Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34408 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/11/2021, (ud. 26/10/2021, dep. 15/11/2021), n.34408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19646-2019 proposto da:

P.M., AMTER SPA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA UGO

BALZANI 6, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA MICALI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO MORINI

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

CITTA’ METROPOLITANA DI GENOVA, rappresentata e difesa dall’avvocato

CARLO SCAGLIA giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1974/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 24/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/10/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

P.M. e la Am.Ter S.p.A. proponevano opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 48/A del 28/9/2011 con la quale la Provincia di Genova aveva accertato che un campione prelevato dallo scarico del depuratore di acque reflue urbane di (OMISSIS) nel Comune di (OMISSIS), aveva per i parametri BOD e COD valori superiori al 100% rispetto ai limiti del D.Lgs. n. 152 del 2006, Tabella 1, parte III, all. 5, avendo quindi ingiunto il pagamento della somma di Euro 6.010,00.

Il Tribunale di Genova con la sentenza n. 2610/2016 ha rigettato l’opposizione.

La Corte d’Appello di Genova con la sentenza n. 1974 del 24/12/2018 ha rigettato l’appello proposto dagli opponenti, condannando gli stessi al rimborso delle spese del doppio grado. Quanto all’eccezione di carenza assoluta di potere sanzionatorio, la Corte di merito rilevava che la Regione Liguria nella vigenza del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, aveva stabilito con la L.R. n. 43 del 1995, art. 42, che le sanzioni amministrative in materia di scarichi fossero comminate dalla Provincia in quanto autorità competente al rilascio dell’autorizzazione.

Con la successiva L.R. n. 41 del 2014, la Regione con una norma di interpretazione autentica (art. 22) aveva affermato che quanto previsto con la L.R. n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), era da intendersi riferito anche alle sanzioni pecuniarie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, così che doveva reputarsi che la Regione avesse inteso delegare alle Province il potere sanzionatorio in materia anche dopo la riforma del TU ambiente.

A tal fine, sebbene la materia dell’ambiente fosse riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, doveva reputarsi che il potere di delega trovasse il suo fondamento nelle previsioni di cui alla L. n. 689 del 1981, essendo quindi giustificata la scelta regionale di attribuire il potere sanzionatorio allo stesso ente (nella specie la Provincia) cui erano affidate anche le funzioni di amministrazione sostanziale.

Non è quindi esclusa la possibilità di delegare la potestà sanzionatoria, come peraltro risultava da una presa d’atto contenuta nella sentenza delle Sezioni Unite n. 6059/2015.

Per l’effetto l’appello principale svolto sul punto era fondato, così come gli altri motivi di appello.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso P.M. e la AM.TER. S.p.A, sulla base di quattro motivi.

La Città Metropolitana di Genova ha resistito con controricorso.

Con il primo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, che ha abrogato la disciplina prevista dal D.Lgs n. 152 del 1999, art. 56, e si contesta la carenza di potere sanzionatorio in capo all’Ente Provincia. In materia di illeciti ambientali, infatti, la nuova norma avrebbe sancito la titolarità esclusiva del predetto potere in capo alle regioni e alle province autonome, senza possibilità di delega.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. n. 23383/2018; Cass. n. 27909/2018; Cass. n. 28108/2018) che nella specie non è configurabile il vizio di incompetenza assoluta dell’amministrazione, che darebbe luogo all’inesistenza del provvedimento sanzionatorio rilevabile anche d’ufficio, posto che tale vizio, secondo la giurisprudenza consolidata, “ricorre soltanto se l’atto emesso concerne una materia del tutto estranea alla sfera degli interessi pubblici attribuiti alla cura dell’amministrazione cui l’organo emittente appartiene”, mentre si ha incompetenza relativa nel rapporto tra organi od enti nelle cui attribuzioni rientra, sia pure a fini ed in casi diversi, una determinata materia (così, testualmente, Cass. 19/07/2012, n. 12555 che richiama il consolidato indirizzo, a partire da Cass. Sez. U 28/08/1990, n. 8987), là dove l’autorità che ha emesso il provvedimento sanzionatorio la Provincia di Genova – era all’epoca – l’Ente competente a rilasciare le autorizzazioni in materia di scarichi idrici, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006. Rimane perciò esclusa in radice la configurabilità dell’incompetenza assoluta rilevabile d’ufficio.

