Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34371 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/11/2021, (ud. 30/09/2021, dep. 15/11/2021), n.34371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16364/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente-

contro

S.M., rappresentato e difeso nel giudizio di merito dal Rag.

Floris Luciano, con studio in Latina, piazza L. Nervi, n. 164;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

Sezione staccata di Latina, n. 2934/39/14 depositata l’8 maggio

2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 settembre

2021 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

sulla base delle risultanze di un processo verbale redatto da propri impiegati, l’Agenzia delle entrate notificò a S.M., titolare di un’impresa individuale esercente l’attività di “rosticcerie, friggitorie, pizzerie a taglio con somministrazione”, un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2005, con il quale accertò maggiori ricavi derivanti, tra l’altro, dalla cessione di pizze per Euro 50.412,00, e, di conseguenza, un reddito d’impresa di Euro 67.952,00, a fronte di un reddito dichiarato di Euro 15.997,00;

secondo quanto risulta dal menzionato processo verbale – come in parte trascritto dalla ricorrente nella seconda pagina del ricorso – i ricavi derivanti dalla cessione di pizze furono determinati con il seguente metodo: “attraverso l’esame delle fature passive, si è determinato il numero totale di bocce (panetti di pasta surgelata per la preparazione della pizza) acquistate, dalle quali sono state sottratte n. 600 bocce (mediamente 50 bocce mensili) che la parte dichiara di non utlizzare in quanto dopo la lievitazione risulta non adatta alla lavorazione. Determinato il numero medio di pizze per boccia, i verbalizzanti hanno altresì riconosciuto n. 8040 pezzi per sfrido (quantità di pizza rimasta invenduta e dichiarata dalla parte) e n. 4380 (…) pezzi per autoconsumo (due pezzi al giorno per ogni dipendente titolare). Considerato che il prezzo medio di vendita di una porzione di pizza, desunto dal listino prezzi fornito dal contribuente, è pari ad Euro 1,20, si determina un corrispettvo totale di Euro 276.936,00”;

S.M. impugnò l’avviso di accertamento davanti alla Commissione tributaria provinciale di Latina (hinc anche: “CTP”), che accolse il ricorso del contribuente;

avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale del Lazio, Sezione staccata di Latina (hinc anche: “CTR”), che lo rigettò con la motivazione che “(i)l Collegio, esaminati gli atti e sentite le parti, non ritiene condivisibili le argomentazioni addotte a sostegno dell’appello; la sentenza impugnata infatti non merita alcuna censura; in particolare, si condivide quanto affermato dai primi giudici sul punto centrale della questione in esame, ovvero quanto in sintesi di seguito riportato. L’Ufficio, per la determinazione del numero delle pizze sulla base dei quantitativi di prodotti acquistati, ha operato presumendo erroneamente che da ogni boccia impiegata (acquistate in n. di 31.000) siano scaturite mediamente otto pizze. Ebbene, a parere del Collegio: “La quantità presunta in base al peso deriva da una presunzione che non può prevalere. Va chiarito che, sulla base di una giurisprudenza ormai consolidata in materia, le presunzioni semplici (quantità per porzione) non possono consistere nel risultato possibile di una arbitraria presunzione, ma devono essere la conseguenza emergente da un procedimento logico-dimostrativo fondato su fatti noti. Nella fattispecie, invece, non sembra che la determinazione del numero delle porzioni e/o quantità per porzione “fatto noto” abbia la caratteristica della certezza. D’altro canto, la determinazione extra contabile, anche se sufficientemente probabile, può essere smentita dimostrando che quegli stessi indizi, di cui si è servito l’ufficio, possono essere spiegati in altro modo e anche con maggiore attendibilità. In conclusione, tenuto conto di quanto sostenuto dal ricorrente, ritenuto che in base ai quantitativi di merce acquistati il numero delle pizze e dei pasti accertati dall’ufficio appare eccessivo, e che per l’accertamento induttivo è stata usata una procedura di presunzioni basata su altre presunzioni e non su dati certi, e cioè sul calcolo della media aritmetica ponderata che avrebbe dato n. 167.200, che, moltiplicato per il prezzo di vendita di Euro 1,20, avrebbe dato un totale di Euro 185.736,00 in luogo di quello calcolato dall’ufficio, il ricorso è meritevole di essere accolto”. Pertanto, tutto ciò premesso e considerato, la Commissione ritiene, per le stesse ragioni dei primi giudici, di dover rigettare l’appello dell’ufficio”;

avverso tale decisione – depositata in segreteria l’8 maggio 2014 – ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 23 giugno 2015, a tre motivi;

