Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3443 del 13/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3443 Anno 2018
Presidente: DI VIRGILIO ROSA MARIA
Relatore: DI MARZIO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 19915-2016 proposto da:
PIGNATARO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
FLANIINIA 318, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO
CORAPI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO
TORTORANO;

– ricorrente contro
UNICREDIT SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in RONIA, FEDERICO CESI 72,
presso lo studio dell’avvocato ACHILLE BUONAFEDE, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE SIST_1;

controricorrente

avverso la sentenza n. 1310/2015 della coRTE D’AppEuo di
B01,OGNA, depositata il 16/07/2015;

Data pubblicazione: 13/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 05/12/2017 dal Consigliere Dott. M ALRO DI
NL1RZIO.

respinto l’appello proposto da Pignataro Giuseppe nei confronti di
Unicredit S.p.A. contro la sentenza con cui il Tribunale di Bologna
aveva respinto la domanda dello stesso Pignataro volta alla condanna
di Carimonte Banca S.p.A., poi Rolo Banca 1473 S.p.A., poi Unicredit
Banca S.p.A., poi Unicredit S.p.A.., al pagamento dell’importo di L.
616.303.027, domanda spiegata sull’assunto dell’apertura da parte sua
di un libretto nominativo di deposito a risparmio sul quale egli avrebbe
versato per contanti il complessivo importo di L. 623.634.728, a fronte
del quale, all’esito della richiesta di pagamento del saldo portato dal
libretto, la banca gli aveva corrisposto la sola somma di L. 7.331.701,
sostenendo che il residuo importo) era stato depositato mediante
assegni non andati a buon fine.

2. — Per la cassazione della sentenza Pi_,Triataro Giuseppe ha proposto
ricorso affidato a due mezzi illustrati da memoria.
Unicredit

ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO CHE
3.

11 primo motivo è rubricato: (eldicolo 360, comma 1, M/1MM 3, c.p.c.,

,falsa applhnione del combinato disposto degli adicoli 1833, comma 2, c.c., e
2697, comma 2, c.c., nonché dell’articolo 210 tv).c.», censurando la sentenza
impugnata per non essersi la Corte d’appello avveduta che l’efficacia
probatoria delle annotazioni sul libretto di risparmio prevista
Ric. 2016 n. 19915 sez. MI – ud. 05-12-2017
-2-

RILEVATO CHE
1. — Con sentenza del 16 luglio 2015 la Corte d’appello di Bologna ha

dall’articolo 1835 c.c. impediva al giudice di ritenere provato con ogni
e qualsiasi elemento istruttorio fatti e comportamenti contrastanti con
le annotazioni risultanti dal libretto, come pure l’affidamento alla banca
del duplice incarico di riscuotere gli assegni consegnati nonché di
effettuare il versamento sul libretto in via anticipata salvo buon fine dei

sussistenza delle due distinte operazioni.
Il secondo motivo è rubricato: «Articolo 360, comma 1, numero 5 e numero

3, c.p.c., omessa disamina circa un latto decisivo per il giudi:zio che è stato oggetto di
discussione tra le parli e ja7sa ap Ihnione degli articoli 210 e 116 (4).c., con

rifi rimento al di.!posto degli articoli 1833 c.c. e 2697, comma 2, c.c.»,
censurando la sentenza impugnata per non aver riconosciuto l’assoluta
irrilevanza degli elementi di prova offerti dalla banca, quali la
deposizione resa dal teste Lanzioni Tiziano Luigi, le fotocopie degli
assegni, per altro disconosciuti nel corso del giudizio di primo grado, i
moduli di identificazione del cliente prodotti dalla banca, occorrendo al
contrario, per i fini della dimostrazione del versamento mediante
assegni, la produzione della documentazione relativa all’identificazione
del soggetto presentatore e della distinta di presentazione dei titoli
sottoscritta da esso Pignataro, nonché delle scritture contabili della
banca, sicché la Corte d’appello aveva anche errato nell’omettere di
ordinare l’esibizione delle distinte di versamento ai sensi dell’articolo
210 c.p.c., nonché nel ritenere che la prova dell’esistenza delle
medesime incombesse sull’attore, il tutto altresì in violazione anche
dell’articolo 116 c.p.c., concretizzandosi in ciò l’omessa disamina circa
un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

RITENUTO CHE

Ric. 2016 n. 19915 sez. M1 – ud. 05-12-2017
-3-

titoli, tanto più che non sarebbe stata data la prova della reale

4. — 11 Collegio ha disposto l’adozione della modalità di motivazione
semplificata.

