Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34365 del 23/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 23/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 23/12/2019), n.34365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20981/2018 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 28, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO BOLOGNESI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso

lo studio TOFFOLETTO – RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, rappresentata e

difesa dall’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2888/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 02/05/18 r.g.n. 3638/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO RAIMONDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato RICCARDO BOLOGNESI;

udito l’Avvocato VALENTINA LUCIANI per delega verbale Avvocato

RAFFAELE DE LUCA TAMAJO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Adito con ricorso ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47, da C.M., che lamentava l’illegittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa senza preavviso intimatole 21.10.2014 dalla sua datrice di lavoro, Poste italiane s.p.a., il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigettava la domanda nella fase sommaria. I fatti contestati alla lavoratrice consistevano nell’avere essa, nella sua qualità di Specialista Consulente Finanziario, stipulato le polizze assicurative analiticamente indicate nella lettera di contestazione con soggetti non dipendenti della società datrice di lavoro applicando loro, ciò nonostante, le condizioni più favorevoli previste ad esclusivo beneficio dei dipendenti della società e di non aver allegato alle polizze stesse copia del tesserino aziendale del contraente, in totale difformità rispetto alle procedure e ai regolamenti interni previsti per tali prodotti di investimento “Scontistica polizze danni”. In sede di opposizione lo stesso Tribunale, con sentenza n. 2605/2017, accoglieva parzialmente il ricorso della lavoratrice, dichiarava risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannava Poste italiane s.p.a. al pagamento in favore dell’opponente di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva nella misura di quindici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre accessori.

2. Avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere la lavoratrice proponeva reclamo dinanzi alla Corte di appello di Napoli, lamentando come il primo giudice, pur ravvisando “l’esistenza di un’esimente” non avesse concluso nel senso dell’insussistenza del fatto contestato e, di conseguenza, per la reintegrazione nel posto di lavoro della reclamante; in via subordinata, la C. lamentava la mancata applicazione della tutela reintegratoria, quale conseguenza del fatto che la condotta contestata poteva essere sanzionata con un provvedimento conservativo.

3. Poste italiane s.p.a. si costituiva per resistere all’impugnazione e proponeva a sua volta reclamo incidentale insistendo per il riconoscimento della legittimità del licenziamento per giusta causa intimato alla dipendente e chiedendo in via subordinata l’accertamento di un giustificato motivo soggettivo di recesso, con conseguente mero obbligo da parte datoriale di versare l’indennità di preavviso stabilita dal CCNL applicabile.

4. Con sentenza pubblicata il 2.5.2018, la Corte di appello di Napoli rigettava il reclamo della C., accoglieva quello incidentale di Poste italiane s.p.a. e, in riforma della sentenza impugnata rigettava la domanda di C.M. compensando le spese di lite.

5. Per quanto qui interessa la Corte territoriale riteneva che il fatto contestato alla lavoratrice, pacificamente sussistente, rientrasse nella previsione di cui all’art. 54, comma 6, lett. c) del CCNL di settore, disposizione relativa alle ipotesi di licenziamento senza preavviso “per violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri di ufficio che possano arrecare o che abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o a terzi”, osservando che, pur non richiedendo questa disposizione della contrattazione collettiva l’effettivo verificarsi di un danno, essendo sufficientè l’eventualità di un “forte pregiudizio”, nella fattispecie il danno era effettivamente sussistente, giacchè la dipendente aveva stipulato in pochi mesi 21 polizze di speciale vantaggio a prezzi molto più bassi del normale con soggetti privi dei necessari requisiti stabiliti dalla politica aziendale. Inoltre, la Corte napoletana riteneva l’irrilevanza di eventuali istruzioni ricevute dalla Direttrice dell’Ufficio postale di Marcianise, cui era addetta la lavoratrice, ed escludeva, sulla base della prova documentale e testimoniale, l’esistenza di una prassi aziendale. La Corte napoletana accertava anche la natura dolosa del comportamento rimproverato alla lavoratrice e concludeva nel senso che tale comportamento integrasse una grave violazione dei doveri di ufficio, come tale sanzionabile con il licenziamento per giusta causa.

6. Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli C.M. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Poste italiane s.p.a. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso C.M. non muove in realtà alcuna specifica censura alla sentenza impugnata, ma svolge considerazioni relative all’ammissibilità dello stesso ricorso in relazione all’art. 360 bis c.p.c., insistendo sul principio secondo cui l’operazione valutativa del giudice di merito nell’applicare norme elastiche, come quelle relative alla giusta causa di licenziamento, non sfugge alla verifica in sede di legittimità.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., degli art. 54, comma 6, lett. c) e dell’art. 80, lett. e), del CCNL del 14 aprile 2011, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sotto un primo profilo la lavoratrice fa valere che il caso di specie non potrebbe essere ricondotto alla fattispecie contrattualistica considerata applicabile dalla sentenza impugnata avendo essa accertato un “mero danno” e non il “forte pregiudizio” richiesto dalla pertinente clausola del CCNL come motivo di licenziamento per giusta causa. Il ruolo svolto nella vicenda litigiosa dalla Direttrice dell’ufficio postale ove la ricorrente prestava la propria opera si sarebbe dovuto valutare come esimente in termini di insussistenza giuridica del fatto contestato. Sotto un secondo profilo, sollevato in via subordinata, la ricorrente deduce l’applicabilità dell’art. 54, comma 4, lett. n) del CCNL, che avrebbe condotto all’irrogazione di una sanzione disciplinare conservativa, facendo valere il carattere non proporzionato della sanzione irrogata alla lavoratrice, mentre bene si sarebbe potuto far ricorso a una sanzione conservativa.

3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

4. Sotto il primo profilo, quanto al peso da assegnare al ruolo della Direttrice dell’Ufficio Postale, senza contare che la Corte territoriale ritiene, dissentendo dal primo giudice, poco credibile la ricostruzione secondo la quale la ricorrente avrebbe agito su istruzioni della Direttrice, è corretta la conclusione del giudice di appello secondo la quale eventuali istruzioni della superiore gerarchica non si sarebbero potute considerare un’esimente.

5. Sul punto emerge dalla ricostruzione operata dalla Corte di appello che la ricorrente, in qualità di Responsabile della consulenza finanziaria, era dotata di autonomia, esperienza e specializzazione nel suo settore ed era, o doveva essere, pienamente a conoscenza dei regolamenti in materia ed era quindi capace di comprendere l’illiceità delle operazioni a lei asseritamente suggerite. Se anche avesse effettivamente ricevuto indicazioni di procedere nel senso poi censurato dall’azienda, la lavoratrice avrebbe dovuto rifiutarsi di farlo.

6. Questa ricostruzione non viene efficacemente criticata nel ricorso. E le conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale sono in linea con la giurisprudenza di questa Corte che, proprio tenendo conto degli standard in materia di clausole generali invocati dalla ricorrente nel suo primo motivo, ha costantemente ritenuto essere esigibile dal lavoratore una condotta che vada oltre l’acritica obbedienza alle prescrizioni del superiore gerarchico. Ciò in ossequio al disposto dell’art. 2014 c.c., che, nel prescrivere che il prestatore di lavoro debba osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende, obbliga lo stesso prestatore ad usare la diligenza richiesta dalla prestazione dovuta (tra molte, Cass. n. 24334 del 2013; n. 13149 del 2016).

7. In ordine all’applicazione del CCNL del 14 aprile 2011, la Corte territoriale ha ritenuto la fattispecie litigiosa ricompresa nella previsione dell’art. 54, comma VI, lett. c) di questo strumento collettivo, che prevede il licenziamento senza preavviso “per violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri di uscio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizto alla società e a terzi”. Secondo la Corte territoriale il comportamento della lavoratrice integrava una grave violazione dei doveri di ufficio, come tale punibile con il licenziamento per giusta causa, giacchè, per le circostanze in cui esso si era realizzato e per la specificità oggettiva e soggettiva delle mansioni affidatele, aveva determinato una grave lesione del vincolo fiduciario, elemento essenziale del rapporto di lavoro. A questa conclusione la Corte di merito è pervenuta dopo aver esaminato la gravità dei fatti, anche in relazione alla posizione della lavoratrice, il dolo e l’irrilevanza di eventuali istruzioni o addirittura della complicità della Direttrice.

8. Sotto il secondo profilo, la statuizione della Corte territoriale che ha escluso come la condotta contestata alla lavoratrice potesse essere punita con una sanzione conservativa non viene efficacemente criticata.

9. Il giudice di appello ha preso in esame le sanzioni conservative previste dal citato art. 54 del CCNL di settore (la multa non superiore a quattro ore di retribuzione; la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a quattro giorni; la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni), tutte inerenti a semplici violazioni procedurali determinate essenzialmente da negligenza che possano comportare dei disservizi, e non la consapevole e reiterata violazione di disposizioni datoriali, certamente “altrimenti sanzionabile” per la sua estrema gravità, secondo la formula usata dal CCNI, per le condotte suscettibili dell’applicazione di sanzioni conservative.

10. A fronte di questa motivazione la ricorrente si limita inammissibilmente a contrapporre una sua diversa valutazione della gravità dei fatti a lei contestati, insistendo per l’applicazione di una delle ipotesi di sanzione conservativa.

11. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso è quindi complessivamente da rigettare.

12. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2019

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