Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34430 del 24/12/2019

Cassazione civile sez. un., 24/12/2019, (ud. 14/10/2019, dep. 24/12/2019), n.34430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f. –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente di Sezione –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sezione –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3846/2019 proposto da:

G.P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO CARUSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ORAZIO PAPALE;

– ricorrente –

contro

ORDINE DEGLI AVVOCATI DI CALTAGIRONE, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 29, presso

lo studio dell’avvocato ELISABETTA RAMPELLI, rappresentato e difeso

dagli avvocati NICOLA SEMINARA e SALVATORE WALTER POMPEO;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI CALTAGIRONE,

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

CATANIA, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 193/2018 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 18/12/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2019 dal Consigliere MILENA FALASCHI;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale LUCIO

CAPASSO, il quale conclude chiedendo il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con delibera in data 23 febbraio 2017, il COA di Caltagirone comunicava a G.P.D., in possesso del titolo di Avocat rilasciato in Romania dall’U.NB.R. – struttura “Bota”, l’avvenuta cancellazione dall’elenco speciale degli avvocati stabilizzati ex D.Lgs. n. 96 del 2001.

Avverso detto provvedimento l’odierno ricorrente proponeva ricorso avanti al Consiglio Nazionale Forense che, con sentenza n. 193 depositata il 18 dicembre 2018, lo rigettava.

Ritenute inammissibili ed in ogni caso infondate le istanze di ricusazione, nonchè le questioni di legittimità costituzionale e di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, il Consiglio Nazionale Forense rilevava che il COA avesse correttamente agito, nel pieno rispetto delle norme di legge quanto alle denunziate violazioni di norme procedimentali, trovando nella specie applicazione il combinato disposto della L. n. 247 del 2012, art. 17, e R.D. n. 1578 del 1933, art. 45, per cui la partecipazione dell’iscritto al procedimento una volta comunicato l’invito a comparire, costituiva una facoltà il cui esercizio era riservato allo stesso, relativamente al merito della delibera impugnata, condivideva la conclusione, nel senso che la valutazione di idoneità del titolo di iscrizione spetta all’autorità competente dello Stato da cui il titolo è rilasciato.

Avverso questa decisione propone ricorso per cassazione, articolato in sedici motivi, G.P.D., chiedendo altresì, la sospensione dell’esecuzione della decisione impugnata, la trasmissione alla Corte di Giustizia delle questioni pregiudiziali ed alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità.

Resiste con controricorso il Consiglio dell’Ordine Forense di Caltagirone.

Attivato il procedimento camerale ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., introdotto, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L.31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 (applicabile al ricorso in oggetto ai sensi del medesimo D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 2), la causa è stata riservata in decisione.

In prossimità dell’adunanza camerale, sono state acquisite le conclusioni scritte del Procuratore Generale, Dott. Lucio Capasso.

In data 14 ottobre 2019 è pervenuto alla cancelleria della Corte atto di rinuncia depositato da parte del ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con la nota depositata il 14.10.2019, il ricorrente, a mezzo del proprio difensore, ha dichiarato di voler rinunciare al ricorso per cassazione.

Orbene, in assenza di ulteriore documentazione, non è dato comprendere con certezza se la rinuncia sia stata notificata alla controparte. Al riguardo va ricordato che ove il ricorrente rinunci al ricorso durante il procedimento di legittimità, l’atto non ha carattere “accettizio” (non richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), e, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione. In particolare, la rinuncia al ricorso per cassazione risulta perfezionata nel caso in cui la controparte ne abbia comunque avuto conoscenza prima dell’inizio dell’udienza, benchè non le sia stata notificata, e, trattandosi di atto unilaterale recettizio, produce l’estinzione del processo a prescindere dall’accettazione, che rileva solo ai fini delle spese (Cass. 29 luglio 2014 n. 17187). Invero, poichè l’art. 306 c.p.c., non si applica al giudizio di cassazione, la rinuncia al ricorso non integra, come detto, un atto cosiddetto “accettizio” (che richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), nè un atto recettizio in senso stretto, dal momento che l’art. 390, u.c., ne consente – in alternativa alla notifica alle parti costituite – la semplice comunicazione agli “avvocati” delle stesse, i quali sono investiti dei compiti di difesa, ma non anche della rappresentanza in giudizio delle controparti.