Tale rilievo aveva permesso nei precedenti richiamati di ritenere irrilevante anche la verifica circa la ricorrenza di un’incompetenza relativa, atteso che nelle vicende oggetto di tali statuizioni il vizio relativo all’appartenenza in capo all’opposta della potestà sanzionatoria non era stato posto con gli originari motivi di opposizione.

Nel caso in esame, ancorché il vizio non rientrasse tra quelli dedotti ab origine a sostegno dell’opposizione, va però osservato che la Corte d’Appello ha ritenuto che non ne fosse precluso l’esame, così che, in assenza di un motivo di ricorso incidentale che contesti l’esame di un motivo non proposto inizialmente, la questione deve ritenersi effettivamente e devoluta all’esame dell’autorità giudiziaria.

Ritiene tuttavia il Collegio che debba essere condivisa la valutazione del giudice di appello che ha riscontrato l’effettiva potestà sanzionatoria in capo alla Provincia per effetto di una valida delega da parte della Regione, non potendo avere seguito le tesi difensive dei ricorrenti.

Gli opponenti hanno anche in questa sede riproposto la tesi che contesta la competenza della Provincia ad emettere l’ordinanza-ingiunzione opposta sul rilievo che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, comma 1, nel sostituire il D.Lgs. n. 152 del 1999, previgente art. 56, in materia di competenza regionale all’irrogazione delle sanzioni amministrative per le contravvenzioni a tutela delle acque dall’inquinamento, con la soppressione dell’inciso “salvo diversa disposizione delle regioni o delle province autonome” (contenuto nel D.Lgs. n. 152 del 1999, previgente art. 56, e non ripetuto nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, che contemplava, con una clausola di salvezza, il potere delle Regioni di disciplinare, con criterio derogatorio, la competenza ad applicare le sanzioni amministrative in materia, delegandola alle Province), avrebbe inteso escludere il potere delle Regioni di dettare norme in deroga ai criteri di attribuzione della potestà sanzionatoria, attraverso la delega – attualmente, pertanto, non più possibile – ad enti diversi del potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie di competenza regionale.

Si sostiene che a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, cit. art. 135, l’unica autorità amministrativa investita del potere di sanzionare le violazioni in materia di tutela delle acque dall’inquinamento è la Regione e che tutte le previsioni normative precedentemente adottate dalle Regioni, con le quali sono state delegate ad enti diversi i poteri regionali di irrogazioni di sanzioni, devono intendersi tacitamente abrogate, in quanto incompatibili con la successiva disposizione di legge statale.

Ne discende che i provvedimenti sanzionatori emessi dalle amministrazioni provinciali in epoca posteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006 sono inficiati da un vizio di incompetenza assoluta (carenza di potere in astratto), causa di nullità del provvedimento stesso.

La sentenza gravata sostiene in contrario che il D.Lgs. n. 152 del 2006 – costituente un testo unificato, recante il mero riordino e coordinamento delle pregresse disposizioni disciplinanti la materia, prevedendo le medesime fattispecie sanzionatorie già disciplinate nel D.Lgs. n. 152 del 1999, previgente art. 56 – non ha implicitamente abrogato la L.R. Liguria n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), che, in attuazione del previgente D.Lgs. n. 152 del 1999, ha attribuito alle province la competenza ad irrogare le sanzioni di cui al cit. D.Lgs., art. 56, trovando conferma anche nella successiva legge di interpretazione autentica (L.R. n. 41 del 2014).

Rileva la Corte che debba in premessa evidenziarsi che, come precisato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 380 del 14/11/2007) il testo novellato dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s) – che attribuisce allo stato la competenza legislativa esclusiva sulla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali” – configura una competenza statale sovente connessa ed intrecciata inestricabilmente con altri interessi e competenze regionali concorrenti; la tutela dell’ambiente – inteso come valore costituzionalmente protetto – delinea, infatti, una sorta di competenza trasversale in ordine alla quale si manifestano competenze diverse anche regionali che si muovono nel quadro degli standard di tutela uniformi stabiliti sull’intero territorio nazionale da parte dello Stato; non c’e’ violazione dell’art. 117 Cost., comma 2 lett. s – e, implicitamente – neppure dell’art. 118, commi 1 e 2, allorquando la regione delega alle province il relativo potere autorizzatorio, in quanto la stessa delega non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed anzi è coerente con il principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, posto dall’art. 118 Cost. e dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 3, secondo il quale “ciascuna regione” determina, in conformità al proprio ordinamento, le funzioni amministrative che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire le altre agli enti locali”.

