Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34366 del 23/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 23/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 23/12/2019), n.34366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10237-2018 proposto da:

L.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO

VISCONTI 11, presso lo studio dell’avvocato ANGELA FIORENTINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO PASQUARIELLO;

– ricorrente –

contro

MULTICEDI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SABINO

TOMEI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 302/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/01/2018 R.G.N. 1215/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per inammissibilità, in subordine

rigetto;

udito l’Avvocato FRANCESCO PASQUARIELLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 302 del 2018, accoglieva il reclamo proposto da Multicedi s.r.l. e, per l’effetto, riformava la sentenza n. 297 del 2 febbraio 2017 del Tribunale di S. Maria C.V. e rigettava la domanda proposta da L.N., avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimato dalla reclamante per abbandono ingiustificato del posto di lavoro durante un turno notturno, ipotesi per la quale il codice disciplinare prevedeva la sanzione espulsiva.

2. Per quanto ancora rileva nella presente sede, la Corte territoriale riteneva la tempestività del reclamo, in quanto la sentenza impugnata non era stata “mai comunicata nè notificata”. Respingeva poi l’eccezione con cui era stata riproposta dal reclamato la questione della tardività della contestazione disciplinare.

3. Per la cassazione di tale sentenza L.N. ha proposto ricorso affidato a tre motivi. Ha resistito con controricorso la Multicedi s.r.l.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deduce che la sentenza di primo grado era stata comunicata per esteso dalla Cancelleria del lavoro del Tribunale di S. Maria C.V. all’indirizzo PEC del difensore di Multicedi s.r.l. e che pertanto la società reclamante era decaduta dal potere di impugnazione per avere proposto il reclamo in data 2 maggio 2017, oltre il termine di trenta giorni previsto dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, decorrente dalla predetta comunicazione del 3 febbraio 2017.

2. Con il secondo motivo denuncia nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per avere la Corte di appello errato nel non dichiarare inammissibile il reclamo per intervenuta decadenza, muovendo dall’erroneo presupposto di fatto che la sentenza di primo grado non fosse stata comunicata, così violando il disposto di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58.

3. Con il terzo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere la Corte di appello disatteso l’eccezione di tardività della contestazione disciplinare. Il fatto era accaduto sabato 19 aprile e la contestazione, datata 23 aprile, era stata recapitata il successivo 29 aprile, mentre la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto che il recapito fosse avvenuto il 24 aprile.

4. Il ricorso è inammissibile.

5. Quanto ai primi due motivi, giova premettere che il D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 3, lett. c), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012, ha modificato l’art. 45 disp. att. c.p.c., stabilendo, al comma 2, che il biglietto di cancelleria deve contenere “il testo integrale del provvedimento comunicato”, ed al comma 4, che “nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.

Il legislatore è poi intervenuto sull’art. 133 c.p.c., comma 2, con il D.L. n. 90 del 2014, art. 45, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 144 del 2014, precisando che: “Il cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto di cancelleria contenente il testo integrale della sentenza, ne dà notizia alle parti che si sono costituite. La comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c.”.

Detta disposizione è entrata in vigore il 19 agosto 2014.

6. Tanto premesso, va ulteriormente precisato, quanto agli effetti della comunicazione della sentenza nel caso oggetto del presente giudizio, che la disciplina processuale di cui alla L. n. 92 del 2012 (c.d. rito Fornero) detta, in tema di modalità delle impugnazioni, norme speciali rispetto alla disciplina generale del codice di rito.

La L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, prevede che “contro la sentenza che decide sul ricorso è ammesso reclamo davanti alla corte di appello. Il reclamo si propone con ricorso da depositare, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore”.

Analogamente, lo stesso art. 1, comma 62 prevede che il ricorso per cassazione contro la sentenza che decide sul reclamo “deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore”.

6.1. Sul tema della specialità delle norme in tema di effetti della comunicazione nel rito di cui alla L. n. 92 del 2012, ai fini della decorrenza del termine per impugnare e con specifico riguardo al caso del reclamo, è stato affermato da questa Corte che il termine di trenta giorni per il reclamo di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, decorre dalla semplice comunicazione del provvedimento, trattandosi di previsione speciale, che in via derogatoria comporta la decorrenza del termine da detto incombente, su cui non incide la modifica dell’art. 133 c.p.c., comma 2, nella parte in cui stabilisce che “la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c.”, in quanto attinente al regime generale della comunicazione dei provvedimenti da parte della cancelleria (Cass. 6059 del 2018). Dunque, il termine breve per proporre reclamo contro la sentenza che decide il ricorso in opposizione decorre dalla comunicazione di cancelleria della sentenza a mezzo PEC, comunicazione che, dopo le modifiche apportate all’art. 125 c.p.c., comma 1 dalla L. n. 114 del 2014, di conversione del D.L. n. 90 del 2014, deve avvenire all’indirizzo PEC del difensore risultante da pubblici elenchi o da registri accessibili alla pubblica amministrazione (cfr Cass. n. 83 del 2019).