E’ di tutta evidenza, pertanto, la sua irrilevanza, giacchè è intervenuta dopo l’inizio dell’udienza, come da attestazione della cancelleria (da cui risulta che il deposito è avvenuto alle ore 11.10, ormai avviata la camera di consiglio fissata per le ore 10.00), per di più in difetto di prova dell’avvenuta comunicazione alla controparte.

Le considerazioni che precedono inducono ad analizzare i motivi di gravame.

Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la violazione e l’omessa applicazione della L. n. 247 del 2012, art. 17, e del R.D. n. 1578 del 1933, art. 43, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nonchè la violazione ovvero la falsa applicazione di norme di diritto ed omesso esame di un punto decisivo della controversia oggetto di discussione fra le parti, con riguardo alla circostanza che il COA abbia disposto la cancellazione degli avocat senza previa convocazione degli stessi. A sostegno della censura il ricorrente richiama un precedente di questa Corte, l’ordinanza del 21 luglio 2016, n. 15042 adottata in sede cautelare e confermata con la sentenza n. 6963 del 17 marzo 2017.

Il motivo è privo di pregio alla luce delle considerazioni che verranno di seguito illustrate.

E’ pacifico, nella vicenda in esame, che l’avocat sia stato invitato a presentare eventuali osservazioni entro il termine di trenta giorni, come accertato dal CNF e a norma dell’art. 17 della legge professionale forense, e specificamente del comma 12, alla stessq spettava la facoltà di chiedere di essere ascoltato. personalmente. Il ricorrente pur non avendolo fatto, sostiene che il COA avrebbe comunque dovuto citarlo dinanzi a sè, in applicazione del R.D. n. 1578 del 1933, art. 45, che disciplina la procedura per applicazione dei provvedimenti disciplinari, in questi termini: “(nessuna sanzione disciplinare) può essere inflitta (dal Consiglio dell’Ordine) senza che l’incolpato sia stato citato a comparire davanti ad esso, con l’assegnazione di un termine non minore di dieci giorni, per essere sentito a sue discolpe”.

Come le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza n. 3706 del 2019 (non massimata) hanno chiarito, la procedura di cancellazione regolata dall’art. 17, non è una procedura disciplinare. Se lo fosse, la disciplina dei procedimenti disciplinari sarebbe applicabile in via diretta, circostanza che al contrario non si verifica. Del resto, la legge professionale distingue e regola in gruppi di norme diverse procedura di cancellazione per carenza dei requisiti (art. 17) e procedura disciplinare (titolo V).

La disciplina del procedimento disciplinare è chiamata ad integrare la regolamentazione dell’art. 17 “in quanto applicabile”, cioè solo in quanto manchi una norma specifica nella disciplina sulla iscrizione e cancellazione dall’albo per assenza dei requisiti di legge e solo in quanto non vi sia rapporto di incompatibilità tra le due normative.

Ciò non avviene nel caso in esame. Infatti, come si è visto, la disciplina specifica dettata dall’art. 17, comma 12, prevede che il COA quando rilevi la mancanza di un requisito necessario per l’iscrizione, prima di deliberare la cancellazione ha l’obbligo di invitare l’iscritto a presentare le sue osservazioni; riconoscendosi a quest’ultimo la facoltà di essere ascoltato, il COA è obbligato a provvedervi, in tal casi non può adottare alcuna deliberazione senza avere preventivamente convocato l’iscritto.

Questa disciplina è specifica ed incompatibile con quella dettata per la procedura disciplinare, che impone sempre e comunque la citazione dell’incolpato. Nè può ragionevolmente sostenersi che la disciplina specifica leda il principio del contraddittorio (pag. 10 del ricorso), perchè l’invito a comparire costituisce pur sempre un obbligo per il COA anche nella procedura per la cancellazione, ma nella sola ipotesi che l’iscritto ne faccia richiesta. La scelta dell’eventuale partecipazione è, dunque, rimessa ad un’iniziativa dell’avocat interessato.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità del procedimento avanti al CNF, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, giacchè a suo avviso in detta fase del giudizio vigerebbe il principio, valevole per quello penale, della immutabilità della composizione del Collegio, mentre nella specie, all’udienza del 22.02.2018, era composto da 12 consiglieri, divenuti 14 consiglieri nella seduta successiva del 21.03.2018.

