Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34355 del 23/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 23/12/2019, (ud. 29/11/2018, dep. 23/12/2019), n.34355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21768-2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 175, presso la DIREZIONE AFFARI LEGALI DI POSTE ITALIANE,

rappresentata e difesa dall’avvocato STELLARIO VENUTI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI

123, presso lo studio dell’avvocato LORENZO DI BACCO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1122/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/09/2013 R.G.N. 2018/2010.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza depositata in data 19.9.2013, ha integralmente accolto il gravame interposto da M.M., nei confronti di Poste Italiane S.p.A., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva respinto il ricorso presentato dalla lavoratrice, volto all’annullamento della sanzione disciplinare della multa nella misura pari ad un’ora di retribuzione, irrogata alla dipendente per essersi la medesima rifiutata di “presentarsi in ufficio per comunicazioni che la riguardavano, alle ore 15.30”, cioè, oltre l’orario di lavoro;

che i giudici di secondo grado, per quanto ancora in questa sede rileva, hanno reputato illegittima la sanzione inflitta, a fronte delle condivisibili ragioni esposte dalla dipendente alla società datrice, avendo la medesima “fatto presente” che “a seguito dell’ennesima convocazione in Filiale senza lecito motivo, come sancito dal CCNL di Poste Italiane S.p.A., è a disposizione dell’azienda nei limiti delle sue mansioni e pertanto tutelata nei suoi diritti di lavoratore dipendente nel solo periodo che intercorre tra l’inizio e la fine del suo turno di servizio, che va dalle 7.30 alle 14.00”;

che per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. articolando un motivo, cui resiste la M. con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che va, preliminarmente, respinta l’eccezione sollevata dalla controricorrente in ordine alla dedotta inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 327 del codice di rito, come modificato dalla L. n. 69 del 2009, “in quanto lo stesso è stato notificato il 12.9.2014, oltre i sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza impugnata (19.9.2013)”, poichè la citata L. n. 69 del 2009, che ha ridotto i termini per la notifica a sei mesi, si applica, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della stessa legge, ai giudizi iniziati dopo il 4.7.2009, data di entrata in vigore della legge (cfr., pure, tra le molte, Cass. n. 17060/2012), e, nella fattispecie, il giudizio di primo grado è stato, invece, instaurato nel 2007;

che, con il ricorso, si deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2104 c.c. e artt. 51, 52, 53 e 54 CCNL 11.7.2003. Illogicità della sentenza” e si lamenta che la Corte di merito abbia omesso di considerare che la M., da una parte ha rifiutato il cortese invito rivoltole dalla datrice di lavoro e, dall’altra, ha esplicitamente minacciato di attivare procedure di legge a tutela dei lavoratori del tutto fuori luogo rispetto ad una convocazione inoltrata dal datore di lavoro, al fine di fare pervenire alla dipendente comunicazioni di natura personale; pertanto, a parere della società datrice, la sentenza impugnata non avrebbe considerato che la dipendente ha posto in essere un comportamento non conforme ai criteri della diligenza e della collaborazione di cui all’art. 2104 c.c. e art. 54 CCNL di categoria; che il motivo non è meritevole di accoglimento, in quanto, in primo luogo, finalizzato, all’evidenza, ad ottenere un nuovo esame del merito, non consentito in questa sede; inoltre, la parte ricorrente non ha indicato con precisione sotto quale profilo le norme censurate sarebbero state violate, senza la precisa indicazione del punto della sentenza impugnata in cui tali disposizioni sarebbero state incise, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.p., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, del codice di rito, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma anche con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); per quanto, poi, attiene ai generici richiami a documenti quali la comunicazione inviata via fax in data 19.1.2007, con cui si richiedeva alla M. di presentarsi presso il Servizio Risorse Umane, fuori dall’orario di lavoro, nonchè la nota di contestazione del comportamento della dipendente, reputato scorretto, va rilevato che gli stessi non sono stati prodotti (e neppure menzionati come documenti offerti in comunicazione nel ricorso per cassazione), nè trascritti, in violazione del principio, più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità delle doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza, che si risolvono, quindi, in considerazioni di fatto sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011);

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va respinto;

che le spese – liquidate come in dispositivo e da distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore del difensore della M., avv. Lorenzo Di Bacco, dichiaratosi antistatario – seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2019

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