Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34400 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/11/2021, (ud. 29/09/2020, dep. 15/11/2021), n.34400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 26109/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e

presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi n.

12;

– ricorrente –

contro

Società Honeywell Combustion Controls s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, anche in via

disgiunta, giusta procura speciale rilasciata il 3 dicembre 2013, in

calce al controricorso, dall’Avv. Marco Cerrato e dall’Avv.

Guglielmo Maisto, elettivamente domiciliata presso il loro studio in

Roma, Piazza d’Aracoeli n. 1;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 47/2/2013, depositata il 25 marzo 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29 settembre

2021 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Alessandro Pepe, che ha concluso chiedendo

dichiararsi l’inammissibilità del primo motivo e l’inammissibilità

o il rigetto del secondo motivo.

udito l’Avv. Giuli Paroni Pini, per delega scritta dell’Avv.

Guglielmo Maisto, per la società controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale, che aveva accolto il ricorso della Honeywell Combustion Controls (HCC) s.r.l. presentato contro l’avviso di accertamento emesso nell’anno 2010, per l’anno di imposta 2005, dalla Agenzia delle entrate, sia per la ripresa a tassazione della quota di ammortamento decennale dell’avviamento per la somma di Euro 723.040,00, iscritta in bilancio nell’anno 2001, derivante da disavanzo di fusione, frutto di condotta elusiva priva di valide ragioni economiche, sia per il disconoscimento di parte dei costi per servizi infragruppo resi dalla controllante (HTS) per Euro 748.446,76 su costi complessivi per Euro 864.000,00. Il giudice di prime cure rilevava, quanto ai costi infragruppo, che la controllante HTS, di diritto svizzero, non si era limitata ai servizi per la vendita di prodotti all’estero, ma aveva fornito ulteriori servizi di altra natura, e quanto alle quota di ammortamento dell’avviamento proveniente da disavanzo da fusione, che vi era stato l’affrancamento del disavanzo con il pagamento dell’imposta sostituiva da parte dei cedenti, mentre la distribuzione del dividendo prima della fusione era operazione neutra sia fiscalmente che per il diritto civile. Il giudice di appello evidenziava che non era accoglibile la pretesa dell’Ufficio di “sterilizzare” i dividendi distribuiti per il computo del disavanzo da fusione, in assenza di una condotta posta in essere con abuso del diritto. Sussistevano, invece, le valide ragioni economiche della distribuzione de’i dividendi prima della fusione. Inoltre, la HTS, di diritto svizzero, controllante la contribuente, aveva offerto non solo servizi di vendita, ma un’ampia gamma di servizi, come da documentazione prodotta.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Ha resistito con controricorso la società, proponendo ricorso incidentale, depositando memoria scritta ed eccependo la formazione di un duplice giudicato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 172, comma 2, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2 e dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 172, comma 2, per il principio di “neutralità fiscale” della fusione e di quello di “continuità” dei valori contabili, prevede la non imponibilità nei confronti dell’incorporante dei “maggiori valori iscritti in bilancio”, con riferimento ad “elementi patrimoniali della società incorporata o fusa”. Tali maggiori iscrizioni sono l’esplicitazione in bilancio di valori effettivamente presenti nel patrimonio della incorporata, ma “latenti” in esso, e fatti emergere dalla incorporazione. In questo caso, però, la riserva di utili per Lire 14.000.000.000, distribuiti prima della fusione, proprio in favore della futura incorporante, non rappresentava un valore “latente” nel patrimonio della incorporata, ma era espressamente evidenziato nel bilancio della incorporata (era un “valore effettivo”). Una volta azzerata tale voce dal bilancio della incorporata (“riserva di utili” non distribuiti), a seguito della distribuzione dei dividendi alla futura incorporante, gli utili e la connessa riserva non possono perdere rilievo, ai fini della determinazione del valore dell’avviamento della incorporante; sì che quando l’incorporante intende iscrivere nell’attivo dello stato patrimoniale l’avviamento determinato dal disavanzo di fusione, deve tenere conto anche di tale importo degli utili distribuiti, come da pregressa riserva di utili non distribuiti; ciò in quanto tale voce (“riserva di utili”, non distribuiti) era stata presente nel bilancio della incorporata, prima della incorporazione, proprio come valore a titolo di riserve di utili non distribuiti. Inoltre, il valore di acquisto da parte della contribuente delle partecipazioni (OMISSIS) e Inval, prima della incorporazione, teneva conto già della presenza nei bilanci di (OMISSIS) e (OMISSIS) delle riserve per utili non distribuiti, formatisi in esercizi precedenti alla acquisizione delle partecipazioni stesse da parte di HCC. Il valore di tali riserve è stato allora considerato nella determinazione del prezzo di acquisto delle partecipazioni pagato da HCC e, quindi, “nel valore di carico di queste nel bilancio HCC”. Il valore delle riserve, allora, non poteva generare un valore “latente”. Tale valore, quindi, doveva essere considerato nel calcolo del differenziale, ad accrescimento del patrimonio netto di (OMISSIS) rispetto al valore di carico in HCC. La differenza sarebbe stata inferiore di Lire 14.000.000.000 rispetto a quella che HCC, dopo l’incorporazione, aveva iscritto come avviamento e poi posto come ammortamento deducibile. La distribuzione della riserva di utili ha avuto il solo fine di far apparire, subito prima della incorporazione, un bilancio (OMISSIS) (società incorporata) contenente un attivo patrimoniale iscritto più esiguo di quello in precedenza iscritto; in tal modo si è accresciuta apparentemente la differenza tra il valore di carico delle partecipazioni (OMISSIS) in HCC, che non veniva ridotto, e il patrimonio netto contabile di (OMISSIS) prima della incorporazione. Tale operazione non aveva alcuna finalità economica, in quanto per la contribuente era del tutto identico incassare la distribuzione delle riserve di utili, oppure appropriarsi

