Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34412 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/11/2021, (ud. 26/10/2021, dep. 15/11/2021), n.34412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19646-2019 proposto da:

I.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato NICOLA BULTRINI, e rappresentata

e difesa dall’avvocato EUGENIO ROMANELLI GRIMALDI giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE SOCIETA’ COOPERATIVA, BANCA DI CREDITO POPOLARE SCPA,

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.A.S. DI F.G. E DEL SOCIO

F.G., F.M., F.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3216/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/10/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

I.L. proponeva appello innanzi alla Corte d’Appello di Napoli nei confronti della sentenza del Tribunale di Napoli n. 10887/2014, con la quale, disattesa la domanda di simulazione, era stata accolta la subordinata domanda revocatoria proposta dalla Banca Popolare di Novara, ora Banca Popolare s.coop., ed avente ad oggetto l’atto di compravendita per notar Carrabba del 29/11/2004 che vedeva l’appellante quale acquirente di un immobile dai signori F..

La Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 3216 del 28/6/2018 ha dichiarato l’improcedibilità dell’appello attesa la nullità non sanata della costituzione in giudizio dell’appellante.

In motivazione, si evidenziava che all’atto della costituzione in appello, avvenuta con modalità cartacee ad opera della I., era stata depositata una cd. velina dell’atto di appello priva di qualsiasi indicazione circa la notificazione dell’atto alle controparti.

Alla prima udienza del 29 gennaio 2016, rigettata la richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata, la Corte d’Appello rinviò il processo per le conclusioni, dichiarando la contumacia delle parti appellate (con la sola eccezione della Banca di Credito Popolare che nelle more si era costituita in cancelleria).

Quindi dopo vari rinvii, la causa venne introitata in decisione.

Ad avviso della Corte distrettuale risultava che l’appellante non aveva mai ritualmente depositata, né nel fascicolo cartaceo né in quello telematico, la citazione introduttiva del giudizio di appello completa della prova delle relative notifiche, citazione che, in quanto non depositata all’atto della costituzione cartacea, avrebbe dovuto essere necessariamente depositata con modalità telematiche.

Non poteva quindi prendersi in considerazione l’originale cartaceo dell’atto pur rinvenuto nel fascicolo cartaceo, in quanto non risultava validamente prodotto secondo le modalità prescritte dall’art. 74 disp. att. c.p.c. ovvero allegato in occasione della celebrazione di un’udienza. E’ pur vero che nel fascicolo dell’appellata costituita si rinveniva una copia cartacea di tale atto, ma tale copia non poteva essere presa in esame ai fini della decisione, in quanto trattavasi di documento parimenti non prodotto ai sensi della norma di attuazione citata, non essendo a tal fine sufficiente la circostanza che nella comparsa di risposta si facesse riferimento al deposito di tale atto, in mancanza della sottoscrizione del cancellerie sull’indice degli atti e dei documenti prodotti, cui non può fungere da equipollente la sottoscrizione apposta dal cancelliere all’atto di citazione ovvero alla comparsa di risposta.

Risultava quindi applicabile il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 16598/2016, in quanto la nullità derivante dalla costituzione dell’appellante con velina non era stata sanata entro l’udienza di comparizione di cui all’art. 350 c.p.c., comma 2, e dovendosi escludere che la mancata contestazione da parte dell’appellata della conformità della copia informale prodotta all’originale sanasse la nullità, in quanto l’assenza di dimostrazione della data della notifica non consentiva di verificare il rispetto del termine di cui all’art. 347 c.p.c..

Priva di rilievo era la circostanza che la Corte nella prima udienza non avesse segnalato la questione alle parti e ciò in ragione del principio espresso dal giudice di legittimità per il quale l’obbligo di attivare il contraddittorio ex art. 101 c.p.c. sulle questioni rilevate d’ufficio non si estende alle questioni di carattere esclusivamente processuale come appunto quella della verifica della procedibilità dell’appello, come peraltro ribadito proprio dalle Sezioni Unite nella sentenza indicata in relazione alla verifica della regolare costituzione dell’appellante.