Pur vero che l’eccezione è stata sollevata per la prima volta in questa sede, ma si tratta di questione rilevabile d’ufficio e le dunque ammissibile.

Per quanto chiarito con riferimento al primo mezzo, le funzioni esercitate in materia di cancellazione degli iscritti dall’albo professionale dai Consigli locali dell’Ordine degli avvocati, e il relativo procedimento, hanno natura amministrativa e non disciplinare.

Ne consegue che, come chiarito dalla sentenza n. 3706 del 2019 resa a Sezioni Unite, eventuali violazioni della normativa che regola tale procedimento non comportano una nullità processuale ma determinano vizi di legittimità del provvedimento di cancellazione, che si differenziano con riferimento al regime giuridico delle decisioni, in collegi reali, che necessitano dell’unanimità, ed in collegi virtuali che, invece, deliberano validamente con il voto favorevole della maggioranza. Inoltre, in difetto di impugnativa nel termine decadenziale, si ha la consolidazione delle deliberazioni dell’organo collegiale. Nella medesima logica la giurisprudenza amministrativa, nell’ambito degli organi collegiali virtuali (o imperfetti), ammette la c.d. prova di resistenza che si concreta, cioè, nella dimostrazione che, anche in difetto di partecipazione del componente privo della legittimazione, il contenuto della deliberazione non sarebbe stato diverso.

Dunque nessuna incidenza può essere riconosciuta alla dedotta circostanza della modificazione del collegio, che peraltro ha comportato solo una integrazione del numero da 12 a 14 dei componenti, giacchè in siffatto procedimento amministrativo è sufficiente il rispetto del requisito del quorum prescritto per la validità delle deliberazioni.

Con il terzo motivo viene denunciato il difetto di giurisdizione sull’istanza di ricusazione e la nullità della sentenza per violazione dell’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 1, oltre che della L. n. 247 del 2012, art. 61, comma 1, nonchè degli artt. 47 CDFUE e 6 CEDU, stante l’illegittimità delle ragioni addotte a sostegno del rigetto, quali l’applicabilità del principio di imparzialità al solo giudice effettivamente designato, e la mancanza di un interesse diretto del ricorrente alla circostanza dell’apertura del procedimento di commissariamento dell’Ordine di Caltagirone. Aggiunge, altresì, che il consigliere, Vice Presidente del CNF, avv. Francesco Logrieco, componente aggiunto del collegio decidente dell’udienza del 21.03.2018, era stato incaricato della istruttoria del procedimento di avvio di commissariamento nei confronti del COA di Caltagirone, come da nota del CNF allegata alla istanza di ricusazione.

La censura è in parte inammissibile e in parte infondata.

Premesso che non sussiste il denunciato difetto di giurisdizione trattandosi di giudice speciale, l’istanza di ricusazione è da ritenere del tutto generica laddove riguardi un collegio astrattamente considerato, dovendo essa essere piuttosto diretta contro ciascuna delle persone fisiche che lo compongono, sul presupposto che per ciascuna di esse singolarmente considerate, ricorrano i motivi tassativamente indicati dalla legge per tale istituto (cfr Cass. 26 novembre 2007 n. 24612).

