Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3442 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. I, 12/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 12/02/2020), n.3442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA AndreA – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10942/2015 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Antonio

Chinotto n. 1, presso lo studio dell’Avvocato Stefano Minucci, che

lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Alitalia Servizi s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona

dei Commissari Straordinari pro tempore, elettivamente domiciliata

in Roma, Via Gian Giacomo Porro n. 15, presso lo studio

dell’Avvocato Daniele Umberto Santosuosso, che la rappresenta e

difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente incidentale –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Antonio

Chinotto 1, presso lo studio dell’Avvocato Stefano Minucci, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 243/2015 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

13/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2019 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato il 13 marzo 2015 il Tribunale di Roma, decidendo in sede di giudizio L. Fall., ex art. 98, respingeva l’opposizione proposta da C.F. nei confronti del provvedimento di rigetto della domanda di ammissione, in prededuzione, allo stato passivo di Alitalia – Linee Aeree Italiane S.p.A. in amministrazione straordinaria del suo credito di Euro 128.497 lordi a titolo di indennità supplementare prevista dall’Accordo collettivo del 27 aprile 1995.

2. Il Tribunale, condivisa la valutazione del G.D. circa la natura risarcitoria dell’indennità, osservava come la stessa sia dovuta nella sola ipotesi in cui si verifichi, nell’ambito delle fattispecie indicate dall’Accordo, una “effettiva” cesura nel rapporto di lavoro del dirigente e, quindi, una sua definitiva risoluzione, tale non potendo considerarsi il licenziamento, seguito da riassunzione, previsto dal D.L. n. 347 del 2003, art. 5, comma 2-ter convertito in L. n. 39 del 2004 (comma aggiunto dal D.L. 28 agosto 2008, n. 134, art. 1, comma 13) quale speciale modalità di trasferimento dei lavoratori in caso di cessione parziale di complessi o attività aziendali.

Il collegio dell’opposizione, ritenuta poi, diversamente dal G.D., la prededucibilità del credito in questione, ove eventualmente dimostrato, attribuiva al dirigente l’onere di provare la mancata ricollocazione nell’ambito della medesima procedura di amministrazione straordinaria e di conseguenza rilevava come, nel caso di specie, il ricorrente non avesse fornito la prova di non essere stato riassunto da CAI Compagnia Aerea Italiana S.p.A., acquirente degli asset operativi e del marchio Alitalia, o quanto meno del proprio status di disoccupazione, onde consentire di dedurne la mancata riassunzione da parte di detta società.

3. Ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento C.F. con unico, articolato, motivo, assistito da memoria, cui ha resistito Alitalia Servizi S.p.A. in amm.ne straordinaria con controricorso; quest’ultima ha proposto ricorso incidentale condizionato, cui ha resistito con controricorso il C..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Con l’unico motivo proposto vengono dedotti la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 347 del 2003, art. 5, comma 2-ter, convertito in L. n. 39 del 2004 (comma aggiunto dal D.L. 28 agosto 2008, n. 134), dell’art. 12 preleggi, dell’art. 1362 c.c. e ss., art. 2118 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’Accordo collettivo del 27 aprile 1995 per i dirigenti delle aziende industriali nonchè il vizio di motivazione: il Tribunale di Roma avrebbe erroneamente ritenuto, con violazione dei criteri di riparto dell’onere della prova, che il licenziamento del ricorrente, in base al richiamato D.L. n. 347 del 2003, art. 5, comma 2-ter, non costituisse atto idoneo a determinare l’effettiva e definitiva risoluzione del rapporto di lavoro e che, proprio per questo motivo, dovesse gravare sul ricorrente medesimo l’onere di dimostrare di non essere passato alle dipendenze di C.A.I. – Compagnia Aerea Italiana.

4.2 Il motivo è fondato e deve essere accolto, sulla scorta degli argomenti già espressi da questa Corte in una pluralità di occasioni rispetto alla questione in esame, che questo collegio condivide (si vedano in questo senso, fra molte, Cass. 29735/2018, Cass. 15608/2019 e 23287/2019).

4.3 La domanda di insinuazione presentata dall’odierno ricorrente reclamava l’ammissione al passivo dell’indennità prevista dall’Accordo Interconfederale 27 aprile 1995, secondo cui “in presenza delle specifiche fattispecie di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione ovvero crisi aziendale di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, riconosciute con il decreto del Ministero del lavoro di cui alla L. 19 luglio 1994, n. 451, art. 1, comma 3, nonchè delle situazioni aziendali accertate dal Ministero del lavoro ai sensi della L. 19 dicembre 1984, n. 863, art. 1 l’azienda che risolva il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, motivando il proprio recesso come dovuto alle situazioni sopra indicate, erogherà al dirigente, oltre alle spettanze di fine rapporto, una indennità supplementare al trattamento di fine rapporto pari al corrispettivo del preavviso individuale maturato”.

