Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34394 del 23/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 23/12/2019), n.34394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5279-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

V.V., domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato LUIGI CINQUEMANI con studio in PALERMO VIA TERRASANTA

106 (EX ART. 135) giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 14/2012 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO,

depositata il 03/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2019 dal Consigliere Dott. MARCELLO MARIA FRACANZANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IMMACOLATA ZENO che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE BONIS che si riporta al

ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato CINQUEMANI che ha chiesto

l’inammissibilità in subordine rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il contribuente esercita l’attività di allevamento ovini e caprini nell’agrigentino ed era attinto da avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2000, notificatogli in data 3 luglio 2006 a seguito di pvc redatto dalla G.d.F. in data 22 marzo 2006 e ritualmente notificato al contribuente, ove i militari constatavano che nella dichiarazione dei redditi presentata non era stato esposto il reddito d’impresa maturato, donde procedevano alla relativa quantificazione con metodo induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. a), riferendosi a studi di settore sulla redditività di latte ed agnelli elaborato dalla stessa G.d.F., altro analogo studio di settore elaborato dal Consorzio provinciale allevatori ed altri ancora sviluppati da enti esponenziali di operatori del settore.

Le ragioni del contribuente respinte dal primo giudice trovavano invece apprezzamento in grado d’appello, con annullamento integrale dell’atto impositivo, donde ricorre l’Avvocatura generale dello Stato proponendo quattro motivi, cui replica con tempestivo controricorso il contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLE DECISIONE

1. Vengono proposti quattro motivi di ricorso:

1)violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la CTR avrebbe ritenuto viziato l’accertamento motivato per relationem al pvc non allegato, seppure la giurisprudenza della sezione sia attestata nel ritenere sufficiente la motivazione con riferimento ad altro atto nella disponibilità del contribuente, quale nel caso era il pvc, pacificamente notificato al contribuente, che però ne contesta l’incompletezza, in quanto a sua volta il pvc richiama atti che non sono allegati: ed è su tale profilo che argomenta la sentenza nel ritenere essenziale la necessità che siano nella disponibilità della parte contribuente tutti i documenti su cui si fonda l’accertamento.

2)Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1, 2 7, artt. 112,210,213 c.p.c., laddove la CTR avrebbe dovuto ordinare la produzione di documenti mancanti in atti e necessari al fine del decidere: riconosciutane la mancanza e la rilevanza non doveva limitarsi ad un non liquet, ma disporne l’acquisizione. L’integrazione documentale è invero possibile quando l’atto non sia radicalmente nullo per vizi formali o sostanziali, tale non potendosi ritenere quello che rinvia a pvc notificato, ma privo degli allegati cui a sua volta rinvia in motivazione.

3)Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver la CTR ritenuto che l’atto impositivo fosse fondato su indizi sprovvisti della sufficiente gravità, precisione e concordanza. All’opposto è pacifico in atti che il contribuente non abbia presentato la dichiarazione del reddito di impresa per l’anno d’imposta in questione, donde scatta la ricostruzione induttiva ex art. 39, comma 2, lett. a), per cui valgono anche le presunzioni c.d. “supersemplici”.

4)Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per violazione D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1, 2 e 7 e art. 112 c.p.c.: nel processo tributario vertendo il giudizio sul rapporto e non sull’atto (natura soggettiva e non oggettiva), la CTR avrebbe dovuto statuire una quantificazione e non una limitarsi all’annullamento. Il motivo è strettamente connesso al n. 2, relativo all’obbligo di acquisire la documentazione ritenuta necessaria al fine del decidere. Sussistendo nel caso in esame il dovere di integrare una produzione documentale non affetta da nullità (tale essendo l’accertamento motivato su documenti non integralmente in possesso del contribuente), ne consegue che la CTR era tenuta a procedere a riliquidazione di un accertamento ritenuto e dichiarato nullo.

