Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34417 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 15/11/2021), n.34417

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12862/2019 proposto da:

TARGETTI SANKEY S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 32, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DE MAJO, rappresentata e difesa

dagli avvocati VITTORIO BECHI, STEFANO CHITI;

– ricorrente –

contro

V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO PUCCI, rappresentato e

difeso dagli avvocati LORENZO CALVANI, ANDREA STRAMACCIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 147/2319 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 22/02/2019 R.G.N. 938/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/03/2C21 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

che con sent. n. 147/2019, pubblicata il 22 febbraio 2019, la Corte di appello di Firenze ha respinto il reclamo di Targetti Sankey S.p.A. e confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede – come già all’esito della fase sommaria aveva annullato il licenziamento intimato ad V.A. in data 21 settembre 2017 a conclusione della procedura L. n. 223 del 1991, ex art. 4 e ss., avviata con comunicazione del 3 luglio 2017, disponendo applicarsi – stante la ritenuta violazione dei criteri di scelta – la tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, (reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della società al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura non superiore a dodici mensilità);

– che a sostegno della propria decisione la Corte territoriale ha rilevato: – che né con la comunicazione del 3 luglio 2017, né con l’Accordo sindacale 2 novembre 2016 (rispetto al quale la procedura era stata avviata “in continuità”), erano state indicate le ragioni che giustificavano la limitazione dei lavoratori da licenziare ai soli addetti alle unità produttive dell’area di Firenze e non anche le ragioni che impedivano di ovviare ai licenziamenti (anche solo in parte) con il trasferimento dei dipendenti in esubero nell’unità di (OMISSIS), sebbene anche in quest’ultima esistesse un reparto di assemblaggio con lavoratori di analogo profilo professionale; – che tale vizio non risultava sanato ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 12, poiché nell’Accordo finale del 19 settembre 2017 le parti si erano semplicemente date atto di avere esperito la procedura, senza alcun riferimento alla volontà di operare una “sanatoria”; – che, quanto all’aliunde perceptum, in assenza di allegazioni specifiche da parte della società, le istanze istruttorie reiterate nell’atto di reclamo erano da considerarsi del tutto generiche ed esplorative;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società con quattro motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito il lavoratore con controricorso.

Diritto

RILEVATO IN DIRITTO

che con il primo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la Corte di appello omesso di prendere in considerazione ciò che la società aveva invece effettivamente esplicitato sia nella comunicazione di avvio della procedura, sia nell’Accordo 2 novembre 2016, e cioè le ragioni tecnico-produttive e organizzative, in forza delle quali gli esuberi erano da ritenersi sussistenti soltanto nelle unità produttive dell’area di Firenze, e l’impossibilità di procedere alla loro ricollocazione;

– che, con il secondo, viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, commi 2, 3 e 12, e della L. n. 223 del 1991, artt. 5 e 24, avendo la Corte errato nel ritenere che la società avrebbe dovuto indicare le ragioni del mancato coinvolgimento nella procedura di mobilità anche degli addetti all’unità produttiva di (OMISSIS), poiché con la comunicazione di avvio erano stati compiutamente forniti tutti gli elementi prescritti al fine di assicurare un effettivo confronto sindacale; avendo inoltre errato nell’escludere che con l’Accordo del 19/9/2017 fosse intervenuta alcuna sanatoria dei vizi della comunicazione di cui all’art. 4, c. 2, in quanto, con tale accordo, sebbene non approvato dall’assemblea dei lavoratori, le parti si erano date “comunque” atto dell’avvenuto esperimento della procedura;

– che, con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 12, e art. 5, nonché della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 7, la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia confermato la sentenza di primo grado là dove, con l’annullamento del licenziamento, era stata disposta la reintegrazione del V., oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria fino a dodici mensilità, avendo rilevato un mero vizio procedurale, idoneo a determinare l’applicazione della sola tutela indennitaria;