direttamente, per effetto della incorporazione, del patrimonio di (OMISSIS), comprensivo anche di quelle riserve. L’operazione ha avuto la sola finalità di accrescere la posta iscrivibile come avviamento ammortizzabile e deducibile.

1.1. Anzitutto, si rileva che il motivo è stato articolato in modo corretto e non è inammissibile, in quanto sono riportati tutti gli elementi che consentono la piena comprensione della fattispecie in esame, con la trascrizione della sentenza di primo grado, dell’appello dell’Agenzia e della sentenza di appello, con tutti i necessari “raccordi” tra le varie parti del motivo.

Ne’ vi è stata una modifica della causa petendi da parte della Agenzia delle entrate, in quanto la stessa si è limitata ad indicare il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 172, comma 2, che è norma che disciplina proprio la fusione e le caratteristiche della neutralità fiscale e della simmetria fiscale, unitamente al disavanzo da fusione. La sostanza della critica alla sentenza di appello resta nei binari delle contestazioni riportate nell’avviso di accertamento, soprattutto in tema di abuso del diritto nella realizzazione delle due operazioni rappresentante dalla distribuzione delle riserve straordinarie delle incorporate alla futura incorporante e della successiva fusione per incorporazione della (OMISSIS) s.r.l. nella contribuente HCC.

1.2. Il motivo è infondato, essendosi formato il giudicato “esterno” a seguito delle sentenze della Commissione tributaria regionale n. 295/5/2015, depositata il 2 febbraio 2015, relativa all’anno di imposta 2007, passata in giudicato, sempre in relazione alla deducibilità della quota di ammortamento decennale (Euro 723.040,00, ossia 1/10 di Euro 7.230.396,58) dell’avviamento sorto dal disavanzo originato da,a medesima operazione di fusione, e di questa Corte (n. 2899 depositata il 31 gennaio 2019), in relazione alla deducibilità delle quote di ammortamento dell’avviamento per gli anni 2003 e 2004 (per Euro 723.040,00 per ciascun anno di imposta).

1.3. Questi sono i passaggi salienti delle operazioni realizzate tra le parti.

La contribuente (HCC) ha acquistato il 15-5-1998 il 70% delle quote di capitale della (OMISSIS) s.r.l., per Lire 10.675.000.000, ed il 100% delle quote di capitale della (OMISSIS) per Lire 21.000.000.000. Successivamente, con atto di compravendita del 2-6-1999 la HCC ha acquistato le residue quote del 30% della (OMISSIS) s.r.l., per la somma di Lire 4.902.000.000.

In data 20-11-2000 la (OMISSIS) ha incorporato la (OMISSIS) s.r.l., e con Del. 12-12-2000 sia la (OMISSIS) s.r.l. che la (OMISSIS) s.r.l. hanno deciso la distribuzione dei dividendi per Lire 7.000.000.000 ciascuna a favore della unica socia (la contribuente) con una contestuale riduzione delle riserve straordinarie delle società partecipate.

Il 15-6-2001 è stato deliberato il progetto di fusione e il 13-11-2001 la contribuente ha incorporato la Inceo s.r.l. e su tale fusione si è generato un “disavanzo di fusione” da annullamento, che costituisce un valore positivo, ed è stato poi iscritto nell’attivo patrimoniale della contribuente incorporante.