Il riscontro della contumacia della I. imponeva, poi, di dichiarare la nullità della precedente ordinanza con la quale era stata rigettata la richiesta di inibitoria dell’efficacia della sentenza impugnata con la condanna della medesima appellante al pagamento di una somma a titolo di sanzione pecuniaria.

Avverso tale sentenza propone ricorso I.L. sulla base di un motivo.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

Preliminarmente si rileva la mancata prova del perfezionamento della notifica del ricorso nei confronti della Banca popolare (mancando in atti la cartolina di ricezione della notifica), del fallimento di (OMISSIS)s s.a.s (in quanto all’indirizzo cui è stata tentata, non risultava più risiedere il curatore) e la nullità della notifica nei confronti di F.M. e F.S., per essere stata effettuata presso il difensore in primo grado delle intimate, benché non costituite in appello ed essendo decorso oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza di primo grado).

Senonché, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti del l’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da sostanziali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129).

In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo) prima facie infondato, appare superflua la fissazione di un termine per la rinnovazione della notifica, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.

Il motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 347,348 e 165 c.p.c..

Sostiene la ricorrente che, essendo il controllo della procedibilità dell’appello necessario nella prima udienza, la constatazione da parte del Collegio in tale occasione della conformità della velina all’originale implica la sanatoria della nullità.

Peraltro, ove fosse stata riscontrata una nullità della costituzione in appello, in quanto avvenuta con velina, la Corte distrettuale avrebbe dovuto assegnare un termine all’appellante per porre rimedio alle irregolarità riscontrate.

Il motivo è infondato.

Reputa la Corte che la sentenza gravata abbia fatto corretta applicazione dei principi dettati dalla pronuncia a sezioni unite di questa Corte n. 16598/2016, la cui massima ufficiale recita che “La tempestiva costituzione dell’appellante con la copia dell’atto di citazione (cd. velina) in luogo dell’originale non determina l’improcedibilità del gravame ai sensi dell’art. 348 c.p.c., comma 1, ma integra una nullità per inosservanza delle forme indicate dall’art. 165 c.p.c., sanabile, anche su rilievo del giudice, entro l’udienza di comparizione di cui all’art. 350 c.p.c., comma 2, mediante deposito dell’originale da parte dell’appellante, ovvero a seguito di costituzione dell’appellato che non contesti la conformità della copia all’originale (e sempreché dagli atti risulti il momento della notifica ai fini del rispetto del termine ex art. 347 c.p.c.), salva la possibilità per l’appellante di chiedere la remissione in termini ex art. 153 c.p.c. (o art. 184 bis c.p.c., “ratione temporis” applicabile) per la regolarizzazione della costituzione nulla, dovendosi ritenere, in mancanza, consolidato il vizio ed improcedibile l’appello”.

Il giudice di appello ha puntualmente ricostruito le vicende processuali svoltesi dinanzi a sé, ricostruzione che non risulta nella sostanza contestata dalla difesa della ricorrente, che appunto non nega che la sua costituzione (cartacea) sia avvenuta proprio con velina né la circostanza che nel fascicolo di parte cartaceo ed in quello telematico non risulti ritualmente prodotto l’originale dell’atto di citazione in appello.

La sentenza ha per l’appunto sottolineato come del deposito di tale originale, sebbene materialmente rinvenuto nella produzione dell’appellante, non emergesse traccia formale dal fascicolo telematico, e ciò anche alla luce del disposto di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9 ter, convertito con modifiche nella L. n. 212 del 2012, per effetto della novella di cui al D.L. n. 90 del 2014, art. 44 comma 2 lett. c), a mente del quale, a far data dal 30 giugno 2015, anche in appello, il deposito degli atti non depositati al momento della costituzione (con modalità tradizionali) dovesse avvenire necessariamente con modalità telematica.

Del pari il giudizio di irritualità della produzione era sorretto dal riscontro della assenza di una corretta affoliazione del documento ai sensi dell’art. 74 disp. att. c.p.c., u.c., né risultava che la sua produzione fosse avvenuta in udienza, in assenza di un’indicazione in tal senso ricavabile dalla lettura dei vari verbali di udienza.