– che con il quarto, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, dell’art. 421 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui la Corte territoriale ha escluso la detrazione dell’aliunde perceptum, erroneamente valutando come “esplorative” ed inammissibili le istanze istruttorie a tal fine articolate e non esercitando i propri poteri d’ufficio;

osservato:

che il primo motivo è inammissibile, sia per la presenza di c.d. “doppia conforme” (art. 348 ter c.p.c., u.c.); sia, in ogni caso, perché il fatto “decisivo”, che si denuncia come omesso, può essere soltanto – secondo il paradigma normativo dell’art. 360, n. 5 – un “fatto storico” (in questi termini già Sez. U n. 8053 e n. 8054 del 2014), vale a dire un accadimento, o una situazione, che appartenga al mondo esteriore e sia connotata in senso naturalistico, così da concorrere, con attitudine determinante, alla ricostruzione fattuale della vicenda dedotta in giudizio;

– che, nella specie, la ricorrente lamenta, invece, una carenza di adeguata lettura dei documenti prodotti (in particolare, della comunicazione di avvio e dell’Accordo concluso il 2 novembre 2016 nell’ambito di una precedente procedura, poi “riavviata”) e in sostanza un’erronea interpretazione del loro contenuto, senza peraltro che sia dedotta la violazione dei canoni ermeneutici;

– che al riguardo deve confermarsi l’orientamento, secondo il quale l’interpretazione degli atti unilaterali compiuta dal giudice del merito non è soggetta al controllo di legittimità quando sia stata condotta secondo le regole di ermeneutica fissate dagli artt. 1362 ss. c.c. e sia congruamente motivata (Cass. n. 8713/2004, fra le numerose conformi);

– che egualmente non può trovare accoglimento il secondo motivo;

– che la Corte di appello ha accertato come sia nella comunicazione del 3 luglio 2017, sia nell’Accordo del 2 novembre 2016 (e neppure in altri accordi raggiunti nel corso della procedura), fossero state “mai indicate le ragioni per cui l’ambito entro il quale scegliere i lavoratori da licenziare” dovesse essere “limitato alle sole unità dell’area fiorentina” (cfr. sentenza, p. 3), non rilevando, al fine di colmare tali (essenziali) carenze, le allegazioni contenute nella successiva memoria di costituzione e difesa in giudizio (cfr. p. 4);

– che le conclusioni, cui la medesima Corte è pervenuta sulla base di tale accertamento (che – si ribadisce – resta incensurato, per la inammissibilità del primo motivo), risultano pienamente in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte

e ancora di recente affermato che “In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, le esigenze di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, riferite al complesso aziendale, possono costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purché il datore indichi nella comunicazione L. n. 223 citata, ex art. 4, comma 3, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti” (Cass. n. 22178/2018; conforme, fra le molte n. 4678/2015);

– che rimane esente da censura anche la lettura che la Corte di appello di Firenze ha dato del documento sottoscritto dalle parti il 19 settembre 2017, là dove ha rilevato come in esso non comparisse alcuna formula che potesse avere il significato di una sanatoria dei vizi della comunicazione di avvio (e come una tale formula non comparisse neppure nell’Accordo sindacale 2 novembre 2016, né in altri: cfr. sentenza, p. 4);

– che, d’altra parte, è chiaro che la sanatoria, di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 12, non può dirsi integrata mediante l’apposìzione di una mera clausola di stile (quale: “Le parti con la firma del presente verbale si danno comunque atto di avere esperito la procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24”), richiedendosi, anche per la evidente rilevanza degli interessi in gioco, l’adozione di espressioni che diano conto della reale consapevolezza dei vizi della comunicazione e della inequivoca volontà di attuarne il superamento;

– che il terzo motivo è infondato;

– che, risolvendosi il vizio nella violazione dei criteri di selezione dei licenziandi, per la del tutto ingiustificata esclusione dalla comparazione di lavoratori adibiti ad analoghe attività e in possesso di professionalità omogenea, è da ritenersi corretta l’applicazione della tutela L. n. 223 del 1991, ex art. 18, comma 4, come già precisato da Cass. n. 2587/2018 (conforme Cass. n. 19010/2018);

– che il quarto motivo è inammissibile, per difetto del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), non essendo riportate le allegazioni specifiche in tema di aliunde perceptum, di cui la Corte ha riscontrato l’assenza, né trascritte le istanze istruttorie dalla stessa considerate “del tutto generiche ed esplorative”; neppure risultando che l’esercizio di poteri officiosi abbia, e in quali termini, formato oggetto di apposita e argomentata sollecitazione;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

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