Il disavanzo da fusione è stato calcolato sottraendo dal prezzo di acquisto delle quote pari a Lire 37.568.821.000 la somma dei patrimoni netti della (OMISSIS) s.r.l. e della (OMISSIS) s.r.l., pari alla data del 31-12-1999, ad Euro 25.592.188.048; con ulteriore sottrazione dell’utile di esercizio della (OMISSIS) s.r.l., in data 12-2-2000 (data della incorporazione della (OMISSIS) s.r.l.), di lire 4.495.171.919, ma “al netto delle distribuzioni di utili delle società alla contribuente pari a lire 14.000.000.000.

1.4. In tal modo, ovviamente, è stato aumentato il disavanzo di fusione (valore positivo), che è di Lire 21.481.472.041, e contestualmente è aumentato l’attivo patrimoniale della incorporante alla voce avviamento, con conseguente deduzione delle quote di ammortamento dell’avviamento per dieci anni. Tale differenza scaturiva dal confronto tra il valore della partecipazione acquisita iscritta al costo nel bilancio della incorporante ed il valore del patrimonio netto della incorporata. Poiché il valore di partecipazione risultava maggiore rispetto al valore del patrimonio netto della incorporata, emergeva un disavanzo da annullamento. Tale maggior valore è stato considerato integralmente riconducibile ad un valore di avviamento della (OMISSIS) s.r.l., che aveva incorporato la (OMISSIS) s.r.l., con conseguente successivo ammortamento. Era stato, dunque, disconosciuto l’ammortamento annuale per Euro 723.000,00, ossia il 10% dell’importo complessivo di Lire 14.000.000.000, pari ad Euro 7.230.396,58.

1.5. Va chiarito che la fusione è un fenomeno che interessa l’organizzazione patrimoniale e societaria dei soggetti di imposta, ma non la loro gestione, sicché è un evento fiscalmente neutro ai fini reddituali. In tal modo, in base al principio di “neutralità” la fusione non costituisce realizzo né distribuzione di plusvalenze o minusvalenze. Da questa operazione non può generare né reddito imponibile né perdita deducibile. Inoltre, nella determinazione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante non si tiene conto dell’avanzo o disavanzo iscritto in bilancio, siano essi da annullamento o da concambio. Infatti, le differenze da fusione costituiscono poste di mero riequilibrio contabile prive di rilievo fiscale, poiché l’operazione è caratterizzata dalla trasmissione dei precedenti valori fiscalmente riconosciuti.

I principi che governano la materia della fusione sono, dunque, quello della “neutralità fiscale” (Cass., sez. 5, 17 luglio 2019, n. 19222), in quanto tale operazione è inidonea a generare reddito, e quello della “simmetria fiscale” (Cass., sez. 5, 23 luglio 2020, n. 15757), diretto corollario del primo, per cui sono fiscalmente irrilevanti i maggiori valori portati a incremento del valore di bilancio delle attività e delle passività delle società fuse o incorporate, per effetto della allocazione del disavanzo di fusione; le attività e le passività delle società incorporate o fuse vengono di conseguenza assunte dalla società incorporante o risultante dalla fusione, con i medesimi valori fiscali ad essi attribuiti ante fusione.

1.6. Il disavanzo da fusione deriva dalla discordanza tra il valore contabile della “partecipazione” da annullare e il valore contabile netto delle “attività” e “passività” trasferite alla società incorporante o risultante dalla fusione. In caso di fusione per incorporazione, ove l’intero capitale sociale dell’incorporata sia detenuto dalla incorporante, come è accaduto nella specie, in cui la contribuente HCC aveva già acquisito il 100% delle quote di (OMISSIS) s.r.l. (che aveva già incorporato (OMISSIS) s.r.l.), le differenze da annullamento sussistono quando il “patrimonio netto” della incorporata è di ammontare diverso rispetto al valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione posseduta dalla incorporante. Se il costo di acquisto della partecipazione è superiore al patrimonio netto della partecipata si genera un disavanzo di fusione. Proprio questa è l’ipotesi verificatasi in concreto, in quanto il costo di acquisto delle intere partecipazioni in (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l. era di Lire 37.568.821.008, mentre il patrimonio netto delle due incorporate ((OMISSIS) e (OMISSIS)) era di Lire 25.592.177.048, oltre ad un utile di esercizio della (OMISSIS) di Euro 4.495.171.919; di qui il disavanzo di fusione pari a Lire 21.481.472.041. Non si è tenuto conto, però, della precedente riserva di utili per Lire 14.000.000.000, in quanto tali utili erano stati distribuiti prima della fusione, sicché il patrimonio netto delle due società incorporate, che hanno distribuito dividendi alla incorporante, prima della fusione, era diminuito a causa di tale distribuzione, comportando inevitabilmente un maggiore disavanzo da fusione, consistente nella differenza tra il costi di acquisto delle partecipazioni ed il patrimonio netto delle incorporate.

