2014 della Corte di appello di Firenze depositate il 18.07.2011

ed il 20.03.2014;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella camera di consiglio del 19/11/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Pistoia con sentenza n. 115 del 2006, decidendo sulla preliminare eccezione di decadenza di cui riteneva la fondatezza, non avendo l’attore prodotto alcuna documentazione comprovante la denuncia dei vizi, rigettava le domande di accertamento della responsabilità contrattuale ex art. 1669 c.c. dell’impresa D.C.A. e dei conseguenti danni proposte dal Comune di Montale, quanto alla realizzazione di una palestra commissionata all’impresa giusta contratto di appalto rep. (OMISSIS) e successive modifiche, apportate per contratti rep. (OMISSIS) e rep. (OMISSIS).

2. La Corte di appello di Firenze con sentenza non definitiva n. 965 del 2011 – avverso la quale tempestivamente l’impresa D. riservava ricorso per cassazione – rilevato che la fattispecie andava inquadrata nella previsione dell’art. 1669 c.c., apprezzata l’infondatezza dell’eccezione di decadenza e revocata l’impugnata sentenza di primo grado, disponeva c.t.u. all’esito del cui espletamento e deposito dichiarava, con sentenza definitiva n. 503 del 2014, la responsabilità dell’impresa che condannava al risarcimento dei danni da infiltrazione in favore del Comune di Montale nella misura di Euro 43.640,55 oltre accessori.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza di appello D.C.A., già titolare dell’omonima ditta, con cinque motivi a cui resiste con controricorso, illustrato da memoria, il Comune di Montale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di legge in relazione agli artt. 1669 e 2697 c.c.

Come rilevato dal giudice di primo non vi sarebbe stata la prova che essendo stati collaudati nel 1999 i lavori di realizzazione della palestra, la cui esecuzione era stata commessa alla ditta del ricorrente nell’affidamento della gestione dell’impianto sportivo a società terza fin dal gennaio 1999 – società che nel periodo immediatamente successivo al collaudo segnalava vizi e difformità dell’opera di cui continuava a dolersi nonostante l’intervento di ripristino curato da ditte terze incaricate dal Comune di Montale – la denuncia effettuata dall’amministrazione per raccomandata del 17.06.2002 fosse tempestiva.

Sarebbe mancata la prova che la scoperta dei vizi era intervenuta non oltre un anno prima della loro denuncia, gravando il relativo onere su chi agisca per il risarcimento dei danni a fronte dell’eccezione di decadenza del convenuto.

La Corte di merito aveva ritenuto invece, con ragionamento circolare e presuntivo, in violazione dell’art. 1669 c.c. e della giurisprudenza della Corte di cassazione, che la denuncia inviata il 17.06.2002 implicasse una idonea “ammissione di valida scoperta dei vizi” in quanto da essa risultava dimostrata la piena comprensione dello stato dei luoghi e la chiara individuazione ed imputazione delle cause ai vizi.

Il richiamo operato nella norma indicata, come concetti distinti, alla “scoperta” dei vizi ed alla loro “denuncia” non ne avrebbe consentito, come avvenuto nell’impugnata sentenza, ogni presuntiva coincidenza. La Corte di merito avrebbe pretermesso la regola di ripartizione dell’onere della prova tra attore e convenuto nel giudizio di danno ex art. 1669 c.c. e tanto là dove poi il Comune aveva sostenuto che la data della conoscenza dei vizi e la riconducibilità ai vizi era intervenuta con la data di deposito dell’a.t.p., accertamento ante causa richiesto, senza fornire in tal modo alcuna prova idonea a collocare temporalmente la scoperta entro l’anno antecedente alla lettera di denuncia.

Il motivo è infondato incorrendo anche in piene censure di inammissibilità perchè introduce critica a valutazioni di merito condotte dalla Corte di appello senza riuscire a segnalare, all’interno di queste ultime, le dedotte violazioni di legge sostanziale.

L’accertamento della decorrenza della decadenza costituisce indagine di fatto demandata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità per il vizio di violazione di legge e comunque se sorretta da adeguata e congrua motivazione e non inficiata da errori logici o di diritto (arg. ex Cass. n. 9014 del 11/04/2018, su prescrizione).

In corretto svolgimento dell’indagine demandatale, a fronte della eccezione di decadenza sollevata dal convenuto in responsabilità ex art. 1669 c.p.c., la Corte di merito ha ritenuto che il Comune committente avesse conseguito un “apprezzabile grado di conoscenza obbiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera” a far data dalla lettera del 17.06.2002 scrutinando, a tal fine, del documento in atti i contenuti giusta articolato giudizio in cui confluisce la stima della tipologia del vizio di cui si valorizza l’ingravescenza nel tempo e la prossimità temporale e quindi l’irrilevanza, quanto agli esiti degli accertamenti posti in essere sul primo, su sollecitazione della società terza che gestiva la palestra, in epoca vicina al collaudo.

