Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3437 del 11/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/02/2021, (ud. 16/09/2020, dep. 11/02/2021), n.3437

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17183-2017 proposto da:

SOGET SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA EMILIO DE’ CAVALIERI

11, presso lo studio dell’avvocato SERGIO DELLA ROCCA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AR INDUSTRIE ALIMENTARI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

AVERSA 55, presso lo studio dell’avvocato CARMELO CURCIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ETTORE DE ROSA;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI ANGRI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 11745/2016 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST.

di SALERNO, depositata il 22/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO;

lette le conclusioni scritte del PM in persona del Sostituto

Procuratore generale RITA SANLORENZO che ha chiesto l’accoglimento

del ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – con sentenza n. 11745/16, depositata il 22 dicembre 2016, la Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto l’appello proposto da A.R. Industrie Alimentari S.p.a., così provvedendo in integrale riforma della pronuncia di prime cure che, per suo conto, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso da Soget S.p.a., quale concessionaria del Comune di Angri, per il recupero a tassazione della TARSU dovuta relativamente ai periodi di imposta dal 2006 al 2011;

1.1 – nel rideterminare gli importi del tributo dovuto dalla contribuente, il giudice del gravame ha ritenuto che:

– l’appello risultava fondato su motivi specifici di impugnazione che non esponevano domande o eccezioni nuove;

– ai fini del decidere rilevavano le (“puntuali e complete”) emergenze dell’assunta C.T.U. che, – nel ricostruire le superfici tassabili, in relazione alle loro destinazioni d’uso ed alla tipologia dei rifiuti prodotti, – avevano evidenziato la produzione di rifiuti speciali, non assimilabili, da parte di impresa operante “nel settore dell’industria conserviera e rivendita del prodotto finito”, con riferimento (esclusi gli uffici per mq. 2169,55) ai locali destinati alle lavorazioni (per mq. 7103,35), ed a deposito (per mq. 59760,84), nonchè alle aree esterne di carico e scarico (per mq. 9559,13);

– in relazione a dette superfici trovava applicazione, quindi, la causale di esonero dalla tassa di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, trattandosi di rifiuti che “non possono essere assimilati agli urbani per aver… (la contribuente) … provveduto a smaltirli, come documentato in atti, tramite ditte private esterne”;

2. – Soget S.p.a. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, illustrati da memoria;

– A.R. Industrie Alimentari S.p.a. resiste con controricorso illustrato da memoria;

– il Comune di Angri non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, deducendo, in sintesi, che, – avuto riguardo ai contenuti del ricorso introduttivo del giudizio e delle stesse difese in primo grado da controparte svolte, oltrechè della pronuncia resa dal giudice di prime cure, – solo con l’atto di appello la contribuente aveva introdotto in giudizio la questione relativa alla tipologia dei rifiuti prodotti e, nello specifico, alla causale di esonero dalla tassa delineata, – con riferimento alle superfici “ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti”, – dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3; deduzione, questa, che, pertanto, aveva alterato i termini della controversia dietro introduzione di un nuovo tema di indagine e di una diversa causa petendi, così risultando inammissibile;

– col secondo complesso motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, e art. 70, assumendo, in sintesi, sotto un primo profilo di censura, che la contribuente non aveva assolto ai propri obblighi informativi, e di denuncia, quanto alla individuazione ed all’estensione delle superficie destinate alla produzione di rifiuti speciali; e, sotto un secondo profilo di censura, che, – tenuto conto dei corretti rilievi di C.T.U. quanto a destinazioni d’uso e ad estensione delle superfici tassabili (per complessivi mq. 78592,87), – l’avviso di accertamento impugnato, in detti rilievi, aveva trovato puntuale riscontro, considerato, poi, che la produzione di rifiuti speciali non poteva correlarsi alle superfici “non dedicate alla produzione industriale” e qual costituite da uffici, depositi, aree esterne di deposito, carico e scarico, e che era stata applicata la riduzione (del 30%) prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 (e dal Reg. comunale del 4 marzo 2009, art. 8, comma 3) con riferimento alla superficie utilizzata per lo svolgimento dell’attività;

– il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, espone la denuncia di omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, e di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, commi 1 e 3, con riferimento alla deduzione svolta da essa esponente in ordine all’assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti residuati dalle lavorazioni svolte dalla contribuente, assimilazione che, nella fattispecie, conseguiva dalle disposizioni dei regolamenti comunali volta a volta adottati dall’Ente locale;