L’art. 2504 bis c.c., comma 4, prevede che “nel primo bilancio successivo alla fusione le attività e le passività sono iscritte ai valori risultanti dalle scritture contabili alla data di efficacia della fusione medesima”. Aggiunge, poi, che “se dalla fusione emerge un disavanzo, esso deve essere imputato ove possibile, agli elementi dell’attivo e del passivo delle società partecipanti alla fusione e, per la differenza, e nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 2426, n. 6, ad avviamento”. Se dalla fusione deriva un disavanzo esso deve essere collocato ad incremento del valore contabile degli elementi dell’attivo e/o a decremento di quelli del passivo delle società partecipanti alla fusione e, per la differenza, ad incremento dell’avviamento, nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 2426 c.c., n. 6.

Pertanto, è l’art. 2504 bis c.c. a prevedere che il disavanzo sia inserito tra le attività della società e segnatamente nella voce “avviamento” dell’attivo patrimoniale.

Le ragioni del disavanzo da fusione possono derivare dalla circostanza che il costo sostenuto per l’acquisizione della partecipazione tiene conto delle plusvalenze latenti dei beni e dell’avviamento della partecipata, di “entità immateriali” non iscritte in bilancio (marchi, Know-how), delle sinergie derivanti dall’inserimento della partecipata nel gruppo di società che fa capo alla partecipante.

1.7. I disavanzi, nel corso degli anni, sono stati oggetto di diverse discipline. Inizialmente ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 123, comma 2, il maggior costo della partecipazione rispetto alla corrispondente quota di patrimonio netto della società incorporata doveva essere trasferito sul valore dei beni di quest’ultima, con possibilità di iscrizione di una posta a titolo di avviamento.

1.8. Successivamente, con la L. n. 724 del 1994, art. 27, vi è stata una radicale inversione di tendenza. E’ intervenuto poi il D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 6, che ha trovato una soluzione di compromesso.

L’art. 6 cit., riguardante il regime dei disavanzi derivanti da operazioni di fusione o scissione, citato a pag. 4 del ricorso per cassazione (ove si trascrive la sentenza della Commissione provinciale di Lecco), prevede al comma 2 che “i maggiori valori iscritti per effetto dell’imputazione del disavanzo da annullamento delle azioni o quote si intendono fiscalmente riconosciuti senza l’applicazione dell’imposta sostitutiva, fino a concorrenza dell’importo complessivo netto: a) delle plusvalenze…rilevanti ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva…che sono state assoggettate ad imposta sostitutiva…”.

Ciò significa che il disavanzo da fusione può essere fiscalmente riconosciuto solo se le plusvalenze sono state assoggettate ad imposta sostitutiva.

Infatti, nel ricorso per cassazione, si legge, a pag. 4 che “le quote di (OMISSIS) srl ed (OMISSIS) srl precedentemente cedute alla ricorrente ante fusione hanno scontato la tassazione per tali operazioni in capo ai soci cedenti”, con la precisazione che “al più hanno scontato un’aliquota di tassazione agevolata i soci cedenti persone fisiche”.

In tal modo si è determinato l’affrancamento del disavanzo da fusione, con la conseguente possibilità per l’incorporante di iscrivere all’attivo dello stato patrimoniale la voce avviamento, con conseguente ammortamento dello stesso in quote annuali per dieci anni. Pertanto, la prima iscrizione vi è stata nel 2001, mentre in questo processo si tratta della ripresa a tassazione della iscrizione in bilancio della quota annuale relativa al 2005, a seguito di avviso di accertamento emesso nell’anno 2010.

1.9. Il disavanzo di fusione è stato utilizzato dalla incorporante HCC, a seguito dell’intervenuto affrancamento. Pertanto, il procedimento eseguito è del tutto corretto. Le parti, invece, sono in disaccordo in ordine all’utilizzo, nel computo del disavanzo di fusione, della voce “riserva di utili non distribuiti” presente nei bilanci delle due società (OMISSIS) e (OMISSIS), fino alla distribuzione del dividendo di Lire 7.000.000.000 ciascuna (per un totale di Lire 14.000.000.000). Secondo la contribuente, infatti, di tale valore non poteva più tenersi conto, in quanto le riserve erano state distribuite proprio alla incorporante, sicché il patrimonio netto delle incorporate si era ridotto di tale entità. Ciò comportava un aumento considerevole, appunto di Lire 14.000.000.000, del disavanzo da fusione, dato dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle partecipazioni ed il valore del patrimonio netto. Al contrario secondo l’Ufficio, benché vi fosse stata la distribuzione del dividendo, la voce riserva di utili o comunque l’importo del dividendo, faceva ancora parte del patrimonio netto delle incorporate, con conseguente riduzione dello stesso importo per il disavanzo di fusione, essendo maggiore il valore del patrimonio netto delle incorporate. Per l’Ufficio tale distribuzione di utili doveva essere “sterilizzata”, quindi non poteva tenersene conto in quanto si trattava di una operazione compiuta con abuso del diritto e, quindi, elusiva. Per la ricorrente, in realtà, era del tutto identico per la HCC “incassare la distribuzione delle riserve di utili” oppure “appropriarsi direttamente, per effetto dell’incorporazione, del patrimonio di (OMISSIS) comprensivo di quelle riserve”, sicché “l’operazione aveva solo la descritta finalità di accrescere la posta iscrivibile come avviamento ammortizzabile e deducibile”.

