Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34402 del 23/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2019, (ud. 11/10/2019, dep. 23/12/2019), n.34402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2020/2013 R.G. proposto da:

P.A., rappresentato e difeso, per procura speciale in

atti, dall’Avv. Andrea Falzone, con domicilio eletto presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 326;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 750/14/11, depositata in data 30 novembre 2011;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 ottobre

2019 dal Consigliere Dott. Cataldi Michele.

Fatto

RILEVATO

che:

1. P.A. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 750/14/11, depositata in data 30 novembre 2011, che ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorso del predetto contribuente contro l’avviso d’accertamento con il quale l’Ufficio, relativamente all’anno d’imposta 2001, in materia di Irpef, rilevata l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, aveva recuperato a tassazione, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, l’importo di Euro 115.955,00, a titolo di plusvalenza derivante dalla cessione di una licenza taxi.

2. L’Ufficio si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, la contribuente ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, per non avere il giudice a quo ritenuto l’illegittimità dell’impugnato accertamento in conseguenza della carenza della sua motivazione, esposta per relationem a documenti (un’indagine di docenti dell’Università della Tuscia, riferita ad un anno, il 2002, diverso peraltro da quello di cui all’accertamento; un provvedimento dell’Ufficio del Giudice Tutelare del Tribunale di Milano; una nota dell’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali del Comune di Roma; annunci di cessioni e di acquisizioni di licenze pubblicate su internet) non provenienti dall’Amministrazione; nè allegati (in particolare, la predetta indagine) allo stesso atto impositivo; nè riprodotti nella motivazione di quest’ultimo, quanto meno per la loro parte essenziale; nè conosciuti, o conoscibili dal contribuente.

1.1. Il motivo è ammissibile, atteso che la ricorrente ha indicato, nel corpo dello stesso (anche tramite parziale trascrizione), la proposizione della medesima censura nel proprio ricorso di primo grado e la sua riproposizione nelle proprie controdeduzioni in appello. Inoltre, la ricorrente ha anche indicato l’avvenuta produzione dell’avviso d’accertamento, trascrivendone, per quanto qui interessa, la parte motiva per relationem. Non sono quindi fondate le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Ufficio nel controricorso.

1.2. Tanto premesso, il motivo è fondato.

Infatti, sul punto della sufficienza, o meno, della motivazione dell’atto impositivo – questione oggetto, come detto, di puntuale difesa della contribuente appellata- la CTR si è limitata ad affermare che “i criteri usati per la determinazione del valore del bene trasferito utilizzati dall’Ufficio e documentati, oltre che nell’avviso contestato anche nel corso del procedimento, sono da ritenere congrui ed accettabili”.

Essendo pacifico che la motivazione dell’accertamento contenesse il riferimento ad atti esterni ad esso non allegati (come risulta dalle stesse difese della controricorrente sul punto, secondo le quali la mancata allegazione non escluderebbe che l’accertamento possa considerarsi comunque autonomamente motivato), nel caso di specie a verifica della legittimità di tale tecnica di redazione dell’avviso non poteva esaurirsi, da parte del giudice a quo, nel prendere atto, nella motivazione della sentenza impugnata, che i criteri usati per la determinazione del valore del bene utilizzati dall’Ufficio erano “documentati (…) nell’avviso contestato”, affermazione che, per quanto sintetica, presuppone un’implicita, ma necessaria, automatica equivalenza tra allegazione dei documenti all’atto (dovuta ex lege, ma pacificamente omessa nel caso di specie) e mero rinvio ad essi nella sua motivazione, che tuttavia non si ricava dalle norme richiamate nella censura e dalla loro interpretazione giurisprudenziale consolidata.

Dispone infatti la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1:

“Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.”.

Dispone a sua volta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, come modificato dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 1, comma 1, lett. c), nella versione vigente ratione temporis, che:

“Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.

L’avviso di accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d’imposta, e deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.

L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del comma 2.”.

Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, anche recentemente ribadito (Cass., 13/02/2019, n. 4176, in motivazione), le norme appena citate consentono di adempiere l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari per relationem, tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., 25/03/2011, n. 6914), o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass., 25/07/2012, n. 13110).

Facendo applicazione dei medesimi principi ad una vicenda di fatto analoga a quella qui sub iudice, nella quale pure era stata contestata l’omessa indicazione, nella dichiarazione dei redditi, della plusvalenza per trasferimento di una licenza taxi, e la motivazione dell’accertamento in materia di Irpef consisteva nella menzione degli elementi di valutazione esterni, questa Corte ha ritenuto che nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., 15/04/2013, n. 9032; conforme, in relazione ad identica fattispecie, Cass., 23/12/2015, n. 25946).