S.M. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, (comma 2), nn. 3) e 4), e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per essere la sentenza impugnata motivata in modo solo apparente, inidoneo a rivelare la ratio decidendi, atteso che essa: “manca (..) della benché minima esposizione dell’oggetto del giudizio, dei termini della controversia e, infine, delle censure svolte dall’Ufficio appellante”; “si limita a riproporre, in forma virgolettata, il testo della motivazione della sentenza di primo grado, che i giudici regionali riprendono tali e quali, senza chiarire od esprimere nemmeno sinteticamente le ragioni della propria adesione, sia quanto all’inquadramento della metodologia accertativa seguita dall’ufficio che quanto a valutazioni più specifiche come la necessità del ricorso alla “media aritmetica ponderata”, che risulta pertanto del tutto incomprensibile”; manca della “esposizione dei termini di fatto e di diritto della controversia”;

con il secondo motivo, la ricorrente, in via subordinata, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, e degli artt. 2697 e 2729 c.c., per avere la CTR affermato l'”arbitrari(età)” del ragionamento presuntivo dell’Ufficio, negato che esso si fondasse “su fatti noti” e asserito che “e’ stata usata una procedura di presunzioni basata su altre presunzioni e non su dati certi, e cioè sul calcolo della media aritmetica”, atteso che – posto che l’Ufficio “si è (…) limitato a rilevare dai documenti relativi agli acquisti, esibiti dalla parte l’ammontare di materie prime disponibili, per poi applicarvi i prezzi di listino forniti dalla stessa contribuente in occasione del successivo colloquio in data 5/12/2008”, che, come risulta dal verbale di tale colloquio, il contribuente rispondeva alla domanda dei verbalizzanti che “”attualmente si ottengono (da una boccia) 8 pz per la ‘pizza calda, 6 per la ‘pizza freddà” e che “(q)uesto dato veniva utlizzato nel calcolo dei verbalizzati come “numero medio di pezzi per boccia = n. 8″, a cui venivano applicati i prezzi di listino, così ottenendo il totale dei ricavi presunti”- era “agevole rilevare che l’accertamento impugnato traeva le mosse da fatti del tutto noti, perché rilevati documentalmente o dalle stesse dichiarazioni della parte interessata, rispetto ai quali era compito del giudice verificare la tenuta logica e il nesso di conseguenzialità secondo ild quod plerumque accidit, al fine di vagliare la legittimità dei risultati ottenuti dall’Ufficio nel ricalcolare i ricavi”;

con il terzo motivo, la ricorrente, in via ulteriormente subordinata, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, per avere la CTR annullato integralmente l’impugnato avviso di accertamento, mentre avrebbe dovuto accertatare e quantificare, entro i limiti posti dal petitum delle parti, la corretta entità della pretesa tributaria;

il primo motivo è fondato;

le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232);

con riguardo, in particolare, alla sentenza pronunciata in grado di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado impugnata, e con specifico riferimento al processo tributario, questa Corte ha altresì affermato che “e’ nulla, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame” (Cass., 05/10/2018, n. 24452; nello stesso senso, Cass., 26/06/2017, n. 15884, 11/06/2014, n. 13148, 16/12/2013, n. 28113, 24/01/2007, n. 1573);

l’impugnata sentenza della CTR rientra in modo paradigmatico in tale grave anomalia argomentativa, concretizzando, perciò, un caso di motivazione apparente, chiaramente al di sotto del “minimo costituzionale” (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054);

essa, infatti – senza neppure esporre il ragionamento presuntivo operato dall’Ufficio e i fatti posti a fondamento dello stesso, nonché i motivi dell’appello dell’Agenzia delle entrate – si è limitata a trascrivere la motivazione della sentenza di primo grado e ad affermare di aderire a essa, rendendo così impossibile comprendere sia il thema decidendum sia le ragioni poste a fondamento della decisione, non potendosi ritenere che la predetta adesione alla motivazione della sentenza di primo grado sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dei motivi di impugnazione;

da ciò consegue la fondatezza del motivo;

l’esame del secondo e del terzo motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo;

pertanto, il primo motivo deve essere accolto, assorbiti il secondo e il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale del Lazio, Sezione staccata di Latina, in diversa composizione, perché provveda, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, Sezione staccata di Latina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

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