2. La sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 295/5/2015, depositata il 2 febbraio 2015, oggetto di altro giudizio, ma sempre tra le stesse parti, ha rigettato l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lecco (n. 100/3/2013), che aveva accolto il ricorso della Honeywell Combustion Controls s.r.l. contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate per avere portato in deduzione la quota di ammortamento (1/10) del valore dell’avviamento, iscritto nell’attivo patrimoniale, a seguito della fusione intervenuta tra Honeywell Combustion (incorporante) e la (OMISSIS) (incorporata), con emersione del disavanzo da fusione, per la prima volta nell’anno 2001, e poi oggetto di ammortamento al passivo del conto economico per i successivi nove anni, compreso quello oggetto di controversia (anno 2005).

2.1. L’Agenzia delle entrate, solo a decorrere dall’anno 2008, con riferimento all’anno 2001, ha iniziato ad emettere gli avvisi di accertamento nei confronti della contribuente, in relazione alla indeducibilità della somma di Euro 723.040,00, per ogni anno, pari ad 1/10 del valore dell’avviamento complessivo iscritto nell’attivo patrimoniale dell’anno 2001 (Euro 7.230.396,58).

Si e’, quindi, in presenza di un ammortamento pluriennale, che origina però da un’unica operazione di fusione tra la contribuente (incorporante) e la (OMISSIS) (incorporata), con progetto di fusione del 16 giugno 2001 ed effettiva incorporazione il 13 novembre 2001, da cui è scaturito il disavanzo da fusione, che ha comportato, ai sensi dell’art. 2504-bis c.c., il valore positivo costituito dall’avviamento della incorporante, poi disconosciuto dall’Agenzia per la somma di Euro 7.230.396,58, pari al valore dei dividendi distribuiti dalle due incorporate (OMISSIS) e (OMISSIS) il 12 dicembre 2020, prima del deposito del progetto di fusione.

2.3. Pertanto, deve trovare applicazione il principio giurisprudenziale di questa Corte, a sezioni unite (Cass., sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916), in base al quale, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta.

2.4. Nella pronuncia richiamata (Cass. sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916) si e’, infatti, affermato che la “pluriennalità” assume carattere costitutivo dell’esenzione o agevolazione in quanto il relativo arco temporale di estensione è stabilito in ragione di un” considerazione unitaria di un insieme di periodi d’imposta, trattati sostanzialmente come una sorta di “maxi periodo”; la disciplina dell’esenzione o dell’agevolazione ha riguardo, quindi, non a singole obbligazioni considerate isolatamente, ma ad un complesso unitario di periodi d’imposta, con l’ineludibile conseguenza che, una volta accertato con sentenza passata in giudicato che spetti al contribuente il diritto all’esenzione per un segmento dell’arco temporale di estensione dell’esenzione medesima, tale sentenza avrà necessariamente efficacia di giudicato esterno in un diverso giudizio nel quale eventualmente si dibatta della spettanza del diritto per un altro segmento del medesimo arco temporale. L’agevolazione, infatti, o spetta per l’intero spazio pluriennale per il quale data, o non spetta affatto.

Le medesime regole devono valere in caso di iscrizione all’attivo patrimoniale di un cespite o di una immobilizzazione immateriale o dell’avviamento, con conseguente possibilità di deduzione dell’ammortamento nel passivo del conto economico per il numero e gli anni consentito dalla legge (Cass., sez. 5, 16 dicembre 2019, n. 33046; Cass., 7 maggio 2008, n. 11084).

Pertanto, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche (quali le imposte sui redditi, Iva, vari tributi locali), è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti aventi, per legge, efficacia permanente o pluriennale; si tratta, quindi, di fatti che, pur essendo unici, producono, per previsione legislativa, effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, e in cui l’elemento della penalità costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa, unificata alla stregua di una sorta di maxi periodo (Cass., sez. 5, 4 marzo 2021, n. 5939). In tale categoria rientrano le esenzioni o agevolazioni pluriennali, come pure la “spalmatura” in più anni dell’ammortamento di un bene o, in generale, della deducibilità di una spesa.