Inoltre, non può ritenersi di per sé risolutivo il differente tenore normativo del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, rispetto a quanto invece dettato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, in relazione all’omessa riproduzione in quest’ultimo della salvezza delle attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità, avendo la stessa Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 33/2016) dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della L.R. Veneto n. 11 del 2012, attributiva alle Province del potere di irrogare sanzioni amministrative in materia ambientale, essendo necessario procedere ad una ricostruzione del quadro normativo di riferimento, non potendo il giudizio di legittimità costituzionale risolversi in un mero confronto binario, dato che la legge statale (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, comma 1), modificando il regime previgente, non prevede più esplicitamente, come invece disponeva il D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 56 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della Dir. 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della Dir. 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), il potere delle Regioni e delle Province autonome, soggetti titolari della potestà di irrogare le sanzioni amministrative pecuniarie, di delegarne l’esercizio alle Province ordinarie.

Ritiene il Collegio che invece proprio la disamina del quadro normativo e dei principi generali deponga per la correttezza della soluzione del giudice di appello (in termini si veda anche Cass. n. 8364/2020).

Innanzitutto, va sottolineato lo stesso tenore testuale dell’art. 135, comma 1 (“In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione della sanzioni amministrative pecuniarie, provvede, con ordinanza ingiunzione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 680, artt. 18 e ss., la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”) nella parte in cui, pur non ripetendo l’inciso del D.Lgs. n. 152 del 1999, previgente art. 56, contiene la clausola di salvezza “fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”.

Tale clausola di salvaguardia conserva la distribuzione delle attribuzioni amministrative sanzionatorie a diversi livelli ed impedisce di ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre un principio inderogabile di competenza regionale di applicazione delle sanzioni amministrative in materia di inquinamento idrico. Ancora, va apprezzata la disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 170, in base al quale “Fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del presente decreto, restano validi ed efficaci i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’art. 175”.

Il riferimento specifico e congiunto ad “atti e provvedimenti” induce a ritenere che il legislatore allo scopo di evitare vuoti normativi in una materia così importante e di rilevanza costituzionale, ha inteso fare “salvi” sia i provvedimenti amministrativi che gli atti normativi adottati in base alla previgente disciplina abrogata e, dunque, anche le leggi regionali emanate in applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, e ciò induce ad affermare che non possa sostenersi la tacita abrogazione della L.R. Liguria n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. B), dimostrando la volontà legislativa di non considerare ex se le disposizioni emanate in contrasto antinomia con norme precedenti e quindi automaticamente abrogative delle stesse.

Inoltre, la tesi dei ricorrenti secondo cui vi sarebbe la scelta del legislatore di sottrarre alle regioni la potestà normativa ed organizzativa in materia di tutela delle acque dall’inquinamento prevedendo un implicito divieto di delega ad altri enti territoriali delle funzioni amministrative attribuitegli, appare in contrasto con l’intero impianto sistematico del D.Lgs. n. 152 del 2006 ed in particolare con le norme dello stesso decreto che attribuiscono alle regioni e ad altri enti locali ampi poteri normativi ed amministrativi in materia (art. 101 – Criteri generali della disciplina degli scarichi – secondo cui “Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori limite di emissione, diversi da quelli di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, sia concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini. Le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli fissati nell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto”; art. 124, commi 3 e 7 per cui “Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, è definito dalle regioni nell’ambito di cui all’art. 101, commi 1 e 2” e “salvo diversa disciplina regionale la domanda di autorizzazione” è presentata alla provincia ovvero all’Autorità d’ambito se lo scarico è in pubblica fognatura, norma questa che prevede la possibilità della regione di organizzare il sistema delle autorizzazioni e dei controlli).