Il ricorso è inammissibile.

Occorre anzitutto sgombrare il campo dal richiamo agli articoli 210
c.p.c. e 2697 c.c..
Quanto alla prima disposizione, la cui violazione avrebbe semmai
comportato un vizio di attività riconducibile al n. 4 dell’articolo 360
c.p.c., e non certo al n. 3, vale ricordare che il rigetto da parte del
giudice di merito dell’istanza diretta ad ottenere l’ordine di esibizione al
fine di acquisire al giudizio documenti ritenuti indispensabili dalla parte
non è sindacabile in cassazione, perché, trattandosi di strumento
istruttorio residuale utilizzabile soltanto quando la prova del fatto non
sia acquisibile aliunde, e l’iniziativa non presenti finalità esplorative —
ravvisabili allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla
effettiva esistenza del documento e del suo contenuto per verificarne la
rilevanza nel giudizio — la valutazione della relativa indispensabilità è
rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e non necessita
neppure di essere esplicitata nella motivazione, il mancato esercizio di
tale potere non essendo sindacabile neppure sotto il profilo del difetto
di motivazione (Cass. 29 ottobre 2010, n. 22196; Cass. 16 novembre
2010, n. 23120; Cass. 25 ottobre 2013, n. 24188).
11-iche ad aderire al diverso orientamento secondo cui la discrezionalità
del potere officioso del giudice di ordinare alla parte o ad un terzo, ai
sensi degli artt. 210 e 421 c.p.c., l’esibizione di un documento
sufficientemente individuato, non potendo sopperire all’inerzia delle
parti nel dedurre i mezzi istruttori, rimane subordinata alle molteplici
Ric. 2016 n. 19915 sez. M1 – ud. 05-12-2017
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5.1. — Il primo motivo è inammissibile.

condizioni di ammissibilità di cui agli arti. 118 e 210 c.p.c. e 94 disp.
att. c.p.c. e deve essere supportata da un’idonea motivazione, anche in
considerazione del più generale dovere di cui all’art. 111, comma sesto,
Cost., saldandosi tale discrezionalità con il giudizio di necessità
dell’acquisizione del documento ai fini della prova di un fatto (Cass. 20

in esame la Corte d’appello ha ritenuto insussistenti i presupposti per
impartire l’ordine di esibizione dal momento che non risultava provata
la loro esistenza, ed altresì per il fatto che la menzionata
documentazione non era indispensabile ai fini della decisione, essendo
cioè sufficiente il materiale probatorio già acquisito al giudizio.
Quanto all’articolo 2697 c.c. è sufficiente poi ricordare che la
violazione di tale norma ricorre quando il giudice abbia attribuito
l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risultava per
legge gravata (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107), mentre, nel caso in
esame, la dog,lianza investe il governo del materiale probatorio
disponibile da parte del giudice d’appello, il quale ha ritenuto che gli
elementi istruttori disponibili fossero sufficienti a comprovare che il
Pignataro aveva effettuato il versamento in discorso con assegni e che
tali assegni non erano andati a buon fine (pagina 8 della sentenza
impugnata) .
:\ suffragio di tale statuizione il giudice del merito ha difatti osservato:
a) che la tesi del Pignataro secondo cui i versamenti erano stati
effettuati per contanti era smentita dalla circostanza che risultava un
versamento di 7 milioni di lire mediante due assegni;
13) che il teste I Sanzioni aveva confermato che i versamenti erano stati
effettuati mediante alcune decine di assegni che erano stati
contabilizzati subito nel libretto di deposito come se si trattasse di
contante;
Ric. 2016 n. 19915 sez. M1 – ud. 05-12-2017
-5-

giugno 2011, n. 13533), resterebbe soltanto da constatare che nel caso

c) che la circostanza del versamento mediante assegni trovava
conferma nel fatto che il Pignataro, come riferito dallo stesso teste,
aveva chiesto se nella giornata di domenica (essendo stati effettuati i
versamenti il venerdì e sabato) era disponibile il trasporto del liquido
allo sportello presso la Fiera per poter estinguere il libretto,