2. La sentenza presenta due autonome rationes decidendi: a) difetto di motivazione dell’avviso; b) difetto di prova della pretesa (mancata produzione in giudizio degli allegati), di talchè il rigetto dei motivi che riguardano la seconda, rende ultroneo l’esame dei motivi che attengono la prima.

3. In ossequio al principio della ragione più liquida, dev’essere esaminato preliminarmente il secondo motivo, la cui soluzione innerva anche gli altri. motivi.

Nella sostanza, l’Avvocatura generale dello Stato lamenta non sia stata disposta dal giudice di secondo grado l’acquisizione del pvc, ritualmente notificato al contribuente, che nessuna delle parti aveva prodotto in alcuno dei gradi di merito. La doglianza in oggetto è funzionale a quelle che precedono e seguono, posto che lo scrutinio in processo di quel documento avrebbe consentito quelle operazioni di verifica e di rimodulazione della pretesa tributaria la cui assenza viene criticata da parte ricorrente. In altri termini, si tratta di una censura-mezzo, attinente ai profili istruttori del processo, e funzionale alle censure-fine che riguardano il merito, cioè la ripresa a tassazione.

La questione richiede un approfondimento sulle peculiarità dell’istruttoria nel processo tributario, retta dal principio dispositivo-acquisitivo e sui conseguenti poteri officiosi del giudice.

3.1. Dall’asimmetria nella posizione delle parti, il contenzioso tributario -specie nel testo originario di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3 – ha importato i principi probatori elaborati per il processo amministrativo. La presenza processuale di una parte pubblica, autrice e custode degli atti principali che disciplinano il rapporto Stato – contribuente, e di una parte privata (spesso, ma non sempre) meno strutturata, comunque sfornita di poteri autoritativi ed incapace di produrre atti dotati di esecutorietà, è sembrata richiedere una funzione di, riequilibrio della parità delle parti. Questa funzione rettificatrice a garanzia e presidio del contraddittorio, cioè della condizione stessa perchè si possa parlare di processo -anche dopo la soppressione dell’art. 7, comma 3, e quindi in un’ottica di maggior avvicinamento al processo civile ordinario- è logicamente e fisiologicamente affidata al giudice che, proprio in ragione della peculiarità delle parti, è chiamato ad adottare provvedimenti per riequilibrare il rapporto processuale, avendo come assi cartesiani in quest’operazione la posizione di partenza di ciascuna parte (pubblica o privata, fisica o giuridica, strutturata o meno) e l’oggetto del giudizio espresso nei limiti della domanda.

3.2. Questa funzione di riequilibrio e garanzia del contraddittorio si esplica principalmente intervenendo nella fase istruttoria, dove alla parte privata può essere chiesta non la produzione della prova, allorquando esuli dalla propria disponibilità, ma solo il principio di prova, cioè l’indicazione del mezzo, la cui acquisizione resta rimessa alla valutazione del giudice, secondo un sistema che è detto, appunto, misto dispositivo – acquisitivo. Nell’esercitare questo potere il giudice è tenuto a prendere in considerazione per prima cosa la natura del processo tributario, mista oggettiva e soggettiva. La cognizione, infatti, riguarda l’atto impositivo (e gli atti a questo presupposti), nonchè gli altri atti comunque immediatamente lesivi, considerati sia per vizi procedimentali, sia per violazioni di norma o per travisamento dei fatti che integrano la falsa rappresentazione della realtà; ma riguarda altresì il rapporto fra contribuente ed amministrazione finanziaria, in un legame di diritto/dovere, secondo posizioni giuridiche soggettive piene e non affievolite. Sicchè, in ragione di quanto viene chiesto al giudice, di chi lo chiede e del perchè lo chiede, la commissione tributaria è tenuta a svolgere una delibazione sull’esercizio del potere acquisitivo in deroga al principio dispositivo, all’intervento in soccorso istruttorio a garanzia del contraddittorio.