Anche la ordinanza di questa Corte 31 gennaio 2019, n. 2899, con riferimento agli anni 2003 e 2004, ha prodotto un giudicato esterno che si riflette sull’anno in contestazione. Infatti, in quel caso l’avviso di accertamento era stato notificato il 12 dicembre 2008, con riferimento all’anno 2003, e il 27 agosto 2009, con riferimento all’anno 2004, sempre in riduzione, in sede di rettifica, della quota di ammortamento dell’avviamento, originato dal disavanzo da fusione, relativo all’anno 2001. Il giudice di prime cure ha accolto i ricorsi della contribuente a seguito dell’intervenuta decadenza dell’Agenzia delle entrate, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in quanto le operazioni societarie erano state effettuate ed iscritte in bilancio negli anni 2000 e 2001. Il giudice d’appello aveva confermato la sentenza di primo grado, mentre questa Corte ha rigettato il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate. Si è affermato, infatti, nella pronuncia di legittimità (Cass., 31 gennaio 2019, n. 2899) resa tra le stesse parti (anni 2003 e 2004), che non è possibile contestare sine die le elusioni, o altra forma di irregolarità, presenti nella dichiarazione dei redditi, in quanto il termine per la contestazione è fissato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, nel 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione e, in relazione a quanto riportato nelle dichiarazioni degli anni 2000 e 2001, era ampiamente scaduto quando l’Ente impositore ha notificato gli avvisi di accertamento nell’anno 2008.

Nella specie, quindi, si è in presenza di un duplice giudicato esterno, che impedisce di prendere in considerazione il merito della controversia, con riferimento ai tributi Irpef e Irap.

Ne’ ovviamente può valere quanto stabilito da questa Corte, a sezioni unite, in relazione alla possibilità per l’Agenzia delle entrate di emettere avvisi di accertamento, in caso di deduzione pluriennale di voci dell’attivo patrimoniale, anche se v’e’ stata decadenza in ordine all’iscrizione per la prima volta in bilancio nell’attivo patrimoniale di immobilizzazioni materiali o immateriali, tra cui ovviamente l’avviamento

Si è ritenuto, infatti, che, in caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale non per l’errato computo del singolo rateo dedotto, ma a causa del fatto generatore e del presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, e non già del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio (Cass., sez. un., 25 marzo 2021, n. 8500).

Pertanto, a seguito dell’intervenuto giudicato esterno, con le pronunce della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 295/5/2015, depositata il 27 gennaio 2015, e di questa Corte (Cass., sez. 5, 31 gennaio 2019, n. 2899), non è più possibile rimetter- in discussione la ratio decidendi di tali decisioni, che si incentra proprio sulla legittimità della iscrizione in bilancio fra le immobilizzazione immateriali, di cui all’art. 2424 c.c., sotto la voce “avviamento” (B, I, 5), del valore positivo generato dal disavanzo di fusione, “già affrancato”, senza la “sterilizzazione” dei dividendi distribuiti, con la conseguente possibilità per la contribuente di dedurre le quote annuali di ammortamento nel passivo del conto economico (cfr. giudicato formatosi sulla sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 295/2015, depositata il 2 febbraio 2015, per l’anno 2007, “in quanto la sterilizzazione prospettata dall’Ufficio, oltre a non essere prevista da alcuna disposizione di legge, non è corretta. Infatti, nella fusione di una società interamente posseduta, il disavanzo di fusione si determina quale differenza tra il valore di carico della partecipazione e il patrimonio netto della stessa”, con la precisazione che occorreva “evitare una doppia imposizione economica di un valore già affrancato fiscalmente ex lege, a seguito del pagamento da parte dei venditori delle imposte sulle plusvalenze da essi realizzate sulla cessione delle partecipazioni nelle società poi fuse”).

5. Con il secondo motivo di impugnazione l’Agenzia deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, commi 2 e 7 e art. 9, comma 3; nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omesso esame di un punto di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto per l’Ufficio il “valore normale” dei servizi transfrontalieri di assistenza e consulenza svolti dalla controllante estera HTS in favore della contribuente HCC doveva essere computato del 3%. Ciò perché la contribuente HCC riconosceva alla propria consociata italiana Honeywell Italia s.p.a., per servizi analoghi, la provvigione del 3 A), calcolata sul fatturato delle vendite nazionali realizzate da HCC. Tale percentuale, allora, esprimeva proprio il valore dei servizi resi dalle società capogruppo alle società operative. Il dato del 3 A), allora, doveva essere applicato anche ai costi sostenuti da HCC per i servizi infragruppo resi da HTS. La Commissione regionale avrebbe errato nel ritenere deducibili tutti i costi, al di là della percentuale del 3%, non essendo questo il “valore normale”. E’ stato del tutto trascurato il dato di fatto allegato dall’Ufficio.