Per il resto la censura è infondata in quanto, come già deciso in precedente occasione (Cass. S.U., 16 gennaio 2014 n. 775, in materia di giudizi disciplinari e ribadito in numerose successive pronunce), la circostanza che il Consiglio Nazionale Forense, nella sua funzione di indirizzo e di coordinamento dei vari Consigli dell’ordine territoriali, abbia sollecitato gli stessi all’adozione di provvedimenti di cancellazione dall’albo non costituisce violazione dell’art. 111 Cost., sotto il profilo del difetto di terzietà, giacchè le norme che disciplinano, rispettivamente, la nomina dei componenti del C.N. F. ed il procedimento offrono sufficienti garanzie con riguardo all’indipendenza del giudice ed alla imparzialità dei giudizi. Pienamente legittimo, comunque, in ambito più generale, è il prevedere che un organismo a rilevanza pubblica quale il Consiglio Nazionale Forense – e quindi deputato a emanare provvedimenti organizzativi e di indirizzo per i propri iscritti – abbia, a limitati fini, anche il potere di decidere su impugnazioni di provvedimenti degli Ordini locali che formalmente si fondino su proprie disposizioni di carattere generale.

D’altronde, l’emanazione di una circolare da parte del CNF non può certo intendersi come interesse diretto ai sensi dell’art. 51, n. 1, citato. Si rileva, al riguardo che le Sezioni Unite hanno chiarito che “In realtà l’inosservanza da parte del Giudice dell’obbligo di astensione, nelle ipotesi previste dall’art. 51 c.p.c., determina la nullità del provvedimento adottato solo nell’ipotesi in cui il Giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella veste di parte del processo in violazione del criterio nemo iudex in causa sua” (Cass. Sez. Un. 16615 del 2005; di recente: Cass. Sez. Un. 7536 del 2017 e Cass. Sez. Un. 21114 del 2017).

Quanto, infine, alla questione relativa alla nullità della sentenza per la partecipazione al Collegio dell’avv. Logrieco è inammissibile per novità, oltre a rilevare che avrebbe, comunque, dovuto essere fatta valere con istanza di ricusazione.

Con il quarto motivo viene censurato il rigetto della proposta pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia Europea nonchè la contraddittorietà della motivazione allorchè la sentenza impugnata ha definito rilevante uno strumento che poi ha ritenuto non avere potere certificatorio. In altri termini, il CNF avrebbe definito l’IMI privo di efficacia riconoscitiva della regolarità di un titolo straniero, essendo un mero mezzo di scambio di informazioni prive di effetto costitutivo e certificatorio, concludendo però poi nel senso che ha potere di identificare l’autorità competente, con conseguente violazione della direttiva comunitaria di stabilimento degli avvocati, per cui spetterebbe alla Corte di Giustizia Europea risolvere i conflitti.

Del pari non può trovare ingresso la quarta censura.

Nel caso di specie, infatti, non si tratta di interpretazione della normativa comunitaria bensì, unicamente, dell’apprezzamento di prove, anche documentali, concernenti la provenienza del titolo abilitante all’esercizio della professione da un organismo effettivamente abilitato, nel proprio ordinamento, a rilasciare quel titolo (in tal senso, Cass. Sez. Un. 22398 del 2016 e Cass. Sez. Un. 13400 del 2017). E d’altro canto l’accertamento circa la inefficacia del titolo abilitante è avvenuta proprio sulla base di attestazione dello Stato della Romania, nel cui ordinamento opera il BOTA.

Ne consegue che non sussiste la lamentata illogicità.

Con il quinto mezzo i ricorrenti deduce il mancato rispetto della pregiudiziale della Corte di Giustizia Europea con violazione del principio di non discriminazione, dal momento che l’interpretazione accolta dal CNF del regolamento comunitario come recepito dallo Stato italiano, determinerebbe il venir meno del principio di fonte primaria del diritto comunitario della libera circolazione delle persone.

La censura è infondata.

L’Ordine professionale non ha, nella sostanza, sindacato la validità del titolo abilitativo, bensì la sua idoneità ad essere riconosciuto nello Stato secondo le vincolanti procedure stabilite dal sistema IMI: il ricorso al sistema IMI è obbligatorio e dunque la stessa norma che ne riconosce la vincolatività per lo Stato che accede a tale sistema informativo, fornisce la prova della obiettiva carenza di un potere di sindacato da parte delle autorità nazionali (cfr Cass. Sez. Un. 19403 del 2017).