Rispetto a tale domanda deve escludersi – diversamente da quanto sostenuto nel provvedimento impugnato – che il dirigente fosse tenuto alla prova di non essere stato riassunto da C.A.I., ovvero, quanto meno, alla prova del proprio stato di disoccupazione, da cui poter inferire la mancata riassunzione da parte di C.A.I., e che il difetto di dimostrazione di tali fatti potesse condizionare negativamente il riconoscimento dell’indennità supplementare di cui all’Accordo Interconfederale.

In vero da tempo si è affermato (Cass. 16498/2019), in materia di rapporto di lavoro dei dirigenti di azienda, che l’indennità supplementare di cui all’Accordo del 27 aprile 1995 fa riferimento a casi speciali, a casi cioè in cui l’assetto aziendale, per le varie causali indicate, viene radicalmente modificato così da coinvolgere una pluralità di dirigenti della stessa impresa, con conseguente necessità di sopperire alle relative emergenze occupazionali, giacchè i dirigenti non rientrano nell’ambito di operatività nè della cassa integrazione nè dell’indennità di mobilità (Cass. 142/2019).

Ne consegue che, ai fini dell’applicazione dell’Accordo, deve ritenersi sufficiente che il licenziamento del dirigente abbia causa concreta nella riorganizzazione, ristrutturazione o crisi aziendale, anche se asseverate dal Ministero del Lavoro in data successiva nell’ambito della procedura per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria.

Più di recente questa Corte ha ribadito che l’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto prevista per i dirigenti di azienda dall’Accordo Interconfederale deve essere riconosciuta al dipendente nel caso in cui il licenziamento sia obiettivamente causato da ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale, al di là della motivazione formalmente adottata dal datore di lavoro (Cass. n. 86/2019), e che ciò che rileva, sul piano del diritto, è l’effettiva ragione del recesso datoriale e il rapporto di derivazione causale di esso rispetto alle fattispecie (di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale) individuate dall’Accordo, al di là della motivazione che il datore di lavoro abbia formalmente adottato (Cass. n. 142/2019).

Deve quindi concludersi che, ai fini del riconoscimento dell’indennità supplementare, rilevano unicamente l’indagine circa la riconducibilità del licenziamento alle fattispecie legali contemplate dall’Accordo e l’effettiva causale dello stesso.

4.4 Non conduce a conclusioni diverse l’esame del D.L. n. 347 del 2003, art. 5, comma 2-ter, convertito in L. n. 39 del 2004, che, nel testo introdotto dal D.L. n. 134 del 2008, stabilisce: “Nel caso di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria di imprese di cui all’art. 2, comma 2, secondo periodo, e ai fini della concessione degli ammortizzatori sociali di cui al D.L. 5 ottobre 2004, n. 249, art. 1-bis, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 dicembre 2004, n. 291, e successive modificazioni, i termini di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, commi 6 e 7, di cui al D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, art. 2, comma 6, e di cui alla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, comma 1, sono ridotti della metà. Nell’ambito delle consultazioni di cui al D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 63, comma 4, ovvero esaurite le stesse infruttuosamente, il Commissario e il cessionario possono concordare il trasferimento solo parziale di complessi aziendali o attività produttive in precedenza unitarie e definire i contenuti di uno o più rami d’azienda, anche non preesistenti, con individuazione di quei lavoratori che passano alle dipendenze del cessionario. I passaggi anche solo parziali di lavoratori alle dipendenze del cessionario possono essere effettuati anche previa collocazione in cassa integrazione guadagni straordinaria o cessazione del rapporto di lavoro in essere e assunzione da parte del cessionario”.

Il tenore letterale della disposizione riportata non consente di inferire in alcun modo che il licenziamento intimato al dirigente dal commissario straordinario possa costituire di per sè una modalità di trasferimento del lavoratore alle dipendenze del cessionario, risultando tale eventuale passaggio frutto di un possibile accordo tra commissario e cessionario volto a regolare (non il licenziamento bensì più in generale) la “cessazione del rapporto di lavoro in essere e (la) assunzione da parte del cessionario”.

L’autonomia delle due fattispecie, rispettivamente contemplate dall’Accordo interconfederale e dal citato art. 5, comma 2-ter, impedisce di individuare tra gli elementi costitutivi della domanda di indennità supplementare il mancato trasferimento del dirigente alle dipendenze del cessionario, potendo al più l’eventuale accordo tra commissario e cessionario, ove volto a disciplinare anche gli effetti della cessazione del rapporto di lavoro in essere, costituire fatto impeditivo del diritto all’indennità supplementare.

In tal senso si è già espressa questa Corte quando, con sentenza 29735/2018, ha confermato la statuizione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto condizioni necessarie e sufficienti, ai fini dell’indennità supplementare di cui all’Accordo del 27 aprile 1995, “lo stato di crisi aziendale e la conseguente soppressione del posto di lavoro, escludendo espressamente la necessità della prova dello stato di disoccupazione, ed implicitamente quella di non essere (il dipendente) “transitato” in CAI”, precisando poi come non fosse possibile “rinven(ire) nella normativa in questione (ed in particolare nel D.L. n. 347 del 2003, art. 5, comma 2 ter,…) l’onere del dipendente di fornire la prova “negativa” del mancato “passaggio” in CAI, il quale potrebbe semmai rivestire il ruolo di eccezione a carico del datore di lavoro”.

