Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34422 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2021, (ud. 05/05/2021, dep. 15/11/2021), n.34422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6217/2019 proposto da:

ARIETE SOC. COOP., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 73, presso lo

studio dell’avvocato ENZO AUGUSTO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.D., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato VITANGELO LATERZA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2230/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 27/11/2018 R.G.N. 1338/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2021 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23,

comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020,

n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In data 10.3.2015 la Ariete Soc. Coop irrogava alla dipendente M.D., operaria di II livello del CCNL imprese di pulizia e servizi integrativi/multiservizi e con mansioni di portiere da espletarsi presso la sede del Politecnico di Bari, la sanzione del licenziamento con preavviso “ai sensi e per gli effetti dell’art. 48, lett. A, comma d), del CCNL di categoria in adozione” perché in data 17.2.2025, alle ore 2.40, era stata sorpresa dal suo referente di cantiere mentre dormiva all’interno della sua autovettura parcheggiata sotto i portici del corpo A-Z, zona dove era assolutamente vietato il transito per motivi di sicurezza, nonostante il suo turno di lavoro fosse previsto dalle 00:00 alle ore 8:00.

2. Impugnato il licenziamento il Tribunale di Bari, sia in fase sommaria che con la sentenza del 15.5.2018, rigettava la domanda proposta dalla lavoratrice.

3. La Corte di appello di Bari, con la pronuncia n. 2230/2018, pubblicata il 27.11.2018, accoglieva il reclamo proposto dalla M. e, in riforma della impugnata sentenza, dichiarava risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti con effetto dalla data del licenziamento e condannava la società al pagamento, in favore della lavoratrice, di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre accessori.

4. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure rilevavano che: 1) il fatto disciplinare contestato alla M. era sussistente, come risultava dal video su supporto DVD processualmente acquisito; 2) la condotta in esame era connotata dai requisiti di coscienza e volontarietà del fatto; 3) l’attività di portiere, svolta dalla lavoratrice, non era equiparabile a quella di guardia giurata ed era stata corretta la sussunzione del fatto nella previsione contrattuale di cui all’art. 48, sub. A) lett. d) e non già tra quelle meritevoli delle più blande sanzioni di cui all’art. 47, del CCNL adottato; 4) non vi era, però, proporzione tra fatto e sanzione per cui andava applicata l’ipotesi di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5.

5. Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione l’Ariente Soc. Coop. affidato a tre motivi, cui resisteva con controricorso M.D..

6. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, ai sensi del D.L. n. 137 del 2000, art. 23, comma 8 bis, coordinato con la Legge di conversione n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.

7. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi di lavoro (art. 360 c.p.c., n. 3, art. 2106 c.c., art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 3, art. 48 lett. A comma d) del CCNL Multiservizi). Deduce che il giudizio di adeguatezza della misura sanzionatoria, adottata nel caso di specie in relazione agli addebiti ascritti alla lavoratrice, era viziato in quanto contrario al principio di proporzionalità di cui all’art. 2106 c.c., e non collimante con l’ipotesi sanzionatoria pur tipizzata dalla contrattazione collettiva (art. 48, lett. A, comma d) nel cui alveo era sussumibile la condotta della lavoratrice. In particolare, si sostiene che la valutazione della Corte territoriale differiva sensibilmente dalla nozione di giustificato motivo soggettivo e che l’errore commesso era consistito nell’avere richiamato i principi giurisprudenziali consolidatisi con riferimento alla nozione di giusta causa di recesso di un licenziamento che, invece, come detto, era stato irrogato per giustificato motivo soggettivo.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., art. 2106 c.c., e L. n. 604 del 1966, art. 3, per non avere la Corte territoriale adeguatamente considerato la portata lesiva del fatto addebitato, la circostanza del suo verificarsi, i motivi nonché l’intensità dell’elemento volitivo, così come desumibili dalle emergenze processuali.

4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della contraddittorietà della motivazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, presente nell’evidente contrasto rilevabile tra la qualificazione della condotta della lavoratrice, operata dalla Corte territoriale in termini di gravità e tale da giustificare l’adozione della sanzione tipizzata dall’art. 48, lett. A, comma d), del CCNL Multiservizi e la successiva statuizione di sproporzionalità della sanzione operata dalla stessa Corte con riferimento alla medesima condotta della dipendente.

5. Il primo ed il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono infondati.

6. La Corte territoriale si è attenuta al principio, che oramai può ritenersi consolidato in sede di legittimità, secondo cui, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nella attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c. (Cass. n. 17321/2020; Cass. n. 3283/2020; Cass. n. 13865/2019).

7. Nella fattispecie in esame, pertanto, non è ravvisabile la denunciata violazione di legge, relativamente al disposto degli artt. 2106 e 2119 c.c., né alcuna contraddittorietà della motivazione, in quanto la Corte di merito ha correttamente operato nel sussumere la condotta della lavoratrice nell’ipotesi disciplinare di abbandono del posto di lavoro, nella versione sanzionata con il licenziamento con preavviso (con statuizione divenuta definitiva perché non impugnata dalle parti) e, conseguentemente, ha valutato la proporzionalità tra la condotta e la sanzione applicata.

8. Il giudice, infatti, non può limitarsi a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile ad una previsione contrattuale, essendo comunque tenuto a valutare in concreto la condotta addebitata e, quindi, la proporzionalità della sanzione.

9. Va sottolineato che la giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo soggettivo (Cass. n. 12365/2019), sono nozioni legali rispetto alle quali non sono vincolanti -al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo- le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa e non precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione (Cass. n. 27004/2018).

10. La giusta causa ed il giustificato motivo soggettivo, in quanto causali del recesso datoriale, costituiscono, dunque, mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso (Cass. n. 12884/2014; Cass. n. 837/2008).

11. Solo per completezza, deve sottolinearsi che l’obbligo del giudice di valutare la legittimità del licenziamento disciplinare, quanto alla proporzionalità della sanzione, anche attraverso le previsioni contenute nei contratti collettivi, trova un fondamento normativo nella L. n. 183 del 2010, che all’art. 30, comma 3, ha testualmente previsto: “nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e d’ giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni”.

12. Le previsioni della contrattazione collettiva, pertanto, non vincolano il giudice di merito, con il solo limite prima indicato, e la scala valoriale recepita dalle parti sociali non esclude, comunque, la valutazione sulla proporzionalità della sanzione in ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo (Cass. n. 32500 del 2018).

13. In altri termini, l’espressa tipizzazione della fattispecie da parte della contrattazione collettiva comunque richiede la mediazione della valutazione del giudice sull’accertamento della proporzione tra sanzione e fatto, con conseguente sua rilevanza in tema di individuazione delle conseguenze (Cass. n. 13178/2017).

14. L’operato della Corte territoriale è da ritenersi coretto, perché conforme ai principi di legittimità, e coerente nella articolazione della ratio decidendi.

15. Il secondo motivo e’, invece, inammissibile.

16. Esso, infatti, si sostanzia in una richiesta di riesame e di rivisitazione degli elementi di fatto, da cui è stata desunta la portate lesiva del fatto, il suo verificarsi e l’intensità dell’elemento volitivo, i quali, essendo stati il risultato di una adeguata e logica analisi effettuata in concreto dalla Corte di merito e congruamente motivata, non possono essere censurati in sede di legittimità.

17. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

18. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

19. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.250,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

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