4.1. Il motivo è infondato.

Anzitutto, si rileva che non spiega efficacia il giudicato intervenuto con la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 295/5/2015, depositata il 27 gennaio 2015, munita dell’attestazione di cancelleria adi cui all’art. 124, disposizioni di attuazione c.p.c., con riferimento alla deducibilità solo parziale dei costi relativi alle prestazioni fornite dalla Honeywell Tecnolkgies per l’anno 2007. Si è affermato, infatti, nella sentenza passata in giudicato, che la contribuente ha dimostrato che i costi infra gruppo per prestazioni rese da Honeywell Technologies Sarl in favore della contribuente non potevano essere determinati nel 3% delle vendite internazionali mutuando tale percentuale dei servizi di promozione delle vendite in Italia resi dalla consociata italiana Honeywell s.p.a., perché i servizi resi da quest’ultima erano limitati alla promozione delle vendite in Italia, mentre quelli resi da Honneywell Technologies Sarl riguardavano, non solo l’area commerciale per la promozione delle vendite internazionali, ma anche altre aree (finance, sales, inventory, operations planing ed altre).

Infatti, in materia tributaria, nel caso di deduzione di costi relativi a prestazioni di servizi, potendo gli stessi variare per qualità, modalità e quantità di anno in anno, deve essere escluso l’effetto vincolante del giudicato esterno intervenuto su altre annualità, il quale fa stato solo in relazione a quei fatti che, per legge, hanno efficacia tendenzialmente permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d’imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata (Cass., sez. 5, 13 dicembre 2018, n. 32254). Il giudicato tributario non può, infatti, estendersi a tutti i punti che costituiscono l’antecedente logico della decisione, e, in particolare, alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti (Cass., sez. 5, 28 maggio 2008, n. 13897). Non rileva, infatti, la circostanza che la seconda lite richieda accertamenti di fatto già compiuti nel corso della prima, in quanto l’efficacia oggettiva del giudicato non può mai investire singole questioni di fatto o di diritto (Cass., sez. 5, 30 dicembre 2009, n. 28042). Infatti, è evidente che le prestazioni rese dalla Honeywell Technologies alla contribuente sono state diverse di anno in anno, sicché non è possibile estendere il giudicato in ordine alla esatta individuazione dell’importo di deducibilità dei costi infra gruppo sostenuti.

4.2. Quanto al merito, una volta superata l’eccezione di giudicato esterno, va premesso che il fenomeno giuridico ed economico dei gruppi aziendali, operanti in collegamento nel territorio dello Stato, ha comportato il diffondersi di operazioni aziendali di tipo difensivo che, nate per la più conveniente allocazione dell’imponibile tra le società associate, sono spesso sfociate in vere e proprie operazioni elusive (Cass., 17955/2013), il che comporta una particolare rigore, in linea generale, nella valutazione delle operazioni intercompany che hanno destato anche l’attenzione dell’OCSE (Cass., 16480/2014).

Costituisce, infatti, principio giurisprudenziale consolidato quello per cui, in materia di costi c.d. infragruppo, ovvero laddove la società capofila di un gruppo di imprese decida di fornire servizi o curare direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo, ripartendone i costi tra di esse, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e ridurre i costi di gestione, l’onere della prova in ordine all’esistenza ed all’inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio, occorrendo, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia detraibile, che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata (Cass., 14 dicembre 2018, n. 32422; Cass., 23027/2015; Cass., 8808/2012; Cass., 11949/2012).

4.3. Da ciò consegue che la deducibilità dei costi derivanti da accordi contrattuali e sui servizi prestati dalla controllante (cost sharing agreements) è subordinata all’effettività ed inerenza della spesa in ordine all’attività di impresa esercitata dalla controllata ed al reale vantaggio che ne sia derivato a quest’ultima, non ritenendosi sufficiente l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi forniti dalla controllante alle controllate e la fatturazione dei corrispettivi (Cass., 18 luglio 2014, n. 16480), richiedendosi, al contrario, la specifica allegazione di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio (Cass., 16480/2014; Cass., 14016/1999; in relazione ai costi di regia cfr. Cass., 4 ottobre 2017, n. 23164).

4.4. Spetta, dunque, alla contribuente, secondo i criteri generali, fornire tutti gli elementi atti a supportare la deducibilità dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante, tra i quali l’effettiva utilità dei costi stessi per la controllata, anche se a quei costi non corrispondono direttamente ricavi in senso stretto (Cass., 5 dicembre 2018, n. 31405).