Ciò posto nel metodo, il profilo del motivo di ricorso per il quale si vorrebbe violata la regola di distribuzione dell’onere probatorio in tema di appalto in cui – poichè la denuncia dei gravi difetti o del pericolo di rovina dell’opera costituisce, ai sensi dell’art. 1669 c.c., una condizione dell’azione di responsabilità esercitabile nei confronti dell’appaltatore o del costruttore-venditore – quando il convenuto eccepisca la decadenza dall’azione per intempestività della denuncia, costituisce onere dell’attore fornire la prova di avere operato la denuncia entro l’anno dalla scoperta, è infondato.

La decadenza dall’azione per tardività della denunzia, stabilita dall’art. 1669 c.c., comma 1, non può essere rilevata d’ufficio dal giudice ma deve essere eccepita dalla parte, trattandosi di decadenza posta a tutela di interessi individuali e concernente diritti disponibili (Cass. 16/06/2000 n. 8187).

Ciò posto, però, una volta che l’eccezione di decadenza sia stata tempestivamente veicolata in lite dalla parte attraverso una eccezione in senso stretto, spetta poi al giudice del merito di accertare i fatti integrativi della interruzione della stessa.

Come infatti già affermato in materia di interruzione della prescrizione, fattispecie pienamente sovrapponibile quanto al regime di rilevabilità a quella della decadenza, poichè nel nostro ordinamento le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte (da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale), l’eccezione di interruzione della prescrizione o della decadenza integra un’eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti.

Si deve infatti escludere che la rilevabilità ad istanza di parte possa giustificarsi in ragione della “normale” rilevabilità soltanto ad istanza di parte della diversa eccezione di prescrizione o decadenza, non trovando fondamento nell’ordinamento positivo l’assimilare al regime di rilevazione di una eccezione in senso stretto quello di una controeccezione qual è l’interruzione della prescrizione o decadenza (sulla interruzione della prescrizione: Cass. 05/08/2013 n. 18602).

2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1223,1669 e 2043 c.c. ed omessa pronuncia.

L’art. 1669 c.c. là dove sancisce la responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore in ipotesi di rovina dell’edificio, pericolo di crollo o gravi difetti vuole che questi eventi siano collegati da uno specifico nesso di causalità ai lavori eseguiti.

Siffatta norma sarebbe stata violata dalla Corte di appello che – erroneamente stimando l’eccezione sollevata dall’impresa già in primo grado e per la quale l’alterazione dello stato dei luoghi a seguito dei ripristini non avrebbe consentito di accertare eventuali responsabilità dell’appaltatrice, per avere le opere di tamponatura della copertura, realizzate in data successiva al collaudo ed antecedente alla denuncia, interrotto il nesso causale con le opere dell’appaltatore – avrebbe incongruamente concluso, dopo aver descritto la consistenza dei due interventi di riparazione della copertura fatti eseguire dal Comune prima dell’invio della lettera del 17.06.2002, che nulla avrebbe impedito di verificare se la “deformazione del manto di copertura” fosse “attribuibile a difetti progettuali (come sostiene l’appaltatore) o costruttivi”.

2.1. Il motivo è inammissibile perchè manca di autosufficienza ed è comunque diretto, al di là dell’invocata violazione di norma sostanziale, a censurare l’accertamento di merito svolto dalla Corte di appello di Firenze.

Il motivo di ricorso là dove deduce che l’attività di progettazione, presa in considerazione dalla sentenza impugnata per escludere alternative causalità dell’evento ex art. 1669 c.c., non sarebbe stata il termine con cui i giudici merito si sarebbero dovuti confrontare in ragione dei differenti contenuti dell’eccezione difensiva, manca di autosufficienza non provvedendo la parte ad allegare i contenuti dell’atto di citazione e di appello che avrebbero sostenuto il percorso causale che si assume ignorato dalla Corte di merito (vd. Cass. 21/11/2017 n. 27568).

2.2. In ogni caso il motivo propone censure di merito.

In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 05/02/2019 n. 3340; Cass. 13/10/2017 n. 24155).

Il ricorrente pur denunciando l’obliterazione del dato integrativo della fattispecie astratta della responsabilità di cui all’art. 1669 c.c., in punto di nesso di causalità tra l’illecito denunciato dalla committenza pubblica e le opere eseguite dall’appaltatrice, in realtà fa valere l’interpretazione che la Corte di merito ha offerto del dato di prova raccolto. Si contesta per vero dal ricorrente che il nesso di causalità sarebbe stato dai giudici di appello erroneamente apprezzato, per poi essere escluso, nel rapporto tra i lavori di realizzazione e quelli di progettazione e non tra i primi e quelli di tamponatura eseguiti da imprese terze.

In realtà la Corte di appello, valutando le evidenze probatorie consegnate ai disposti accertamenti tecnici ed all’impegno delle opere di tamponatura rispetto all’intero, ha svolto un accertamento di merito che sfugge al sindacato di questa Corte di legittimità e che non muta in ragione della censura posta.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 698 c.p.c.; la nullità della sentenza e del procedimento.