2. – prima di esaminare il merito del ricorso la Corte deve farsi carico delle eccezioni di inammissibilità svolte dalla controricorrente che, per un verso, assume il difetto di interesse (e di legittimazione) di controparte, posto che, “a seguito della cessazione di ogni attività nel Comune di Angri già disposta con nota risalente al 2013… e con successive disposizioni l’odierna ricorrente a partire dal 07 maggio 2017 ha restituito all’Ente emittente i fascicoli riguardanti le attività svolte in sede di accertamento e relative alle posizioni processuali come quella dell’odierna controricorrente”; e che, per il restante, denuncia il difetto di specificità, concentrazione e sinteticità dei motivi di gravame;

– il primo profilo di denuncia è manifestamente destituito di fondamento considerato che, – conseguendo dal provvedimento concessorio di un pubblico servizio (che, in quanto tale, reca una delega, ed attribuzione, di funzioni pubbliche; v. Cass., 22 febbraio 2016, n. 3449; Cass., 19 luglio 1999, n. 7662) la legitimatio ad processum per le controversie che involgano l’esercizio di dette funzioni pubbliche (v. Cass., 8 ottobre 2010, n. 20852; Cass., 19 marzo 2010, n. 6772; Cass., 21 gennaio 2008, n. 1138), – non si è mai dubitato che detta legittimazione debba essere ascritta (per le relative vicende modificative) alla fattispecie della successione a titolo particolare nel diritto controverso (art. 111 c.p.c.), con conseguente (e perdurante) legittimazione processuale della parte originaria del processo (se non estromessa, così come nella fattispecie, a seguito di intervento del successore a titolo particolare; v., altresì, Cass., 23 dicembre 2019, n. 34283; Cass., 28 marzo 2019, n. 8650);

– sotto il secondo profilo va (diversamente) rilevato che l’estensione contenutistica dei motivi assolve, nella fattispecie, a quel canone di autosufficienza che la Corte ha (ripetutamente) rimarcato con riferimento (anche) alle disposizioni regolamentari poste a fondamento delle censure (v., ex plurimis, Cass., 23 gennaio 2014, n. 1391; Cass., 6 luglio 2012, n. 11351; Cass., 27 gennaio 2009, n. 1893; Cass., 15 dicembre 2008, n. 29322; Cass., 12 giugno 2007, n. 13711);

2.1 – va, quindi, rilevata la tardività della memoria della controricorrente che è stata depositata il 10 settembre 2020 (in violazione del termine, di dieci giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio, fissato dall’art. 380 bis 1 c.p.c.);

3. – tanto premesso, il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento;

3.1 – è ben vero che, come in diverse occasioni rimarcato dalla Corte, la causale di esenzione dalla TARSU, posta dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, con riferimento alle superfici ove si producono (di regola) rifiuti speciali tossici o nocivi (“allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti”), costituisce deroga alla regola generale (di cui allo stesso D.Lgs. n. 507, cit., art. 62, comma 1) secondo la quale il pagamento del tributo è dovuto da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (v., ex plurimis, Cass., 16 aprile 2019, 10634; Cass., 5 settembre 2016, n. 17622; Cass., 24 luglio 2014, n. 16858; Cass., 6 luglio 2012, n. 11351; Cass., 9 marzo 2012, n. 3756; Cass., 14 gennaio 2011, n. 775), ed integra, pertanto, il contenuto di un’eccezione “i cui presupposti spetterà al contribuente allegare e provare” (così Cass., 19 aprile 2019, 11035);

– nella fattispecie, però, rileva, – non solo che già col ricorso introduttivo si poneva la questione relativa alla estensione delle superfici tassabili, in quanto sede di produzione di rifiuti speciali, ed alla conseguente esenzione da riferire al “ciclo produttivo” (v. il controricorso, fol. 4), ma per di più, – che la destinazione di parte della superficie tassata ad uso industriale, con conseguente produzione di rifiuti speciali, formava oggetto del contenuto dello stesso avviso di accertamento (così come del resto la stessa ricorrente assume col secondo motivo di ricorso), così che la relativa questione, quale causa petendi dell’atto impositivo, formava oggetto del giudizio (v. il ricorso, fol. 25, quanto alla riduzione applicata; v., altresì, il controricorso, a fol. 2, quanto al contenuto dell’avviso di accertamento);

4. – il primo profilo di censura del secondo motivo è inammissibile;