Invero l’IMI è stato correttamente utilizzato come mero veicolo di un potere certificatorio esplicato all’interno dello Stato in cui I’Advocat ha conseguito l’abilitazione e, dunque, la incongruenza che il ricorrente addebita allo Stato italiano dovrebbe essere indagata con riferimento alle strutture dello Stato certificante.

Con il sesto motivo il ricorrente riproduce l’eccezione di incostituzionalità della L. n. 247 del 2012, artt. 35,36 e 37, per violazione dell’art. 111 Cost., commi 1 e 2, nonchè dell’art. 24. In particolare l’eccezione d’incostituzionalità riguarda il difetto di terzietà e di imparzialità del CNF trattato con l’istanza di ricusazione, nella parte in cui non prevede la ricusazione del CNF per interferibilità tra funzione di indirizzo (in particolare circolari del 2013 e 2016, indirizzate a tutti i Coa sulla interpretazione del titolo Bota, espresso anche nella sentenza impugnata) e funzione giurisdizionale. Insiste il ricorrente nell’affermare che il CNF nella specie aveva anche esercitato il potere di controllo pronunciandosi sulla illegittimità del titolo abilitativo con l’avviato procedimento di commissariamento del COA di Caltagirone, imponendo la cancellazione de qua.

La censura è inammissibile oltre ad essere infondata.

E’ inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto non è stata fornita la puntuale e specifica indicazione di dette circolari, sulle quali il motivo di censura rivolto alla sentenza impugnata si fonda.

E’ infondata per il resto, ribadendosi in questa sede le considerazioni svolte con riferimento al terzo motivo, secondo cui l’emanazione di una circolare da parte del CNF non può certo intendersi quale interesse diretto ai sensi dell’art. 51, n. 1, c.p.c., atteso che la natura amministrativa della circolare evidenzia un ipotetico interesse del tutto astratto e non del CNF: ciò non diversamente da come opera un proprio precedente di natura giurisdizionale.

Con il settimo motivo il ricorrente insiste nell’inammissibilità della costituzione del COA per difetto di procura mancando nella memoria depositata dallo stesso la procura speciale alle liti, facendosi riferimento nell’atto costitutivo esclusivamente alla delibera adottata il giorno 08.02.2018 di autorizzazione a stare in giudizio, contraddistinta con il n. 29, mancando nella sentenza impugnata un qualsiasi riferimento alla necessaria procura speciale alle liti di cui all’art. 83 c.p.c..

La censura è inammissibile prima che infondata, in quanto non si confronta con la ratio della sentenza impugnata laddove ha accertato che la procura alle liti era stata rilasciata anche al Presidente del COA, avvocato Nicola Seminara, oltre che all’avvocato Salvatore Pompeo, con la conseguenza che nella specie trova applicazione l’art. 86 c.p.c. La giurisprudenza dominante, infatti, ha ritenuto che il professionista legale può assumere personalmente il patrocinio, tanto se agisca ovvero sia convenuto in proprio, quanto se promuova il giudizio o si costituisca in nome altrui in forza di rappresentanza legale o di rappresentanza organica (Cass. n. 1626 del 1966; Cass. n. 3647 del 1956). Il principio è stato applicato anche per il giudizio di cassazione se si tratti di avvocato iscritto nell’albo speciale.

Nel caso di specie il CNF, ha accertato, dall’atto deliberativo del COA, che l’avvocato Seminara cumulava in sè la rappresentanza del rapporto sostanziale dedotto in giudizio con quella tecnica di patrocinante davanti al Consiglio medesimo, con la conseguenza che con la sottoscrizione ha agito come legale rappresentante dell’organismo e al tempo stesso come difensore munito dello ius postulandi, senza aver rilasciato – non essendo necessario – a se (o sè, formula preponderante di recente) stesso la procura, incarico assunto posteriormente alla pronuncia della sentenza impugnata e in data anteriore o contemporanea a quella della notificazione del gravame.

Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 7 c.c., e degli artt. 2 e 3 della direttiva 98/5/CE per non avere comunicato all’Ordine di appartenenza Romeno, c.d. BOTA, l’avvio del procedimento in modo da consentire all’Ente di parteciparvi, fornendo ogni elemento utile.

