Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3444 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. I, 11/02/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 11/02/2011), n.3444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 15491/2009 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. POLLIO 30,

presso lo studio legale RISPOLI, rappresentata e difesa dagli

avvocati RISPOLI Gregorio, COLOMBO ELDA, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ((OMISSIS)) in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 838/08 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del

6/02/09, depositato il 14/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: “1.- La Corte di appello di Genova, con il decreto impugnato, ha rigettato la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, formulata da M.L. nei confronti del Ministero della Giustizia in relazione all’irragionevole durata di un processo civile instaurato dinanzi al Tribunale di Montepulciano con citazione notificata il 15.2.2005 e definito con sentenza depositata nel luglio 2008.

La Corte di appello ha escluso la violazione del termine ragionevole perchè il giudizio si era concluso entro i tre anni. Durata standard prevista dalla giurisprudenza CEDU che per il giudizio di primo grado, secondo la Corte di appello, è pari a tre-quattro anni.

Contro il decreto parte attrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero intimato.

2.- Con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione dell’art. 111 Cost., art. 6 par. 1 CEDU e 41 CEDU, L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 4 e art. 112 c.p.c. e chiede se debba essere considerata ingiusta durata del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, quella riferibile a periodi che si protraggono per ingiustificati e illegittimi rinvii decretati d’ufficio dall’organo giudicante.

Deduce che l’udienza di precisazione delle conclusioni, fissata per l’8.2.2006, aveva subito quattro rinvii ingiustificati sino al 7.11.2007.

Con il secondo ed il terzo motivo parte ricorrente lamenta l’erronea liquidazione delle spese poste a suo carico nonchè l’erronea condanna al pagamento delle spese prenotate e prenotande a debito.

3.- Il primo motivo appare fondato e il suo accoglimento determina l’assorbimento delle censure relative alle spese.

Secondo la giurisprudenza della S.C. la nozione di ragionevole durata del processo ha carattere relativo, e non si presta ad una determinazione in termini assoluti. La L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, dispone, infatti, che la ragionevole durata di un processo va verificata in concreto, facendo applicazione dei criteri stabiliti da detta norma la quale, stabilendo che il giudice deve accertare la esistenza della violazione considerando la complessità della fattispecie, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonchè quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o comunque a contribuire alla sua definizione, impone di avere riguardo alla specificità del caso che egli è chiamato a valutare (ex plurimis, Cass. n. 8497 del 2008; n. 25008 del 2005; n. 21391 del 2005; n. 1094 del 2005; n. 6856 del 2004; n. 4207 del 2004).

In tal senso è orientata anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo alla quale occorre avere riguardo (tra le molte, sentenza 1 sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98) e che ha stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità. Ed è questo parametro che va osservato, dal quale è tuttavia possibile discostarsi, purchè in misura ragionevole e sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue, restando comunque escluso che i criteri indicati nell’art. 2, comma 1, di detta legge permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass. Sez. un. n. 1338 del 2004; in seguito, cfr. le sentenze sopra richiamate).

Nondimeno, se addirittura i rinvii superiori al termine ordinario di cui all’art. 81 disp. att. cod. proc. civ., concessi dal giudice su richiesta delle parti, devono essere computati ai fini della determinazione dell’equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 (Cass. n. 9 del 2008), in difetto dell’identificazione di una strategia dilatoria, non è possibile sterilizzare la durata del processo, dovuta a stasi ingiustificate per rinvii disposti d’ufficio, soltanto perchè la durata complessiva non supera lo standard CEDU. Il ricorso, quindi, può essere deciso in Camera di consiglio”.

Parte ricorrente ha depositato memoria difensiva.

p. 2. – Il Collegio ritiene di non poter condividere le conclusioni della relazione.

Invero, è preliminare il rilievo per il quale i motivi di ricorso sono inammissibili per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., posto che i quesiti formulati dalla ricorrente sono privi di qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta e si risolvono in domande tautologiche.

Per contro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

In altri termini, “il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie” (Sez. 3, ordinanza n. 19769 del 17/07/2008). E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge perchè, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Sez. U, Sentenza n. 26020 del 30/10/2008).

Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare all’Amministrazione resistente le spese processuali che liquida in complessivi Euro 425,00 oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

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