3.3. Proprio perchè si tratta di un potere del giudice (talvolta definito impropriamente facoltà), che incide -come detto-sull’elemento essenziale del processo qual è il contraddittorio, il suo esercizio vuole -specie quando espressamente richiesto- una motivazione che rappresenti la ponderazione delle diverse ragioni che hanno condotto a disporre o a non disporre l’acquisizione documentale, tenendo presente che in ogni caso il potere officioso è sempre deroga al principio generale dispositivo, sicchè vanno individuate le circostanze di squilibrio del contraddittorio cui si è voluto porre rimedio, valutando anche la congruità del rimedio approntato in ragione dell’esigenza individuata.

3.4. La giurisprudenza di questa Corte si è già espressa in passato in questi termini, ricordando specificamente come in tema di contenzioso tributario l’acquisizione d’ufficio dei documenti necessari per la decisione costituisce una facoltà discrezionale, attribuita alle commissioni tributarie D.Lgs. n. 546 del 1992 cit., ex art. 7, il cui esercizio peraltro non può sopperire al mancato assolvimento dell’onere della prova, che grava sull’amministrazione finanziaria quale attrice in senso sostanziale, trasferendosi a carico del contribuente soltanto quando l’Ufficio abbia fornito indizi sufficienti per affermare la sussistenza dell’obbligazione tributaria. Tuttavia, quando la situazione probatoria sia tale da impedire la pronuncia ragionevolmente motivata senza l’acquisizione d’ufficio di un documento, l’esercizio di tale potere si configura come un dovere, il cui mancato assolvimento dev’essere compiutamente motivato (cfr., in termini, Cass. V, n. 905/2006, n. 725/2010, n. 25769/2014).

3.5. Alla luce dei precedenti appena richiamati, può essere confermato l’orientamento per cui in tema di soccorso istruttorio nel processo tributario, il potere di acquisizione documentale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, è funzionale al riequilibrio delle parti processuali nella tutela del contraddittorio; ne consegue che l’istituto non può sopperire a carenze o inattività delle parti e che -entro questi termini-detto potere si esercita con valutazione di opportunità del giudice di merito che, ove adeguatamente motivata, non è soggetta a scrutinio di legittimità (Cass. V. n. 905/2006 e n. 19593/2006).

4. Nel caso di specie, con apprezzamento di merito sostenuto da motivazione non sindacabile in questa sede, la commissione territoriale ha.ritenuto che le parti -pur nella disponibilità dei documenti de quibus necessari al fine del decidere- non li abbiano prodotti, non assolvendo quindi ad un onere dispositivo che sulle parti sostanziali e processuali grava. Legittimamente quindi la CTR ha giudicato fusta alligata et probata, sicchè non può trovare accoglimento la censura di mancato esercizio di un suo potere di cui ha motivatamente ritenuto non dover fare esercizio.

Il secondo motivo è quindi infondato e dev’essere rigettato.

Lo stesso può dirsi del quarto, che ne è consequenziale sviluppo, laddove afferma che la CTR -sul presupposto di dover acquisire il pvc completo- avrebbe dovuto rimodulare la pretesa tributaria, invece di annullare integralmente l’avviso di accertamento.

5. Il rigetto del secondo e quarto motivo (sulla asserita illegittimità della mancata acquisizione del pvc) rende infondato in radice il terzo motivo, con il quale si deduce la gravità, precisione e concordanza degli indizi desumibili dal pcv non prodotto (nè acquisito) in giudizio.

6. Il rigetto dei motivi secondo, terzo e quarto, mantenendo intatta la seconda autonoma ratio decidendi (sul difetto di prova della pretesa fiscale), rende ultroneo l’esame del primo motivo attinente alla prima ratio decidendi (sul difetto di motivazione dell’avviso), ancorchè anch’essa idonea a sorreggere la decisione.

In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna alla rifusione delle spese del grado di giudizio a favore della parte contribuente che liquida in Euro quattromilacento/00, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15%, iva e cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2019

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