Una volta esclusa, alla luce dell’impianto normativo previsto dal cit. D.Lgs. n. 152 del 2006, la correttezza della tesi della tacita abrogazione delle eventuali leggi regionali preesistenti che abbiano contemplato una delega alle Province del potere sanzionatorio in tale materia, dovendosi ritenere implausibile che con la semplice soppressione dell’inciso contenuto nell’art. 56, il legislatore statale abbia inteso privare le Regioni stesse del potere di conferire ad altri enti la funzione di accertare e comminare sanzioni per il mancato rispetto della normativa medesima, occorre, poi, considerare che la Regione Liguria, dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, è intervenuta nella materia della delega della funzione sanzionatoria degli illeciti amministrativi previsti dalla normativa statale con L n. 41 del 2014, che con una disposizione avente carattere di interpretazione autentica ha confermato l’operatività della previsione di cui alla L.R. n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b) e successive modifiche anche alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, disposizione che era in vigore al momento dell’emanazione dell’ordinanza – ingiunzione opposta, e che per il suo carattere interpretativo non viola il principio di legalità posto dalla L. n. 689 del 1981, art. 1, in quanto intervenuta solo per confermare la delega di funzioni di irrogazione delle sanzioni amministrative alle Province. Ne’ rileva la successiva abrogazione della L.R. n. 21 del 2014, art. 22, per effetto della L.R. Liguria n. 12 del 2017, art. 27 comma 1, lett. f) (operante a far data dal 7 giugno 2017, medesima legge, ex art. 29, comma 1), atteso che trattasi di abrogazione successiva e non influente quindi sulla vicenda oggetto di causa.

Correttamente i giudici di appello hanno attribuito rilevanza a tale ultima disposizione legislativa regionale che legittima l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione da parte della Provincia, non potendo certo essere disapplicata e non presentando profili di illegittimità costituzionale che ne impongano la remissione al vaglio della Corte Costituzionale.

Ed, infatti, proprio alla luce della ricordata competenza trasversale in materia di ambiente, deve reputarsi che, se la potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, dettando standards uniformi di tutela, è stata affidata in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), tuttavia, ciò non esclude il concorrente potere normativo della regione e delle province autonome su specifici interessi giuridicamente tutelati, così che la disciplina unitaria del bene ambiente rimessa in via esclusiva allo Stato, si pone come limite alla disciplina regionale e delle province autonome nelle materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato. Il limite dell’intervento legislativo regionale è costituito dal rispetto dei principi regolatori stabiliti dal legislatore statale in tema di soglie minime di tutela dell’ambiente (cfr. Corte Cost. n. 246/2006; Corte Cost. n. 378/2007; Corte Cost. n. 244/2012), soglie minime che non possono ritenersi attinte per la sola attribuzione del potere sanzionatorio in via di delega alle Province, avendo questa Corte affermato (Cass. n. 8511/2005), sebbene in relazione alla previgente disciplina di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56 (nella formulazione anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 258 del 2000, art. 22, che hanno espressamente contemplato la salvezza di una diversa disposizione delle regioni o delle province autonome), ma con affermazioni di principi ancora validi, che la norma, nel prevedere la competenza delle Regioni per l’irrogazione delle sanzioni amministrative, non esprime un principio fondamentale della legislazione dello Stato tale da spiegare l’efficacia direttamente abrogativa nei confronti delle leggi regionali preesistenti con esse incompatibili atteso che “una simile disposizione, individuando tali autorità nella “regione” o nella “provincia autonoma” ed espressamente facendo salve le competenze del “comune” per le sanzioni previste dall’art. 54, commi ottavo e nono, nonché “le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”, non appare diretta a realizzare nel settore un interesse “unitario” che richieda attuazione su tutto il territorio nazionale, così da produrre effetti di vincolo assoluto e generalizzato all’esplicazione della potestà legislativa delle regioni (conf. Cass. 24 febbraio 2004, n. 3620). Non sarebbe, infatti, comprensibile, perché il legislatore statale, ispiratosi ad evidenti criteri di promovimento delle autonomie locali e del decentramento amministrativo, abbia voluto impedire che, nelle singole legislazioni regionali, intervenissero “altre pubbliche autorità”, di competenza territoriale più circoscritta, diverse da quelle previste e regolate nell’ordinamento generale” ai fini dell’esercizio delegato della potestà sanzionatoria.