Con il nono motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 208 c.p.p., per mancata garanzia del principio del contraddittorio stante la mancata partecipazione del BOTA al giudizio de quo. Al riguardo viene invocata la sentenza n. 20773 del 2010 di queste Sezioni Unite.

Le complessive considerazioni sopra descritte ai mezzi otto e nove da trattare unitariamente vertendo sulla medesima questione della (necessaria) partecipazione al giudizio de quo del BOTA – non sono altro che una riaffermazione delle tesi espresse, esaminate e rigettate ai motivi quattro e cinque e ne seguono le sorti; va solo sottolineata l’assenza di qualunque legittimazione di tale organismo a partecipare al presente giudizio, giacchè ciò che viene in rilievo nella specie è la verifica della sussistenza proprio del possesso di idoneo titolo rilasciato da un’autorità di uno Stato membro che a tanto sia abilitata.

Tutte le richieste svolte dal ricorrente nel senso di chiamare in giudizio detto organismo, che nella sostanza si vorrebbe far partecipe del processo per onerarlo della prova di certificazione al rilascio dell’attestato abilitativo, non hanno alcuna incidenza sul sistema di accertamento dei titoli per come previsto e disciplinato dalla normativa Eurounitaria e nazionale.

Con il decimo motivo il ricorrente denuncia la nullità della delibera di cancellazione per difetto di maggioranza assoluta, nel senso che non potevano, essere applicati i principi di rito amministrativo ma quelli del rito disciplinare per sarebbe stata pronunciata con quattro voti favorevoli alla cancellazione, uno contrario e tre relativamente non favorevoli e non già, come ritenuto dal CNF, quattro voti a favore e quattro voti contrari.

Anche la decima censura non può trovare ingresso dovendosi rimarcare che la natura amministrativa del procedimento di cancellazione e delle relative decisioni rende inapplicabili le norme relative alla composizione del collegio decidente dettate per i procedimenti disciplinari dal vigente ordinamento.

Con l’undicesimo motivo il ricorrente deduce la nullità del procedimento per violazione dell’art. 18 c.p.p., per avere il COA aperto la procedura con un’unica delibera e poi stralciato le singole posizioni, senza alcun provvedimento formale, disapplicando il rito disciplinare e conseguentemente il rito penale.

La censura non può essere condivisa alla luce delle considerazioni svolte ai motivi uno, due e dieci, riconosciuta natura amministrativa al procedimento in questione.

Con il dodicesimo motivo è dedotta la nullità del procedimento per violazione della L. n. 241 del 1990, art. 6 bis, per avere il CNF con motivazione “inconducente” rigettato la proposta eccezione per mancata allegazione di documento utile a verificare la sussistenza del denunciato conflitto di interessi e di narrazione dei fatti posti a fondamento della eccezione, prodotto come allegato 3 della memoria del 22.02.2018 l’atto di citazione del giudizio pendente davanti al Tribunale di Roma promosso dall’Ordine straniero BOTA contro il COA di Caltagirone proprio a seguito della cancellazione in questione, provvedimento peraltro riguardante numerosi altri iscritti, nella medesima situazione.

Neanche la dodicesima doglianza, appare idonea ad introdurre una argomentazione tale da indurre a ritenere la sentenza impugnata illegittima, trattandosi di censura che muove da una erronea ricostruzione della disposizione di cui si assume l’avvenuta violazione.

Nella specie proprio la circostanza che il BOTA non sia parte del giudizio, nè abbia un interesse all’esito dello stesso ex art. 100 c.p.c., per effetto della reiezione del ricorso proposto al CNF, fa venire meno ogni ipotesi di conflitto, come chiarito dalla sentenza n. 25453/2018 resa a Sezioni Unite da questa Corte.

Con il tredicesimo motivo viene lamentato l’eccesso di potere per violazione del diritto di accesso e conseguente carenza e/o illogicità di motivazione della delibera impugnata.

Del pari è inammissibile tale motivo richiamando una serie di atti non menzionati nella sentenza e che neppure si dice dove e quando siano stati prodotti nel giudizio di merito.