7. Tanto premesso, va tuttavia rilevato, quanto al primo motivo, che il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sostenendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui aveva affermato che la sentenza di primo grado non era stata ” nè notificata nè comunicata”. Il ricorrente oppone che la sentenza L. n. 92 del 2012 cit., ex art. 1, comma 57, era stata comunicata a mezzo PEC al difensore della società dalla cancelleria del Tribunale di S. Maria C.V..

7.1. Tale censura risulta inammissibile per la dirimente considerazione che la circostanza in questione non risulta evocata nel rispetto degli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. Sez. Un. 8053 del 2014), oneri che non possono ritenersi assolti con la produzione agli atti del ricorso per cassazione della stampa di un “biglietto di cancelleria ai sensi del D.L. 179 del 2012 con ricevute di accettazione e di consegna nella casella pec “(OMISSIS)”, che il ricorrente assume di avere “estratto dal SICID del Tribunale di S. Maria C.V.” (v. pag. 4 della narrativa del ricorso per cassazione).

8. E’ ben vero che il vizio di omesso esame attiene ad un fatto processuale, essendo funzionale alla deduzione dell’error in procedendo di cui al secondo motivo, ossia di un vizio in relazione al quale la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito. Tuttavia, ciò non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (cfr. Cass. n. RG 10237/20186014 del 2018, in cui è stato affermato che il ricorrente ha comunque l’onere di riprodurre gli atti e documenti del giudizio di merito nei loro passaggi essenziali alla decisione e di precisare l’esatta collocazione dei documenti nel fascicolo d’ufficio al fine di renderne possibile l’esame nel giudizio di legittimità).

8.1. Nel caso in esame, il ricorrente per cassazione, pur avendo riprodotto il contenuto dell’atto di cui lamenta l’omesso esame, non ha fornito puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente a tale documentazione al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., n. 4220 del 2012), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte (cfr. Cass. n. 6937 del 2010; v. pure Cass., n. 15808 del 2008); la mancanza anche soltanto di una di tali indicazioni rende il ricorso inammissibile (cfr., tra le più recenti, Cass., Sez. Un., n. 7701 del 2016, in motivazione, che richiama Cass. n. 19157 del 2012, Cass., n. 22726 del 2011).

8.2. Sussiste dunque la violazione dei requisiti richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente ha fatto riferimento ad un atto del giudizio di merito senza fornire le indicazioni necessarie per consentire di comprendere se e quando, nella sequenza dello svolgimento del processo, tale documentazione sarebbe stata acquisita agli atti, con precisazione anche dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte.

9. Il secondo motivo denuncia error in procedendo per non avere la sentenza emesso una sentenza dichiarativa della inammissibilità del reclamo per intervenuta decadenza. Il motivo è strettamente connesso al precedente, in quanto ne postula l’accoglimento.

9.1. La Corte di appello ha ritenuto (implicitamente) la tempestività del reclamo avendo dato atto che la sentenza non risultava, agli atti del fascicolo, notificata nè comunicata, con conseguente applicazione del c.d. termine lungo ex art. 327 c.p.c.. Ed infatti, la L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 61 stabilisce espressamente che “in mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza, si applica l’art. 327 c.p.c.”, termine nel quale la società pacificamente propose il reclamo.

10. Il terzo motivo denuncia omesso esame di fatto decisivo sull’eccezione di tardività della contestazione disciplinare, riproposta in sede di reclamo. Parte ricorrente denuncia un’errata valutazione delle risultanze istruttorie opponendo che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, la lettera recante la contestazione disciplinare pervenne a destinazione il 29 e non il 24 aprile.

10.1. Il motivo non è pertinente al decisum e dunque viola l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

10.2. La sentenza, nel valutare la tempestività dell’esercizio del potere disciplinare, ha fatto riferimento al momento in cui la contestazione era stata esternata e spedita al destinatario, in tal senso dovendo intendersi il riferimento al fatto che essa “era stata comunicata il 24 quattro giorni dopo necessari per valutare i fatti e tenuto conto che un giorno era domenica”. La sentenza ha inteso fare applicazione del principio secondo cui, atteso che il termine per la contestazione è volto a garantire la tempestività dell’esercizio del potere, in funzione della necessaria tutela del diritto di difesa del lavoratore ed in considerazione del principio del legittimo affidamento sulla irrilevanza disciplinare della condotta, è sufficiente che il datore abbia tempestivamente manifestato entro un termine congruo la volontà di irrogare la sanzione, a nulla rilevando che quest’ultima sia portata a conoscenza del lavoratore successivamente.

10.3. La censura di cui al terzo motivo si incentra, invece, sulla circostanza che la comunicazione relativa alla lettera di contestazione pervenne al destinatario il 29 aprile. Essa si incentra su argomenti avulsi dal decisum e, comunque, neppure chiarisce per quale motivo, ai fini della tempestività dell’esercizio dell’azione disciplinare, debba aversi riguardo alla data della ricezione della comunicazione anzichè a quella di spedizione, nè per quali ragioni l’ulteriore intervallo abbia creato affidamento sul mancato esercizio dell’azione disciplinare o abbia arrecato pregiudizio ai diritti difensivi.

11. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

12. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2019

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