Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34390 del 23/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 23/12/2019), n.34390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

ricorso 13805-2012 proposto da:

AXA MPS ASSICURAZIONI VITA SPA, persona del Presidente del Consiglio

di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA GIOVANNI PAISIELLO 15, presso

lo studio dell’avvocato GRAZIANO BRUGNOLI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GUGLIELMO FRANSONI, PASQUALE RUSSO,

gusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 255/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 11/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/07/2019 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi per il ricorrente gli Avvocati BRUGNOLI e FRANSONI che hanno

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con avviso di accertamento n. (OMISSIS) l’Agenzia delle Entrate rettificava il reddito imponibile per l’anno 2002 della società Axa Assicurazioni Vita spa (già Montepaschi Vita spa), recuperando a tassazione una minusvalenza, che la società aveva dedotto, relativa al trasferimento di comparto del bilancio di alcuni titoli obbligazionari – dall’attivo non durevole all’attivo durevole – ed applicando le relative sanzioni.

La società impugnava l’avviso davanti alla CTP di Roma che accoglieva in parte il ricorso, con riferimento alla erronea quantificazione della pretesa fiscale ed alla non debenza delle sanzioni.

La società appellava tale sentenza e l’ufficio si costituiva davanti alla CTR del Lazio con controdeduzioni e appello incidentale in cui impugnava a sua volta la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto non dovute le sanzioni.

La CTR del Lazio rigettava l’appello principale, mentre accoglieva l’appello incidentale dell’ufficio sulle sanzioni.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre a questa Corte la società sulla base di tre motivi.

Si costituisce l’ufficio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 54, in combinato disposto con l’art. 23 del decreto cit.; il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’appello incidentale, sulla base del cui accoglimento la CTR ha ripristinato le sanzioni, era tardivo perchè proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’appello principale. Quest’ultimo, infatti, è stato notificato il 14.4.2010, mentre le controdeduzioni sono state depositate il 21.6.2010.

Il motivo è fondato.

Va ricordato, preliminarmente, che secondo il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 54

1. Le parti diverse dall’appellante debbono costituirsi nei modi e termini di cui all’art. 23, depositando apposito atto di controdeduzioni.

2. Nello stesso atto depositato nei modi e termini di cui al precedente comma può essere proposto, a pena d’inammissibilità, appello incidentale.

L’art. 23, cui fa riferimento l’art. 54 cit., comma 1, prevede che il resistente si debba costituire in giudizio nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell’appello.

Sul punto, questa Corte (sez. V, n. 17953 del 2012) ha affermato che

anche la parte appellata può costituirsi in giudizio – e in tal modo proporre appello incidentale – depositando l’atto di controdeduzioni o trasmettendolo in plico raccomandato. Se tanto è, non può condividersi la conclusione dell’impugnata sentenza secondo la quale, ai fini della tempestività della costituzione (e del conseguente appello incidentale), andrebbe fatto comunque riferimento alla data di ricezione del plico da parte della segreteria del giudice ad quem.

In sostanza, secondo il principio espresso da tale decisione, l’appellato si può costituire o depositando direttamente le controdeduzioni (contenenti il ricorso incidentale) in cancelleria, o spedendole per posta; in quest’ultimo caso, però, per stabilire la tempestività della costituzione occorre fare riferimento alla data di spedizione dell’atto, e non a quella di arrivo in cancelleria.

Orbene, dagli atti – necessariamente consultati per risolvere la questione processuale emerge che la notifica del’appello è stata effettuata il 14.4.2010 e l’ufficio la ha ricevuta in data 15.4.2010, come da esso stesso affermato nell’intestazione dell’atto contenente le controdeduzioni e l’appello incidentale (doc. 8 del fascicolo del ricorrente), mentre quest’ultimo atto (le controdeduzioni e l’appello incidentale) riporta un timbro di deposito della cancelleria della CTR del 21.6.2010 (fascicolo del ricorrente, doc. 8). In mancanza di altri elementi, non si può che ritenere che l’atto di controdeduzioni sia stato depositato in cancelleria quello stesso giorno. Nè l’ufficio, nel controricorso della presente controversia, ha replicato in alcun modo all’eccezione, prospettando uno diverso svolgimento dei fatti processuali.

Non essendo, come detto, contestato che la notifica dell’appello sia avvenuta il 14.4.2010 e sia stata ricevuta il 15.4.2010, l’appello incidentale deve ritenersi tardivo.