Con il quattordicesimo motivo il ricorrente deduce la nullità della delibera di cancellazione e del procedimento per illegittima composizione del COA di Caltagirone per l’incompatibilità di tre consiglieri, avvocati Bentrovato, Amato e Prestianni, che avevano al momento della decisione già accettato incarichi che durante il loro mandato ne comportavano la immediata decadenza d’ufficio.

La censura è palesemente inammissibile per genericità della deduzione, non riportando nè i singoli componenti del collegio che aveva deliberato la cancellazione degli avocat, nè il tenore del verbale invocato del 21 marzo 2018, laddove assume di avere sollevato l’eccezione, non essendo al riguardo sufficiente il solo richiamo alla precedente difesa, priva di ogni rinvio ai contenuti della medesima eccezione.

Con il quindicesimo motivo il ricorrente deduce l’inesistenza della notifica delle delibere di cancellazione effettuata nei suoi confronti a mezzo PEC dal COA di Caltagirone, per essere la normativa che consente siffatta modalità prevista per gli avvocati, non anche per l’ente pubblico.

La censura è priva di pregio alla luce del principio secondo cui “in tema di procedimento disciplinare a carico di avvocato e secondo la disciplina anteriore a quella di cui all’art. 31 del Regolamento 21 febbraio 2014 n. 2 (adottato dal Consiglio Nazionale Forense ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 50, comma 5, in materia di “procedimento disciplinare”), la disciplina di cui al R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 50, e art. 46, comma 2, (“norme integrative e di attuazione del regio D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore”) va integrata con le evoluzioni delle normative in tema di notificazioni e comunicazioni da parte di enti pubblici non economici; pertanto, per il destinatario di integrale comunicazione a mezzo p.e.c. della decisione disciplinare da parte del Consiglio dell’Ordine, che si limiti a lamentarne l’irritualità perchè sostitutiva della notificazione a mezzo ufficiale giudiziario (in base a normativa superata dall’evoluzione di quella in tema di facoltà delle pubbliche amministrazioni non economiche di notificazione dei propri atti col mezzo della posta e poi di quella elettronica, normativa che avrebbe reso prevedibile per il destinatario la possibilità di un utilizzo di un tale equipollente) o per carenza di un’ attestazione di conformità od altri requisiti formali previsti invece per gli atti del processo civile (e quindi inapplicabile ad un atto amministrativo, quale deve qualificarsi quello conclusivo della fase del procedimento disciplinare davanti al Consiglio dell’Ordine Forense secondo la disciplina previgente) e che comunque non ha dedotto in concreto alcuna conseguente violazione del diritto di difesa, è validamente iniziato a decorrere il termine per l’impugnazione” (cfr in termini, Cass. Sez. Un. 20685 del 2018).

Con il sedicesimo motivo il ricorrente, nel denunciare la violazione e la falsa applicazione della L. n. 247 del 2012, per avere il CNF disposto sulla base del R.D. n. 1578 del 1933, artt. 50 e 54, norme ormai prive di alcuna cogenza con l’attuale assetto normativo, assume che sotto questo aspetto la motivazione del CNF recherebbe in sè un evidente errore di diritto.

Anche l’ultima censura non può essere condivisa in quanto sebbene il CNF nel dispositivo abbia fatto espresso richiamo al R.D. n. 1578 del 1933, artt. 50 e 54, questo errore di diritto non ha apportato una reale incidenza invalidante sulla decisione impugnata, avendo comunque pacificamente esercitato il potere nell’ambito delle attribuzioni di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 17, risultando comunque le argomentazioni svolte nella parte motiva adeguate a sostenere l’esito ermeneutico ottenuto dal giudice d’appello.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Al rigetto nel merito del ricorso consegue l’assorbimento della richiesta volta alla sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato.

La Corte ritiene di compensare le spese del giudizio di legittimità, per essere stato notificato in data 19 gennaio 2019, allorquando non era stata ancora depositata la sentenza resa a Sezioni Unite n. 3706 del 2019, che ha mutato l’orientamento giurisprudenziale in materia.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

dichiara assorbita l’istanza di sospensione;

dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello registrato per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite, il 14 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA