Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34407 del 23/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 23/12/2019), n.34407

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 191/15 R.G. proposto da:

S.S., rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro

Graziani, giusta procura in calce al ricorso, con domicilio eletto

presso il suo studio, in Roma, Piazza Buenos Aires, n. 14;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria del Lazio n.

397/38/13 depositata in data 10 ottobre 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre

2019 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

Fatto

RILEVATO

che:

S.S., promotore finanziario, impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, previa instaurazione del contraddittorio, aveva accertato, sulla base dei parametri di cui al D.P.C.M. 29 gennaio 1996, come modificato dal D.P.C.M. 27 marzo 1997, in relazione all’anno d’imposta 2002, un reddito di Euro 70.197,00 a fronte di quello dichiarato, pari ad Euro 20.512,00, con conseguente recupero a tassazione di maggiori imposte IRPEF e IRAP.

Deduceva la carenza di motivazione dell’atto impositivo, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), nonchè la circostanza che svolgeva l’attività di promotore quale agente monomandatario della società Banca S. Paolo Invest s.p.a., con la conseguenza che i compensi non potevano che essere quelli provenienti dal rapporto con la predetta società.

La Commissione tributaria provinciale adita accoglieva il ricorso, motivando che il contribuente aveva provato di avere un unico ed esclusivo rapporto con la S. Paolo Invest s.p.a.

Avverso la suddetta decisione interponeva appello l’Ufficio, il quale, al fine di smentire quanto affermato dai giudici di primo grado, produceva dichiarazione modello 770 presentata per l’anno 2002 dalla S. Paolo Invest dalla quale emergeva che la Banca aveva dichiarato che le provvigioni corrisposte al S. erano state erogate ad agente plurimandatario.

La Commissione regionale del Lazio, rilevando che l’Ufficio aveva pienamente adempiuto all’onere probatorio sullo stesso gravante, dimostrando non solo l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto, ma anche l’ulteriore circostanza emergente dal modello 770, riteneva legittimo l’accertamento.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione S.S., con tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di censura il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 111 Cost., commi 1 e 2, , nonchè della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 e art. 21-octies, comma 2, e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1.

Evidenzia che la circostanza risultante dalla dichiarazione di sostituto d’imposta della preponente Banca S. Paolo Invest s.p.a. è volta, da un lato, a comprovare l’esistenza di provvigioni ulteriori in virtù di distinti mandati e, dall’altro, ad apprestare un elemento indiziario aggiuntivo e concordante rispetto allo scostamento del reddito dichiarato rispetto ai valori parametrici, da solo non sufficiente a supportare l’accertamento analitico-induttivo.

Lamenta che della dichiarazione del sostituto d’imposta non si era fatta menzione nell’atto impositivo, nè nell’invito al contraddittorio, e che il richiamo a tale circostanza era stato formulato solo in sede di appello, al fine di integrare, tardivamente, le ragioni sottostanti l’avviso di accertamento impugnato e sopperendo ad una evidente carenza dello stesso avviso, in violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L.n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, che esigevano che la motivazione dell’atto amministrativo dovesse essere completa nel momento in cui lo stesso era stato formato; peraltro, anche qualora si fosse voluto aderire all’indirizzo della giurisprudenza amministrativa meno rigorosa che ammetteva la motivazione postuma di alcuni atti amministrativi, tra cui quelli tributari, era evidente che il diritto di difesa del contribuente risultava vulnerato.

La Commissione regionale, ad avviso del ricorrente, aveva erroneamente fondato la decisione su profili fattuali tardivamente immessi nel processo.

2. Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2.

Sostiene che nel giudizio di merito aveva fatto presente che l’Ufficio si era illegittimamente giovato dello strumento accertativo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sulla base del solo presunto scostamento delle risultanze emergenti dalla dichiarazione rispetto ai valori parametrici e che a tale censura l’Ufficio aveva replicato opponendo i medesimi argomenti già fatti valere con l’avviso di accertamento, ai quali era rimasto estraneo il profilo della qualificazione del contribuente quale promotore finanziario plurimandatario risultante dalla dichiarazione di sostituto d’imposta della società preponente, per cui la Commissione regionale avrebbe dovuto rilevare la tardività e conseguente inammissibilità dell’eccezione ed ometterne l’esame, dovendo la produzione di nuovi documenti in appello, consentita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, essere coordinata con il disposto del medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, che vieta di introdurre domande ed eccezioni nuove.

3. Il primo ed il secondo motivo che, essendo strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

3.1. Merita rammentare che è regola fondamentale del diritto tributario quella secondo cui le ragioni poste a base dell’atto impositivo definiscono i confini del giudizio tributario, che è giudizio d’impugnazione dell’atto, sicchè l’ufficio finanziario, dovendo le contestazioni adducibili in sede contenziosa rimanere circoscritte alla motivazione dell’avviso di accertamento, non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse o, comunque, modificare, nel corso del giudizio, quelle individuate dalla suddetta motivazione (Cass. n. 9810 del 7/5/2014; Cass. n. 13305 del 9/6/2009; Cass. n. 26458 del 4/11/2008; Cass. 17762 del 12/12/2002). E ciò in ragione delle fondamentali funzioni di garanzia che, sul piano del diritto di difesa del contribuente, la motivazione dell’atto impositivo assolve nell’ambito dell’ordinamento tributario.

3.2. Da tale premessa discende che il giudizio tributario è limitato alla verifica della legittimità della pretesa avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e in diritto in esso indicati, ed ha un oggetto delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, sicchè le parti non possono proporre nuove eccezioni, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.

3.3. Tale divieto concerne, tuttavia, esclusivamente le eccezioni in senso stretto, e non anche le eccezioni improprie o le mere difese, che sono, invece, sempre deducibili.

Per eccezioni in senso stretto devono intendersi quelle attraverso le quali il contribuente fa valere, con i motivi di ricorso, un fatto giuridico avente efficacia modificativa, impeditiva o estintiva della pretesa fiscale, non potendo essere considerate tali le eccezioni improprie, o mere difese, che sono quelle dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice della inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, ovvero, specularmente, quelle volte alla mera contestazione delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato con il ricorso introduttivo, alle quali rimane circoscritta l’indagine rimessa al giudice di merito (Cass. n. 25756 del 5/12/2014; Cass. n. 19414 del 30/9/2015, secondo cui la categoria dell’eccezione in senso stretto ricomprende tutti i vizi d’invalidità dell’atto impositivo per difetto di elementi formali essenziali, incompetenza o violazione di norme sul procedimento, mentre solo la contestazione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria si risolve in una mera difesa, estranea al divieto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57; Cass. n. 31224 del 29/12/2017).

3.4. E’ quindi del tutto evidente che la deduzione formulata dall’Ufficio per la prima volta in appello, risultante dagli atti di causa a seguito di nuova produzione documentale D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 58 e concernente la dichiarazione del sostituto d’imposta S. Paolo Invest, contenuta nel quadro AU del modello 770, che le somme erogate al S. erano state corrisposte ad agente plurimandatario, non costituisce eccezione in senso stretto, quindi vietata dall’art. 57 citato, ma deve piuttosto essere qualificata come controeccezione del tutto consentita, considerato che essa è volta a contestare e negare efficacia probatoria alle deduzioni difensive svolte dal contribuente – che in primo grado, come emerge dalla sentenza impugnata, aveva, tra l’altro, dedotto di svolgere attività di agente monomandatario della Banca S. Paolo Invest s.p.a. – senza in alcun modo ampliare l’oggetto fattuale della lite.

4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, nonchè, in via mediata, dell’art. 1743 c.c. e del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 31, comma 2, secondo periodo, recante “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”, come costituito dal D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164, art. 6, comma 2.

Secondo la linea argomentativa dell’Ufficio, poichè il rapporto del promotore con la San Paolo Invest sarebbe stato non esclusivo – come emergerebbe dalla “codifica” delle provvigioni erogate – sarebbe plausibile che questi abbia ricevuto provvigioni ulteriori e tale rilievo concorderebbe con l’indizio – di per sè privo di autosufficienza -consistente nel rilevato scostamento del reddito dai valori parametrici, rendendo legittimo l’accertamento.

Ad avviso del ricorrente, tale assunto contrasta con l’esplicito divieto di legge previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 2, secondo periodo, in forza del quale “l’attività del promotore finanziario è svolta esclusivamente nell’interesse di un solo soggetto”, e dimostra che il ragionamento presuntivo svolto dai giudici di merito viola il disposto dell’art. 2729 c.c., posto che essi avrebbero dovuto verificare se la concreta ed effettiva percezione di provvigioni ulteriori potesse apparire come “una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto” costituito dalla risultanza della dichiarazione del sostituto d’imposta, disamina questa che non è stata affatto compiuta nella sentenza impugnata.

4.1. La censura è infondata.

4.2. Va, in primo luogo, sottolineato che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non rileva che il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 2, secondo periodo, vieti al promotore finanziario di collocare sul mercato prodotti finanziari per una pluralità di società preponenti, in quanto tale disposizione normativa non esclude che di fatto, sia pure in violazione della stessa, il contribuente possa avere svolto attività in favore di più mandanti.

Nel caso di specie, la Commissione regionale del tutto logicamente ha ritenuto dimostrato che il contribuente avesse espletato la sua attività in favore di più società preponenti sulla base della dichiarazione rilasciata dalla Banca S. Paolo Invest s.p.a. quale sostituto d’imposta, trattandosi di indizio grave da solo sufficiente a far presumere la percezione di ulteriori provvigioni a fronte del quale il ricorrente non ha offerto elementi di segni opposto.

Piuttosto, la censura che il ricorrente rivolge al ragionamento svolto dai giudici di appello si risolve in realtà in una valutazione alternativa del materiale probatorio, in violazione del principio di diritto, secondo il quale spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di far ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. 2 aprile 2009, n. 8023; Cass. 8 gennaio 2015, n. 101).

Non sono, dunque, configurabili i vizi di violazione di legge denunciati e l’apprezzamento di fatto posto dai giudici di merito a fondamento della decisione, congruamente motivato, non può essere sindacato in questa sede.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi in merito alle spese del giudizio di legittimità, in assenza di attività difensiva dell’Agenzia delle Entrate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2019

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