Il motivo deve quindi essere rigettato (conf. ex multis, Cass. n. 1739/2020).

Con il secondo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, rilevandosi che la Corte d’Appello non ha correttamente valutato la contestazione mossa in prime cure, con la quale si evidenziava che in caso di accertamento di un illecito amministrativo da parte di una società, la contestazione deve essere notificata al legale rappresentante della società stessa, qualità che il Poiesi, non rivestiva più alla data di notifica dell’ordinanza.

La notifica avvenuta nei confronti di soggetto estraneo alla vicenda comporta la nullità dell’ordinanza ingiunzione impugnata. Il motivo è infondato.

Quanto alla deduzione secondo cui la mancata notifica dell’ordinanza al trasgressore, da identificarsi nel legale rappresentante della società, e non già nell’altro opponente, implicherebbe l’estinzione anche dell’obbligazione gravante sulla società, quale responsabile in solido, la stessa risulta chiaramente contraddetta dalla giurisprudenza di questa Corte che nella sua più autorevole composizione ha affermato che (Cass. S.U. n. 22082/2017) la solidarietà prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 6, non si limita ad assolvere una funzione di garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione, sicché l’obbligazione del corresponsabile solidale è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale e, pertanto, non viene meno nell’ipotesi in cui quest’ultima, ai sensi della detta L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., si estingua per mancata tempestiva notificazione (conf. Cass. n. 11774/2019).

E’ altresì infondata la tesi secondo cui la notifica effettuata al Poiesi quale diretto responsabile dell’illecito sarebbe invalida, atteso che si fonda sull’erroneo presupposto che il trasgressore debba necessariamente essere identificato nel legale rappresentante della persona giuridica, cui sia giuridicamente imputabile l’attività dell’autore dell’illecito.

In realtà, la norma di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14, prevede che la notifica della contestazione debba essere effettuata nei confronti del trasgressore, e cioè di colui che risulti essere l’autore materiale dell’illecito, il che non impone necessariamente una sua identificazione con la persona del legale rappresentante.

In tal senso si veda Cass. n. 15104/2010 che, proprio partendo dal presupposto che il trasgressore non debba necessariamente coincidere con il legale rappresentante della persona giuridica obbligata solidalmente, ha chiarito come la notifica effettuata al primo non equivalga alla notificazione al secondo e ben diverso soggetto giuridico, ancorché esso abbia incaricato il primo dell’attività oggetto della violazione (in senso conforme si veda anche Cass. n. 4172/1994, che ha affermato che in tema di sanzioni amministrative, nel caso in cui la contestazione della violazione – che la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, impone sia fatta distintamente al trasgressore ed alla persona obbligata solidale – abbia come destinataria una sola persona fisica, che venga considerata nella duplice qualità di trasgressore e di rappresentante del soggetto giuridico obbligato in solido (nei casi previsti dalla stessa legge, art. 6), non occorre la consegna di un doppio esemplare del verbale di accertamento, potendo essere considerata sufficiente la consegna di un solo esemplare, che è idoneo a far conoscere al consegnatario la violazione contestata, ma nell’implicito presupposto che tale qualità non sia necessariamente coincidente).

Posta tale specificazione, si rileva altresì che, come correttamente evidenziato dalla sentenza gravata, posto che (cfr. Cass. n. 3176/2006) l’infrazione amministrativa prevista dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 2, che punisce “chiunque apre o comunque effettua scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie… senza l’autorizzazione”, (alla quale può perfettamente assimilarsi quella di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2, che è stata contestata nella fattispecie) non costituisce un illecito “proprio”, atteso che essa non presuppone una particolare qualità del soggetto attivo, che può identificarsi non solo nel titolare dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto, che apra nuove vie di scarico, ma anche in qualsiasi soggetto che gestisca o comunque detenga di fatto la condotta di scarico non autorizzata.

Ne deriva che, proprio alla luce della circostanza che all’epoca dei fatti il ricorrente era il legale rappresentante ed amministratore delegato della società, deve ritenersi frutto di un non sindacabile accertamento in fatto, l’individuazione nel medesimo del soggetto trasgressore, in quanto in concreto deputato alla gestione dell’impianto (cfr. Cass. n. 1742/2020; Cass. n. 1740/2020).