C( ntanti;
ci) che i fatti così descritti erano stati ricostruiti con sentenza del
Tribunale penale di Bologna, da cui emergeva che gli assegni erano
frutto di rapine ad un portavalori.
Passando alla denunciata violazione dell’articolo 1835 c.c., che,
peraltro, secondo lo stesso ricorrente, porrebbe una presunzione
superabile da prova contraria, avendo la banca, secondo quanto dal
medesimo affermato a pagina 6 del ricorso, «l’onere d i io’ mire la prova che
le annotaioni dei versamenti di denaro contante nei ,giorni 8 e 9 gUgno 1990,
benché operate indisiwtibilmente dall’istituto di credito emittente, ovvero da un suo
dipendente, diversamente dalle risultane del libretto, avrebbero trovato causa nella
neoo-ia-ione di ~ani bancari tratti su altri e diversi istituti di credito»,

si deve

osservare che la doglianza riferita alla norma richiamata non coglie nel
segno, dal momento che la ratio decidendi posta dalla Corte territoriale a
fondamento della decisione non si appunta sulla efficacia probatoria
delle annotazioni risultanti sul libretto ai sensi dell’articolo 1835 c.c.,
ma sul rilievo — del tutto estraneo alla portata normativa della
disposizione — che, nella concreta fattispecie sottoposta al suo esame,
il Pignataro aveva affidato alla banca un incarico complesso
consistente sia nel riscuotere gli assegni, sia nel versamento sul libretto
in via anticipata della somma, salvo buon fine dei medesimi assegni.

5.2. — Il secondo motivo è inammissibile.
Ric. 2016 n. 19915 sez. M1 – ud. 05-12-2017
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comportamento inspiegabile se si fosse trattato di versamento per

Il motivo è inammissibile laddove è formulato in riferimento al
numero 5 dell’articolo 360 c.p.c. versandosi nell’ipotesi disciplinata
dall’articolo 348 ler, ultimo comma, c.p.c., considerato che la pronuncia
adottata dalla Corte d’appello è stata fondata sulle stesse ragioni
inerenti alle questioni di fatto poste a base della decisione ivi

esame è stata pronunciata in sede di cassazione con rinvio restitutorio,
avendo il giudice d’appello dichiarato in un primo tempo inammissibile
l’impugnazione per essere stata proposta nei confronti di società
estinta, e che dunque l’appello non ha costituito la fase rescissoria del
precedente giudizio di cassazione, ma ha dato luogo allo svolgimento
di un nuovo giudizio di impugnazione dopo che la precedente
sentenza d’appello era stata travolta. Di guisa che trova applicazione la
norma transitoria di cui all’articolo 54 del decreto-legge 22 giugno 2012
numero 83, convertito con modificazioni in legge 7 agosto 2012
numero 134, secondo cui il citato articolo 348 ler, ultimo comma,
c.p.c., si applica agli appelli introdotti successivamente, decorsi 30
giorni, all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto.
Ciò esime dall’aggiungere che l’inammissibilità, con riguardo alla
doglianza di vizio motivazionale, discende dalla stessa formulazione del
ricorso, dal momento che il fatto cui si riferisce l’articolo 360, numero
5, c.p.c., nell’attuale formulazione, è un preciso fatto storico (tra le
tantissime di recente Cass. 14 giugno 2017, n. 14802), fatto che non
emerge per nulla dal ricorso per cassazione, che, in effetti, si risolve in
una semplice manifestazione di dissenso del ricorrente rispetto alla
valutazione degli elementi istruttori insindacabilmente compiuta dal
giudice di merito.
Per il resto, quanto alla violazione dell’articolo 116 c.p.c., basta
rammentare che in tema di ricorso per cassazione, una questione di
Ric. 2016 n. 19915 sez. M1 – ud. 05-12-2017
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impugnata: ciò con la precisazione che la sentenza d’appello ora in

violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può
porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal
giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che
quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle
parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia

prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova,
recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti
invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. 11
dicembre 2015, n. 25029; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960).
Nel caso in esame, come si è detto, ciò che il ricorrente ha posto in
discussione è per l’appunto il complessivo governo del materiale
istruttorio, in forza del quale il giudice di merito ha ritenuto – si ripete
— che il Pignataro avesse effettuato i versamenti in discorso con
assegni e che gli assegni, provento di rapina in danno di un portavalori,
non avessero avuto buon fine.
Con riguardo alla violazione degli articoli 210 c.p.c. e 2697 c.c. valgono
le considerazioni svolte in relazione al primo motivo.

6. — Le spese seguono la soccombenza.

PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso, in
favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio
di legittimità, liquidate in complessivi C 8.100,00, di cui C 100,00 per
esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli
accessori di legge; ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13,
comma 1

quater, dichiara che sussistono i presupposti per il

versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a
Ric. 2016 n. 19915 sez. M1 – ud. 05-12-2017
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disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle

titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma il 5 dicembre 2017.
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