Occorre pertanto ribadire che, in ipotesi di licenziamento intimato dal commissario straordinario della società datoriale in amministrazione straordinaria, il mancato trasferimento del dirigente alle dipendenze del cessionario di cui all’art. 5, comma 2-ter appena citato non rappresenta un elemento costitutivo della domanda di indennità supplementare ai sensi dell’Accordo del 27 aprile 1995, sicchè nessun onere probatorio può addossarsi al riguardo al lavoratore.

4.5 Nel caso di specie, l’impugnato decreto del Tribunale di Roma deve essere cassato, in quanto il giudice di merito, pur avendo dato atto (a p. 4) che: a) il ricorrente era stato assunto a tempo indeterminato da Alitalia – Linee Aeree Italiane S.p.A. con la qualifica di dirigente; b) il rapporto di lavoro era soggetto al c.c.n.l. per i dirigenti dell’industria; c) la società era stata posta in amministrazione straordinaria con decreto del 29 agosto 2008; d) il rapporto era stato unilateralmente risolto dal commissario straordinario “a seguito della chiusura dell’attività produttiva dell’azienda collocata in amministrazione straordinaria”, ha ritenuto necessario che fosse dimostrato un ulteriore fatto e cioè che venisse fornita la prova della mancata assunzione del dirigente da parte di C.A.I.; elemento, questo, che tuttavia, per i rilievi sopra svolti, deve ritenersi estraneo alla fattispecie costitutiva del diritto alla percezione dell’indennità supplementare di cui all’Accordo Interconfederale del 27 aprile 1995.

4.6 Neppure può rilevare la circostanza che il licenziamento sia avvenuto a distanza di alcuni mesi dalla apertura della procedura e che lo stesso non sia conseguenza diretta della ristrutturazione dell’azienda, ma dell’accertata impossibilità di proseguire nell’attività produttiva.

Sul tema del diritto alla indennità supplementare riconosciuta dalla contrattazione collettiva ai dirigenti licenziati a causa di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi settoriale o aziendale, nonchè di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, questa Corte ha già avuto occasione di disattendere letture orientate a ravvisare “una cesura di carattere non solo temporale, ma logica” fra la fase propriamente di risanamento e quella eventualmente conseguente all’esaurimento dell’esperimento conservativo, tale da escludere la suddetta indennità in caso di licenziamento intervenuto a significativa distanza dall’apertura della procedura e “non conseguente alla ristrutturazione dell’azienda bensì all’accertata impossibilità di proseguire nell’attività produttiva”.

Si è infatti osservato in proposito come la contrattazione collettiva attribuisca l’indennità in questione “prescindendo dall’epoca del recesso” e la ricolleghi “ad una situazione in itinere, insorta con intenzione conservativa, il rischio del cui esito negativo non può trasferirsi sul dirigente esclusivamente in base al dato temporale offerto dall’epoca del recesso” (in tal senso Cass. 29735/2018, che richiama Cass. 14769/2005, Cass. 3572/2004 e Cass. 5371/1998).

5.1 Il ricorso incidentale deduce la “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 20 e 52 nonchè della L. Fall., art. 111, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″ a causa dell’erronea attribuzione della prededuzione al credito per indennità supplementare, il quale al più sarebbe stato assistito da privilegio, non potendosi estendere la disciplina della prededuzione applicabile in materia fallimentare, concernente i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura, con quella riservata dal D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 20 e 52 alla prededuzione nell’ambito dell’amministrazione straordinaria, dove i crediti prededucibili sono solo quelli necessari o funzionali alla continuazione della gestione dell’impresa e/o del patrimonio del debitore sorti dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza.

5.2 Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale infatti ha sì riconosciuto la natura prededucibile dell’eventuale credito per l’indennità supplementare in parola”, ma nell’ambito di un giudizio di opposizione in cui il verificarsi di una simile eventualità è stato negato, dato che il provvedimento di reiezione emesso dal giudice delegato ha trovato integrale conferma in sede di impugnazione, dove l’opposizione è stata rigettata.

L’affermazione contenuta nel decreto impugnato e censurata con il motivo in esame, concernendo un’ipotesi di cui non è stato riconosciuto il concreto ricorrere nella fattispecie in esame, non ha quindi spiegato alcuna influenza sul dispositivo della decisione nè ha dato luogo a una pronuncia sfavorevole alla parte resistente, risultata totalmente vittoriosa.

Una simile statuizione, essendo improduttiva di effetti giuridici, non ha determinato alcuna soccombenza e non poteva quindi essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse.

6. Il provvedimento impugnato andrà dunque cassato, in accoglimento del ricorso principale, con rinvio al Tribunale di Roma, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Il ricorso incidentale deve invece essere dichiarato inammissibile.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa al Tribunale di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020

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