In particolare, è stato inoltre precisato che lo Statuto del contribuente, art. 7, comma 1 (così come espressamente previsto dal D.P.R. citato, art. 42), nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass., 4/7/2014, n. 15327). Tuttavia, è stata ritenuta legittima anche la motivazione per relationem che richiami, senza allegarli, atti che si possano presumere, iuris tantum, conosciuti dal destinatario dell’accertamento (Cass., 17/12/2014,n. 26527; Cass., 27/11/2015, n. 24254). E, nel caso di doppia motivazione per relationem, ovvero nel caso in cui il documento richiamato nella motivazione dell’atto tributario faccia a sua volta riferimento ad ulteriori documenti, è stato ritenuto sufficienti che questi ultimi siano, se non in possesso o comunque conosciuti dal contribuente, quanto meno agevolmente conoscibili da quest’ultimo (Cass., 12/12/2018, n. 32127; Cass. 24/11/2017, n. 28060).

Tanto premesso, poichè l’obbligo di idonea e completa motivazione, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, è volto ad assicurare al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa nel giudizio di impugnazione – laddove, in mancanza, egli sarebbe costretto ad un’attività di ricerca che comprimerebbe illegittimamente il suo diritto di difesa (Cass., 11/05/2017, n. 11623) -, deve ritenersi illegittimo l’avviso di accertamento che sia privo, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, di una congrua motivazione, senza che quest’ultima possa essere “integrata” in giudizio dall’Amministrazione finanziaria, in ragione della natura impugnatoria del processo tributario (Cass., 21/05/2018, n. 12400; Cass., 12/10/2018,n. 25450; Cass., 31/01/2018, n. 2382).

Del tutto apodittica, rispetto a tali conclusioni, appare la difesa dell’Amministrazione controricorrente, secondo la quale, a prescindere dalla mancata allegazione degli atti in questione, l’atto impositivo sarebbe dotato di una motivazione strutturalmente indipendente da essi. Infatti, non viene neppure accennato dall’Ufficio in quali passi la motivazione dell’accertamento – con particolare riferimento alla determinazione del tributo dovuto ed all’indicazione degli elementi posti alla base di tale quantificazione, onde consentire al contribuente la verifica sia della correttezza dei parametri utilizzati per la valutazione del presupposto dell’imposizione che del calcolo operato dall’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass., 29/11/2016, n. 24220; Cass., 19/12/2014, n. 27055) – manifesterebbe tale autonoma sufficienza e rilevanza.

La sentenza va quindi cassata in relazione all’accoglimento del primo motivo di ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, va accolto il ricorso introduttivo del contribuente.

Infatti, l’accertamento dell’invalidità del provvedimento in esame discende da “motivi formali”, che impediscono al giudicante di esaminare il merito della pretesa fiscale al fine di sostituire la propria valutazione estimativa (in ordine alla consistenza del presupposto d’imposta) a quella dell’Amministrazione. Ed invero, per quanto possa dirsi impregiudicato l’accertamento relativo all’esistenza del presupposto di imposta ai fini dell’applicazione del tributo, l’omessa allegazione dei documenti e delle fonti in genere che hanno costituito oggetto dell’attività istruttoria da parte dell’Ufficio procedente (sebbene finalizzata alla sola valutazione della consistenza economica di detto presupposto) è da considerarsi -a mente dell’art. 7 dello Statuto dei contribuente – ragione di invalidità formale del provvedimento adottato, con conseguente inibizione di qualsiasi ulteriore valorizzazione di stadi logicamente pregressi dell’accertamento impositivo, ai fini della identificazione dell’esistenza di un obbligo sostanziale in capo alla parte contribuente (così, in motivazione, la citata Cass., 23/12/2015, n. 25946).

2. Con il secondo motivo, la contribuente ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza impugnata per insufficienza della sua motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ordine all’individuazione dell’imponibile nel prezzo di cessione della licenza, piuttosto che in quello della plusvalenza realizzata tramite tale negozio, ed in relazione ai criteri di quantificazione del valore del bene trasferito.

3. Con il terzo motivo, la contribuente ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 38 e 39, per avere il giudice a quo ritenuto legittimo l’accertamento, benchè non fosse fondato su prova certa, o quanto meno su presunzioni basate su indizi gravi, precisi e concordanti, in ordine all’esistenza ed alla quantificazione dell’elemento reddituale, la plusvalenza, presupposto dell’imposizione.

3.1. Il secondo ed il terzo motivo, attingendo il merito della pretesa erariale, sono assorbiti dall’accoglimento del primo.

4. Le spese dei giudizi di merito si compensano per la peculiarità della fattispecie controversa.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti il secondo ed il terzo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie ii ricorso introduttivo dei contribuente;

compensa le spese dei gradi di merito e condanna la controricorrente a rifondere al ricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2019

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