4.1 – oltre alla novità della questione relativa all’obbligo di denuncia, – questione che, difatti, non risulta trattata dalla gravata sentenza e della cui proposizione la stessa ricorrente non dà conto (v. Cass., 24 gennaio 2019, n. 2038; Cass., 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., 13 giugno 2018, n. 15430; Cass., 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass., 28 luglio 2008, n. 20518; Cass., 21 febbraio 2006, n. 3664; Cass., 12 luglio 2005, n. 14590), – nella fattispecie rileva che quella stessa deduzione rimane inconferente ai fini in trattazione posto che, per come assume la stessa ricorrente, gli avvisi di accertamento avevano riguardo (anche) all’individuazione delle aree di produzione di rifiuti speciali e, nello specifico, recavano l’applicazione della riduzione prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, in relazione alla intera superficie di svolgimento dell’attività;

5. – quanto invece al secondo profilo di censura del secondo motivo, – da esaminare congiuntamente al terzo motivo di ricorso in ragione della connessione dei presupposti della quaestio iuris dedotta col denunciato vizio di motivazione della sentenza, – la relativa fondatezza consegue dal rilievo secondo il quale il mero autosmaltimento dei rifiuti, così come accertato dal giudice del gravame, non può integrare la causale di esonero dal pagamento del tributo (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3), indipendentemente, quindi, dalla considerazione della tipologia oggettiva dei rifiuti prodotti (urbani o speciali) e, per di più, del potere di assimilazione spettante all’Ente locale;

– in relazione alla presunzione (iuris tantum) di produzione di rifiuti urbani posta dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1 (v. Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459), difatti, la Corte ha, volta a volta, rilevato che “i residui prodotti in un deposito o magazzino non possono essere considerati residui di un ciclo di lavorazione” (Cass., 22 dicembre 2016, n. 26725; Cass., 5 maggio 2010, n. 10813), nonchè che, ai fini della tassazione, “non rileva il collegamento funzionale con l’area produttiva, destinata alla lavorazione industriale, delle aree destinate all’immagazzinamento dei prodotti finiti, come di tutte le altre aree di uno stabilimento industriale, tra cui quelle adibite a parcheggio, a mensa e ad uffici, non essendo stato previsto tale collegamento funzionale fra aree come causa di esclusione dalla tassazione” (così Cass., 5 maggio 2010, n. 10813; Cass., 4 dicembre 2009, n. 25573; Cass., 30 luglio 2009, n. 17724; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19461); ed ha rimarcato che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, con riferimento alla nozione di superficie “ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi”, va interpretato nel senso che l’esclusione dalla tassa riguarda la sola “parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali” (Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 4 aprile 2012, n. 5377; v., altresì, Cass., 24 luglio 2014, n. 16858);

– del pari fondato è, poi, il terzo motivo in quanto alcun accertamento è stato svolto dalla gravata sentenza, alla stregua delle disposizioni regolamentari adottate dall’Ente locale, in ordine alla dedotta assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali rilevanti nella fattispecie, avendola Corte rimarcato che, nella vigenza della TARSU, una volta venuta meno l’assimilazione disposta ex lege (L. 22 febbraio 1994, n. 146, art. 39, comma 1) dei rifiuti speciali (“indicati alla delib. 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale, n. 1, punto 1.1.1, lett. a), di cui al D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 5, nonchè gli accessori per l’informatica”) ai rifiuti urbani, per effetto della L. 24 aprile 1998, n. 128, art. 17, comma 3, ha trovato piena applicazione il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g), che ha attribuito ai Comuni la facoltà di assimilare ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche; ne consegue che, a partire dall’annualità d’imposta 1997, assumono decisivo rilievo le indicazioni proprie dei regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari, in difetto delle quali indicazioni trova applicazione l’esenzione di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 (Cass., 16 luglio 2019, n. 18988; Cass., 3 novembre 2016, n. 22223; Cass., 7 agosto 2008, n. 21342; Cass., 12 ottobre 2007, n. 21469);

6. – l’impugnata sentenza va, pertanto, cassata con rinvio, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Campania che, in relazione ai motivi di ricorso accolti (di cui sub 5. che precede), procederà al riesame della controversia con riferimento alle superfici di produzione dei rifiuti speciali e alla disciplina regolamentare del potere di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani ordinari.

PQM

La Corte:

– accoglie il secondo profilo del secondo motivo, ed il terzo motivo di ricorso;

– rigetta il primo motivo e dichiara inammissibile il primo profilo del secondo motivo di ricorso;

– cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021

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