Una volta escluso quindi che fosse stato prodotto l’originale, e dovendosi quindi ritenere che la costituzione fosse avvenuta solo con velina (peraltro del tutto priva delle indicazioni in merito alla notifica), la sentenza ha altresì sottolineato che a nulla poteva rilevare l’avvenuta costituzione della Banca di Credito Popolare.

Infatti, la copia cartacea dell’atto di appello, seppur materialmente presente nel fascicolo dell’appellata, non poteva essere presa in considerazione ai fini della decisione, mancando anche in tal caso una valida produzione ai sensi dell’art. 74 disp. att. c.p.c., le cui prescrizioni non potevano ritenersi validamente assolte mediante la sottoscrizione del cancelliere apposta, non già in calce all’indice del fascicolo di parte, ma sulla copia, nella fattispecie, della comparsa di risposta (cfr. Cass. n. 27536/2013) che faceva riferimento alla copia anche dell’atto di appello.

La sentenza ha poi ricordato che a nulla rilevava nel caso in esame la mancata contestazione da parte dell’appellata della conformità della velina all’originale, in quanto, essendo la velina prodotta priva di qualsiasi prova circa la notifica dell’atto alle parti appellate, elemento questo che come evidenziato nella massima sopra riportata, impedisce la verifica officiosa del rispetto del termine di cui all’art. 347 c.p.c., si imponeva la declaratoria di improcedibilità.

Il motivo di ricorso non risulta idoneo ad inficiare la correttezza delle conclusioni del giudice di merito, in quanto senza contestare, come detto, la ricostruzione dei fatti processuali, propone la tesi secondo cui il rinvio da parte del collegio all’udienza di precisazione delle conclusioni implicherebbe una verifica circa la conformità della velina all’originale, della quale non vi è formale esplicitazione nel provvedimento adottato all’esito dell’udienza del 29 gennaio 2016, attesa anche l’assenza di un originale rispetto al quale effettuare il raffronto, stante quanto sopra esposto in merito all’irritualità della produzione della citazione d’appello.

Assume poi come pacifica la circostanza che sarebbe stato prodotto l’originale in udienza, e cioè un fatto processuale la cui ricorrenza è stata chiaramente esclusa dalla sentenza impugnata che ha evidenziato il mancato rispetto delle formalità procedurali per il deposito di atti successivamente alla costituzione dell’appellante e l’assenza di ogni riferimento alla produzione nei verbali di udienza; inoltre parte ricorrente assume, senza però fornirsi di peritare alcuna dimostrazione del proprio assunto, che la produzione sarebbe avvenuta in udienza e che ciò sarebbe sfuggito alla verbalizzazione da parte del cancelliere, non potendo però tale illazione superare il dato emergente dagli atti processuali.

Infine, il motivo si fonda essenzialmente sul dovere del giudice di appello, una volta riscontrata la mancanza dell’originale della citazione in appello, di sollecitare l’appellante alla regolarizzazione della sua costituzione, dovere che però le stesse Sezioni Unite hanno negato sussistere, come evidenziato dal paragrafo p.6.2 della sentenza richiamata, trattandosi al più di una facoltà, il cui mancato esercizio, oltre a non impedire il successivo rilievo dell’improcedibilità, non è nemmeno suscettibile di fondare una censura della parte il cui appello sia stato dichiarato improcedibile.

Ne’ infine può indurre a conclusioni diverse la circostanza che all’esito della prima udienza di cui all’art. 350 c.p.c. la Corte avesse con ordinanza negato l’inibitoria dichiarando le parti appellate contumaci, pur in assenza, come poi rilevato, della prova della notifica dell’appello, trattandosi di provvedimento dichiarato nullo in sentenza quanto alla pronuncia sull’inibitoria, e comunque revocabile in merito alla declaratoria di contumacia (cfr. sul punto Cass. n. 3895/1985, secondo cui ove una parte sia stata dichiarata per errore contumace, non sussiste alcun vizio della sentenza, attesa anche la possibilità di formale revoca della dichiarazione di contumacia).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Nulla a disporre quanto alle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

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