Con il terzo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, e si ripropone la questione della tardività della contestazione. I ricorrenti evidenziano che il campionamento effettuato presso l’impianto risaliva all’11/5/2006, mentre il verbale di accertamento era stato notificato solo il 13 novembre 2006, ben oltre il termine di 90 giorni previsto dal richiamato art. 14.

La doglianza è inammissibile occorrendo a tal fine richiamare l’analoga soluzione alla quale è pervenuta questa Corte nell’ordinanza n. 28108/2018 (conf. Cass. n. 1739/2020).

Ed, infatti sulla premessa corretta che il termine perentorio previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, decorre dall’accertamento della violazione, e cioè dal momento di completamento di tutte le indagini ritenute necessarie all’acquisizione della piena conoscenza dei fatti e della determinazione della sanzione da parte dell’autorità procedente (ex plurimis, Cass. 16/04/2018, n. 9254; Cass. 02/12/2011, n. 25836; a partire da Cass. Sez. U 09/03/2007, n. 5395), la Corte d’appello ha osservato che occorreva avere riguardo alla diversa data in cui il referto dei campionamenti era pervenuto alla Provincia di Genova, ritenendo implicitamente che il tempo impiegato dal predetto Ente per il completamento del procedimento, risultava congruo, attesa l’esigenza di analizzare i dati, calcolare le percentuali di abbattimento dei valori rilevati in entrata ed in uscita e di porli tra loro in relazione per accertare il numero dei superamenti.

Con il quarto motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione delle previsioni contenute nel D.Lgs. n. 152 del 2006, tabella 2, parte 3, allegato 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

I ricorrenti assumono che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, la non conformità dei campioni di acqua ai parametri tabellari richiederebbe l’eccedenza da tutti gli indici (BOD, COD e SST), sia come limiti in concentrazione sia come limiti in percentuale, e poiché nel caso di specie il campione non eccedeva i tre indici indicati, la violazione non poteva dirsi integrata. Inoltre la Corte d’appello era incorsa in errore non rilevando l’indeterminatezza del verbale di accertamento, che non specificava il numero di campionamenti effettuati nell’anno 2006, rendendo impossibile stabilire il numero di campionamenti non conformi tollerati.

La doglianza è in parte inammissibile e in parte infondata.

La questione così prospettata è ipotetica giacché assume a presupposto un dato astratto – la possibilità che vi fossero campionamenti ulteriori – in assenza di riscontri ed in aperto contrasto con la presunzione di legittimità dell’atto amministrativo. Se il verbale di accertamento contiene l’indicazione del numero totale di campionamenti effettuati nell’anno solare (che è necessaria quando la non conformità rientra nella soglia di tollerabilità), la parte interessata può contestare la veridicità del verbale, allegando e provando l’esistenza di ulteriori campionamenti (conf. Cass. n. 28108/2018).

Risulta infondata la tesi secondo cui, ai fini della sussistenza della violazione, sarebbe necessario il superamento contestuale di tutti i parametri indicati. La Corte d’appello ha rilevato correttamente che non esiste una norma che espressamente escluda la violazione di legge se i campioni di acqua superino alcuni soltanto e non tutti i parametri tabellari (nella specie, BOD, COD e SST), laddove l’Allegato 1 al punto 4 prevede che i valori limite fissati dalla tabella 1 debbono essere rispettati singolarmente. L’interpretazione adottata dalla Corte territoriale risulta confermata dalla specifica previsione, contenuta nell’Allegato 5, in forza della quale la non conformità di ciascuno dei parametri in oggetto oltre determinate percentuali impedisce di considerare lo scarico in regola, a prescindere dal rapporto tra il numero dei campionamenti effettuati nell’anno solare e il numero dei campioni risultati non conformi. Anche in base all’interpretazione sistematica, non sembra dubitabile che i valori limite fissati dalla tabella 1 debbano essere rispettati singolarmente (conf. Cass. n. 28108/2018; Cass. n. 1739/2020).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 1 5 % sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

 

 

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