Va anche aggiunto che, in conformità a quanto affermato da questa Corte a sezioni unite, (Sez. Un., n. 16979 del 2019), non è determinante il fatto che la questione fosse stata già sollevata o meno davanti alla CTR in sede di giudizio di appello, in quanto essa può essere dedotta per la prima volta anche in sede di legittimità; le Sezioni Unite hanno, infatti, affermato che

La mancata prospettazione, nel giudizio di secondo grado, della questione della tempestività o meno dell’appello incidentale, non determina una preclusione processuale nella deduzione della stessa con il ricorso per cassazione, potendo essere eccepita o rilevata d’ufficio per la prima volta anche in sede di legittimità.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata sul punto.

Tuttavia, trattandosi di questione che non richiede l’esame di ulteriori questioni di fatto, non è necessario alcun rinvio, ma l’appello incidentale può essere dichiarato inammissibile, perchè tardivo, in questa sede.

Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 5 e 6, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8; il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Fermo il primo motivo di ricorso, la CTR ha comunque errato nel ravvisare i presupposti per l’applicabilità delle sanzioni.

Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo, atteso che la declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale determina il conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado laddove aveva annullato le sanzioni, per cui la questione dei presupposti di applicabilità delle stesse è ormai superata in questa sede.

Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 52, vigente ratione temporis, in combinato disposto con l’art. 66 del tuir cit., il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha errato sulla contabilizzazione della minusvalenza in questione.

Il motivo è dedotto in maniera inammissibile per difetto di autosufficienza.

Lo stesso, infatti, non esplicita in maniera chiara il vizio della sentenza impugnata.

Si comprende solo che il ricorrente si duole dell’interpretazione data dalla CTR della situazione posta in essere dalla società, ed in particolare della possibilità di mutamento di iscrizione contabile di titoli in corso di anno (dal comparto “magazzino circolante” a “immobilizzo materiale”) in base a disposizioni imperative emanate dall’organo di sorveglianza e controllo, nonchè delle conseguenze fiscali di tale operazione, ed in particolare della possibilità di tenere conto della minusvalenza derivante dalla svalutazione conseguente a tale trasferimento.

In cosa, però, consista l’asserita erronea interpretazione della CTR e quale sia, quindi, esattamente l’asserito vizio della sentenza impugnata rispetto alla fattispecie concreta sono elementi che non emergono con la dovuta chiarezza dalla lettura del ricorso, non potendosi considerare acquisiti elementi di fatto che, invece, dovevano essere esposti, così come testualmente prevede l’art. 366 c.p.c. (Sez. Un. 11826 del 2013; Sez. Un. 2276 del 2008).

Peraltro, anche senza volersi fermare a questo dato formale, se la questione riguarda le conseguenze fiscali del trasferimento infrannuale di titoli tra comparti del bilancio, e quindi il valore da assumere per i titoli trasferiti a seguito di questa operazione, preliminarmente si è riconosciuto in coeva decisione “inter partes” (sez. V n. 20345 del 2019), emessa in tema di irap ma qui ricordata per il principio generale, ai fini della presente controversia, che “in caso di variazione del collocamento in bilancio di titoli, prima appostati tra le immobilizzazioni materiali (durevoli) ed in seguito nell’ambito del capitale circolante (non durevole), è necessaria, ai fini della deduzione della minusvalenza, l’esposizione, anche nella nota integrativa, delle ragioni, diverse da mere politiche di bilancio finalizzate ai risultati di esercizio, del detto mutamento; pertanto in assenza di detta giustificazione non è possibile dedurre le minusvalenze derivanti dai predetti titoli”.

Una comunicazione Consob del 15 febbraio 1995, confermata, oltre che dalla Comunicazione del 15 giugno 2001, anche dalla Banca d’Italia per gli operatori non quotati dalle note del 28 febbraio 1995 e del 27 dicembre 1999, afferma che: “Si ritiene inoltre che, in un quadro caratterizzato dagli adempimenti precedentemente individuati, il valore di trasferimento dei titoli da un comparto all’altro del portafoglio possa coincidere con il valore di libro alla data dell’operazione, determinato secondo i criteri della classe di provenienza. Ai titoli trasferiti, ancora presenti in portafoglio a fine esercizio, andranno poi applicate le regole valutative proprie della classe di destinazione”. Il testo evidenzia così che la valutazione deve essere compiuta a fine esercizio.

