Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34370 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/11/2021, (ud. 30/09/2021, dep. 15/11/2021), n.34370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16525/2015 R.G. proposto da:

B.A.M., con l’avv. D’Arrigo Domenico ed elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’avv. Ramadori Paola, in Roma via

M. Prestinari n. 13;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Lombardia, Sez. distaccata di Brescia, n. 7289/67/2014 pronunciata

il 10 novembre 2014 e depositata il 30 dicembre 2014, non notificata

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 settembre

2021 dal Cons. Fracanzani Marcello M..

 

Fatto

RILEVATO

1. Il contribuente, proprietario di un immobile concesso in locazione, era attinto da un avviso di accertamento emesso dall’Ufficio ai fini Irpef, oltre addizionali e sanzioni, per maggiori redditi percepiti a titolo di canoni in relazione all’anno d’imposta 2007.

2. Il contribuente presentava pertanto istanza di autotutela che veniva parzialmente accolta dall’Ufficio, che rideterminava il reddito imponibile accertato in diminuzione da Euro 110.697,00 ad Euro 106.308,00 con consequenziale riduzione del debito erariale a titolo di Irpef e connesse sanzioni.

3.1 due giudizi di merito erano favorevoli all’Ufficio, con conseguente conferma della legittimità dell’atto impositivo accertato.

4. Ricorre per la cassazione della sentenza il contribuente che svolge due motivi di ricorso, cui resiste l’Amministrazione finanziaria con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1.Con il primo motivo il ricorrente avanza censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 1,6,25,26 e 36 in relazione agli artt. 2697 e 2702 c.p.c..

1.1 In buona sostanza lamenta che la CTR avrebbe errato nel ritenere sussistenti i maggiori redditi percepiti a titolo di canoni di locazione mediante la realizzazione di opere in natura. Precisa che le opere eseguite dalla conduttrice non erano destinate a costituire un reddito in natura, cioè sostitutive dei canoni, non essendo dette opere funzionali all’uso pattuito dell’immobile. Richiama a tal fine alcune clausole del contratto da cui risulterebbe un accordo tra le parti per cui, nel periodo d’imposta oggetto di accertamento, le parti avevano convenuto dei canoni ridotti. Soggiunge che era altresì previso l’obbligo contrattuale per la conduttrice di restituire l’immobile nello status quo ante.

2.Con la seconda doglianza la parte ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1 Critica la sentenza nella parte in cui avrebbe omesso di esaminare le clausole del contratto di locazione dalle quali risulterebbe che le opere eseguite dalla conduttrice non potevano dirsi necessarie per l’uso contrattualmente previsto dell’immobile, non essendo quest’ultimo in uno stato al grezzo bensì già agibile. Afferma che, peraltro, dette opere non potevano costituire nemmeno delle migliorie né la loro realizzazione poteva essere stata concordata in sostituzione della corresponsione dei canoni, essendo previsto a carico della conduttrice l’obbligo contrattuale di restituire l’immobile nello stesso stato in cui le era stato consegnato.

3. I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro connessione oggettiva, sono inammissibili.

3.1 In tema di interpretazione contrattuale questa Corte ha affermato il principio per cui “la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, trovando, peraltro, qui applicazione il testo del n. 5 dell’art. 360, c.p.c., siccome restrittivamente riscritto con la novella apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito. In quanto, “L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili (il secondo, ovviamente, sotto il regime del vecchio testo dell’art. 360, c.p.c., n. 5), il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579. 16.3.04 n. 5359, 19.1.04n. 753)” (Sez. 2, n. 18587, 29/10/2012; si veda anche, per la ricchezza di richiami, Sez. 6-3, n. 2988, 7/2/2013)” (Cfr. Cass., II, n. 2750/2018).

4. I due motivi di ricorso sono inammissibili atteso che l’interpretazione del contratto è una questione di fatto demandata al giudice di merito, oltre alla circostanza che con le censure mosse la parte ricorrente intende pervenire ad un rinnovato, ma non consentito, apprezzamento del compendio istruttorio acquisito dalla CTR.

5. In ogni caso, nella fattispecie in esame la CTR ha congruamente motivato il proprio convincimento, dando conto del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione assunta ed ivi argomentando in modo logicamente congruo circa l’interpretazione data al contratto in base alle clausole contrattuali ivi previste, con una valutazione che non può essere sottoposta a riesame in sede di legittimità, comunque coerente con l’insegnamento di questa Corte in tema di collegamento fra spese, beni strumentali e deduzione (cfr. Cass. S.U. n. 11533/2018; Cass. V, n. 23278/2018; n. 20049/2017).

6. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro duemilatrecento/00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

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