4.5. Peraltro, è stata ritenuta legittima la prassi amministrativa (C.M. n. 32/9/2267 del 22 settembre 1980) che, al di là della forfettizzazione percentuale dei costi di addebitati dalla capogruppo alle controllate, subordina la deducibilità dei costi derivanti da accordi contrattuali sui servizi prestati dalla controllante (cost sharing agreements) all’effettività e all’inerenza della spesa all’attività di impresa esercitata dalla controllata ed al reale vantaggio che deriva a quest’ultima (Cass., 23027/2015), senza che rilevino in proposito quelle esigenze di controllo della capogruppo, peculiari della sua funzione di shareholder (Cass., 18 luglio 2014, n. 16480).

4.6. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, e risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21184; Cass., 9466/2017).

4.7. Nella specie, non è contestato che la HTS abbia svolto servizi infragruppo in favore della contribuente, ma l’Agenzia si limita a contestare la valutazione di tali costi, ritenuta superiore al “valore normale” di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, che richiama il medesimo D.P.R., art. 9. L’Agenzia, quindi, su un ammontare globale di costi infragruppo di Euro 864.000,00 ne riconosce la deducibilità solo per Euro 115.553,23, recuperando a tassazione l’importo di Euro 748.446,77.

La Commissione regionale, però, anche in questo caso ha reso una motivazione convincente, valutando gli elementi istruttori, senza che sia evincibile l’omesso esame di un fatto decisivo.

In particolare, il giudice di appello ha ritenuto che i servizi resi dalla HTS in favore di HCC erano numerosi e di varia natura, sicché dovevano essere retribuiti in modo diverso rispetto ai servizi resi dalla Honeywell Italia s.p.a. in favore della HCC, limitati solo ed esclusivamente alla vendita dei prodotti in Italia.

La Commissione regionale chiarisce che i servii della HTS “non erano solo limitati all’area commerciale, ma si espandevano anche all’area finanziaria, di management, legale e di ricerca”. Tali servizi “si riferivano a molti settori operativi della società”. Pertanto, “l’addebito da parte di HTS è collegato al valore dei servizi ricevuti che risultano certi, inerenti e congrui”. Inoltre, si precisa che i costi sostenuti dalla Holding svizzera sono stati proporzionalmente suddivisi sul fatturato delle varie consociate e la loro correttezza è attestata dalla società di revisione Price Waterhouse Coopers”.

Non v’e’ stato, dunque, omesso esame di un fatto decisivo (il 3% pagato alla Honeywell Italia s.p.a.) proprio perché il giudice di appello ha evidenziato la differenza tra il servizio reso da questa, relativo solo alla vendita, e quelli resi dalla HTS, numerosi ed in ogni settore, non limitati all’area commerciale.

Inoltre, per questa Corte, la relazione della società di revisione dei bilanci delle società commerciali, una volta messa a disposizione dell’ufficio tributario e/o del giudice tributario, va considerata, in relazione ai profili di controllo pubblicistico ed alla responsabilità penale e civile del revisore, un documento incorporante enunciati – pur senza dar luogo ad una presunzione relativa della veridicità delle scritture – che possono essere privati della forza dimostrativa dei fatti attestati solo con una prova contraria che non può essere fornita attraverso meri indizi di non veridicità, ma con la produzione di documenti che siano idonei a dimostrare che, nel giudizio di revisione, il revisore sia incorso in errore o abbia realizzato un inadempimento (Cass., sez. 5, 26 febbraio 2010, n. 4737).

5. Il ricorso incidentale condizionato è assorbito.

5.1. Invero, in tema di giudizio di cassazione, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito, ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicché, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass., sez. un., 25 marzo 2013, n. 7381).

5.2. Il ricorso incidentale condizionato proposto dalla controricorrente, che va così qualificato, relativo alla decadenza dell’Amministrazione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, dal potere di accertamento, in quanto la prima quota di ammortamento dell’avviamento è stata iscritta in bilancio nel 2001, mentre l’avviso è stato emesso solo nel 2009, è inammissibile, in quanto la società era stata interamente vittoriosa nel giudizio di appello e sulla questione della decadenza della Amministrazione v’e’ stata, dunque, una pronuncia implicita di rigetto, avendo il giudice di appello trattato delle questioni di merito relative alla deducibilità dei costi infragruppo ed alla deducibilità in quote annuali del valore dell’avviamento derivante da disavanzo di fusione affrancato con il pagamento dell’imposta sostitutiva.

5. Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione dell’intervenuto duplice giudicato esterno.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

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