In dottrina, si è affermato che dal punto di vista delle imposte sui redditi, il valore di libro determinato secondo i criteri della classe di provenienza, che abbia in tale misura assunto rilevanza fiscale, assume tale rilevanza anche per i titoli riclassificati come “immobilizzazioni finanziarie”, costituendo il valore fiscalmente riconosciuto degli stessi, ed è stato sostenuto che “il valore fiscale dei titoli non cambia: i titoli trasferiti dall’attivo circolante a quello immobilizzato si portano appresso il loro valore fiscale, in base al principio che detto trasferimento di titoli non può essere qualificato come una cessione, ma come un semplice passaggio interno da un comparto ad un altro comparto”.

Ma si afferma anche che gli eventuali titoli pluriennali “riclassificati” saranno poi valutati a fine esercizio secondo i criteri prescritti dal D.Lgs. n. 87 del 1992, art. 18 (facoltà di svalutazione), per cui il valore di libro costituirà il parametro di riferimento con cui confrontare il valore determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo semestre, ai fini della determinazione delle minusvalenze da valutazione deducibili.

Da tutto ciò si deduce che tali valutazioni sono possibili appunto solo a fine esercizio, come affermato – seppure sinteticamente – dalla CTR, e come implicitamente affermato anche dalla dottrina, che, seppur riconosciuto il fatto che i titoli possono essere destinati sia ad un utilizzo durevole sia ad un utilizzo non durevole (con le classificazioni di bilancio che ne derivano), afferma che i titoli iscritti nell’attivo circolante alla fine di un esercizio possono, in presenza di una variazione apportata ai programmi di gestione che investono i titoli oggetto di classificazione, essere trasferiti tra le immobilizzazioni (e viceversa) alla fine dell’esercizio successivo.

Ma tutti questi temi e la correlazione con la fattispecie concreta non sono di immediata percezione dalla lettura del motivo, per cui il giudice di legittimità finisce con l’essere obbligato, al fine di identificare i termini della questione, ad un’opera di selezione e supposizione che la legge processuale non gli affida per l’inevitabile soggettività che ne consegue.

Oltretutto, va anche considerato che è vero che, secondo il principio contabile vigente all’epoca su “titoli e partecipazioni”, quello del settembre 1996, confermato in questa parte dall’OIC-20 del 2005 “In circostanze presumibilmente rare, i titoli possono essere oggetto, durante il periodo di possesso da parte dell’impresa, di una destinazione economica diversa rispetto a quella originariamente loro attribuita dall’organo amministrativo; nel senso che un titolo, inizialmente iscritto nel bilancio tra le attività finanziarie non immobilizzate, in un esercizio successivo può essere successivamente destinato a un investimento durevole e quindi riclassificato tra le immobilizzazioni finanziarie; oppure, al contrario, un titolo in precedenza classificato tra le immobilizzazioni finanziarie viene iscritto tra le attività finanziarie non immobilizzate”. Tuttavia, lo stesso principio precisa che “il trasferimento non può in ogni caso essere giustificato da politiche di bilancio finalizzate ad obiettivi legati al risultato d’esercizio o dall’andamento del mercato”. E sul punto il ricorso non contiene alcun chiarimento, se non l’esposizione del fatto, meramente affermato, che il trasferimento era stato richiesto dall’organo interno di vigilanza, quando i motivi avrebbero dovuto essere esposti chiaramente nella nota integrativa e, se ciò è stato fatto, in questa sede non ne è stato dato conto, come sarebbe stato necessario per l’inquadramento dei presupposti fattuali della questione, comunque rilevanti anche in sede di giudizio di legittimità.

Per questi motivi si ritiene che sussistano gli elementi per dover dichiarare inammissibile il motivo per difetto di specificità ed autosufficienza.

In particolare, quest’ultimo requisito non ha una funzione solo logistica, ma rimarca il divieto di accesso agli atti istruttori, quale limite all’ambito di cognizione della Corte di Cassazione.

In considerazione della reciproca soccombenza e della particolarità delle questioni, si ritiene che sussistano giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di appello e del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo ed inammissibile il terzo.

Cassa senza rinvio la sentenza impugnata nella parte relativa all’appello incidentale dell’ufficio, che dichiara inammissibile.

Compensa tra le parti le spese del giudizio di appello e di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2019

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