Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3439 del 03/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 03/02/2022, (ud. 16/09/2021, dep. 03/02/2022), n.3439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4317-2020 proposto da:

A.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALFREDO

FUSCO 104, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CAIAFA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona dei Curatori pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso

lo studio dell’avvocato ALDO CAPUANO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO CAIAFA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 51/2020 del TRIBUNALE di BRINDISI, depositata

il 13/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI

MARZIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – A.F. ricorre per due mezzi, illustrati da memoria, nei confronti del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., contro la sentenza con cui il Tribunale di Brindisi, che tale l’ha qualificata, ha respinto la sua opposizione al diniego di ammissione al passivo del fallimento di un suo credito di Euro 1.500.000 a titolo di finanziamento fruttifero in favore della società poi fallita.

2. – Non svolge difese il Fallimento intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. – Il primo mezzo denuncia illegittimità del provvedimento, erroneamente qualificato sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, con riferimento agli artt. 1813 e 2467 c.c., comma 2.

Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, in relazione all’art. 2467 c.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ritenuto che:

4. – Il ricorso è inammissibile.

Difatti i due motivi, che per il loro collegamento possono essere simultaneamente esaminati, sono inammissibili.

Essi ruotano sull’assunto secondo cui, a fronte della domanda attrice, che aveva posto a fondamento della pretesa spiegata l’effettuazione di un finanziamento fruttifero, e cioè in sostanza di un mutuo feneratizio, in favore della società poi fallita, il Fallimento aveva replicato trattarsi di finanziamento proveniente da un socio, come tale sottoposto alla disciplina di cui all’art. 2467 c.c., e cioè postergato, di guisa che lo stesso Fallimento si sarebbe onerato della prova della sussistenza dei requisiti di cui alla disposizione, comma 2, tali da comportare la postergazione del credito.

E, però, è per un verso agevole osservare che il Fallimento si era opposto alla domanda della A. “sia perché la somma di Euro 1.500.000,00 era qualificabile come finanziamento del socio e, come tale, il relativo rimborso era postergato rispetto agli altri crediti, sia perché la domanda era basata esclusivamente sull’esistenza del contratto di mutuo, del quale non era stata fornita alcuna prova” (così nello “svolgimento del processo” della decisione impugnata), ossia anche semplicemente deducendo il difetto di prova del fatto costitutivo, e, per altro verso, è decisivo sottolineare che il tema della qualificazione della corresponsione della somma in termini di finanziamento socio è totalmente estranea alla ratio decidendi posta dal Tribunale a base della decisione di rigetto del ricorso.

Difatti, il provvedimento impugnato ha osservato che il giudice delegato, nel corso dell’udienza di verifica dello stato passivo, aveva escluso l’ammissione del credito sul presupposto che mancasse la prova dell’assunzione dell’obbligazione di restituzione a carico della società, ed ha aggiunto che “questo è esattamente il thema decidendum del presente giudizio di opposizione, dal momento che è pacifico che, ex art. 1813 c.p.c., la parte che chiede la restituzione di somme date ai mutuo è sempre tenuta a provare il titolo dal quale deriva l’obbligo di controparte alla restituzione… La A. non ha tuttavia minimamente provato, sia pure in presenza della precisa contestazione spiegata da controparte, il titolo che legittimerebbe la restituzione della somma stessa… E ciò tanto più che, se tale obbligo è istituto fosse effettivamente sussistente, dovrebbe necessariamente rivestire le forme di una delibera assunta in conformità allo statuto societario, o comunque di un’altra idonea documentazione”.

Ovvio, dunque, che non vi sia alcuno spazio per predicare la violazione dell’art. 2697 c.c., la quale si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2020, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949), il che non è nella specie è accaduto, visto che la attrice aveva posto a fondamento della domanda la stipulazione di un contratto di mutuo, onerandosi della relativa prova, ed il giudice ha constatato che la prova non era stata data.

6. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 13.200,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022

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