La Corte di appello con le due impugnate sentenze aveva fatto molteplici riferimenti alla relazione di a.t.p. effettuata ex art. 698 c.p.c. pur in difetto, nel termine ultimo di cui all’art. 184 c.p.c., ratione temporis vigente, di una istanza di parte di acquisizione.

Il motivo è infondato.

Per consolidato principio di questa Corte di legittimità, l’art. 698 c.p.c., comma 3, non prescrive, ai fini della produzione in giudizio delle prove assunte in sede di istruzione preventiva, un formale provvedimento che ne dichiari l’ammissibilità, onde tali prove devono ritenersi ammesse per il fatto stesso che abbiano formato oggetto di discussione tra le parti o che la controparte sia stata posta in condizioni di contraddire circa le risultanze delle prove preventive ed il giudice le abbia esaminate, traendone elementi per la formazione del proprio convincimento (Cass. 21/09/1988 n. 5183; Cass. 08/10/1990 n. 9863, in motivazione par. 1; Cass. 22/03/2004 n. 5681, in motivazione p. 26).

La circostanza contestata in ricorso, per la quale l’appaltatore si era opposto in primo grado, nella replica istruttoria ex art. 184 c.p.c., all’acquisizione dell’a.t.p. in quanto ormai preclusa e che i contenuti di quell’accertamento non sono mai stati oggetto di dibattito tra le parti, è in contrasto con l’indicata giurisprudenza di legittimità ove correttamene intesa e con quanto intervenuto nello svolgimento processuale.

Il ricorrente non segnala il pregiudizio risentito in esito alla dedotta violazione del contraddittorio nella formazione del tema di prova ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 2 (Cass. 26/09/2017n. 22341).

In ogni caso la sentenza di appello ha fatto propri gli esiti di quel primo accertamento attraverso la c.t.u. disposta nel grado che la prima relazione, come esposto in ricorso, era stata chiamata ad esaminare insieme agli altri documenti di causa.

Per siffatte modalità il dibattito delle parti sui contenuti di quell’accertamento è stato preservato non determinato la nullità della sentenza per error in procedendo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

L’esame degli esiti dell’accertamento tecnico preventivo ad opera del giudice del merito nell’intervenuto contraddittorio tra le parti rende infondata la critica proposta.

4. Con il quarto motivo il ricorrente fa valere la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1669 e 2697 c.c.).

Sarebbe stato onere del Comune, non surrogabile con una c.t.u., provare l’entità e l’effettivo esborso delle somme finalizzate ad intervenire sui danni; le valutazioni espresse nella c.t.u. sulla congruità delle somme sarebbero state inadeguate.

Le critiche sono inammissibili perchè volte a censurare in via diretta e non mediata, attraverso i contenuti dell’impugnata sentenza, il disposto accertamento tecnico d’ufficio.

Le censure sono ancora inammissibili rispondendo a certo indirizzo di questa Corte di legittimità, da cui non si ha ragione di discostarsi in ragione della critica portata in ricorso, quello per il quale benchè le parti non possano sottrarsi all’onere probatorio a loro carico invocando, per l’accertamento dei propri diritti, una consulenza tecnico di ufficio, non essendo la stessa un mezzo di prova in senso stretto, è tuttavia consentito al giudice fare ricorso a quest’ultima per acquisire dati la cui valutazione sia poi rimessa allo stesso ausiliario (c.d. consulenza percipiente) purchè la parte, entro i termini di decadenza propri dell’istruzione probatoria, abbia allegato i corrispondenti fatti, ponendoli a fondamento della sua domanda, ed il loro accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (ex multis: Cass. 10/09/2013 n. 20695).

La dedotta allegazione da parte del Comune di lavorazioni fatte eseguire da ditte terze a fronte dei danni da infiltrazione denunciati dalla società locataria che gestiva la palestra la cui realizzazione era stata commessa all’impresa del ricorrente, anche in difetto di fattura sugli esborsi dall’amministrazione sostenuti, ha consentito, previa verifica da parte del nominato tecnico, di riscontrare l’esistenza delle prime e di raccordare le spese stimate per le lavorazioni secondo un canone di congruità, peraltro rivisto e contenuto nel suo ammontare dai giudici di merito, il tutto per un percorso rispettoso del sopra indicato principio, in cui specifiche cognizioni tecniche sostengono la scelta del giudice di merito di nomina dell’ausiliare.

5. Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., conseguendo alla cassazione della sentenza impugnata la condanna del Comune di Montale al pagamento delle spese processuali per tutti i gradi di giudizi.

Le sorti dei già valutati motivi assorbono, nel loro rilievo, quest’ultima critica.

6. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato alle spese di lite secondo soccombenza come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente D.C. a rifondere al Comune di Montale le spese di lite che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020

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