Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34353 del 23/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2019, (ud. 21/11/2019, dep. 23/12/2019), n.34353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29028/2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

A.C., A.M., A.G.,

AL.MA., A.A., N.A.I., R.L.,

N.L., RO.WA.CA., C.A., M.M.,

G.R.D., S.G., F.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1689/24/2017 della Commissione tributaria

Regionale della Puglia, depositata l’11/5/2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2019

dal Consigliere Dott. Pepe Stefano;

Fatto

RITENUTO

Che:

1. L’Agenzia del territorio di Lecce, a seguito di richiesta di classamento del Comune di Lecce, L. n. 311 del 2004, ex art. 1 comma 335, notificava ai resistenti i conseguenti avvisi di accertamento con rideterminazione della rendita catastale.

2. A seguito di ricorso proposto dai contribuenti la CTR della Puglia, con sentenza n. 1689/24/2017, depositata l’11/5/2017, confermava la sentenza di primo grado e, per l’effetto, accoglieva il ricorso proposto dai ricorrenti rilevando il difetto di motivazione negli atti di accertamento impugnati.

3. Avverso tale sentenza l’Agenzia dell’entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 295 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, per non aver la CTR disposto la sospensione del processo per pregiudizialità, in ragione della pendenza del giudizio dinnanzi al Consiglio di Stato avente ad oggetto le delibere con le quali il Comune di Lecce aveva dato avvio al procedimento della L. n. 311 del 2004, ex art. 1, comma 335; delibere poste a fondamento, tra gli altri, dell’avviso di classamento impugnato.

2. Con il secondo motivo l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, risultando gli atti di accertamento catastali impugnati sufficientemente motivati con il richiamo in essi contenuto dei presupposti di fatto e diritto posti a loro fondamento costituiti dalla determinazione direttoriale adottata nell’ambito della procedura di revisione parziale prevista dalla legge n. 311 del 2004, art. 1, comma 335.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione, in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335, nonchè del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 61, avendo la CTR errato nel ritenere necessaria una specifica autonoma motivazione del singolo atto di classamento, essendo all’uopo sufficiente il richiamo da esso fatto alla procedura presupposta di cui all’art. 1 cit., stante anche la sua natura di revisione generalizzata e non puntuale del singolo immobile.

4. Il secondo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, non sono fondati.

Viene in rilievo la questione su quale debba essere il contenuto motivazionale minimo necessario per rendere adeguato a parametri di tutela del contribuente e di trasparenza amministrativa la revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali c.d. anomale.

La L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335, disciplina tale procedimento prevedendo che “la revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato individuato aì sensi del regolamento di cui al D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138, e il corrispondente valore medio catastale ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili si discosta significativamente dall’analogo rapporto relativo all’insieme delle microzone comunali, è richiesta dai comuni agli Uffici provinciali dell’Agenzia del territorio. Per i calcoli di cui al precedente periodo, il valore medio di mercato è aggiornato secondo le modalità stabilite con il provvedimento di cui al comma 339. L’Agenzia del territorio, esaminata la richiesta del comune e verificata la sussistenza dei presupposti, attiva il procedimento revisionale con provvedimento del direttore dell’Agenzia medesima”.

La microzona rappresenta una porzione del territorio comunale (in molti casi, coincidente con l’intero Comune) che presenta omogeneità nei caratteri di posizione, urbanistici, storico-ambientali, socioeconomici, nonchè nella dotazione dei servizi e infrastrutture urbane. In ciascuna microzona le unità immobiliari sono uniformi per caratteristiche tipologiche, epoca di costruzione e destinazione prevalenti (D.P.R. n. 138 del 1998, art. 2).

Il classamento in esame, finalizzato ad eliminare possibili sperequazioni a livello impositivo, è stato ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 249 del 2017, con la quale si è, fra l’altro, affermato che “la natura e le modalità dell’operazione enfatizzano l’obbligo di motivazione in merito agli elementi che hanno, in concreto, interessato una determinata microzona, così incidendo sul diverso classamento della singola unità immobiliare; obbligo che, proprio in considerazione del carattere “diffuso” dell’operazione, deve essere assolto in maniera rigorosa in modo tale da porre il contribuente in condizione di conoscere le concrete ragioni che giustificano il provvedimento”.

Sempre con riferimento all’onere motivazionale questa Corte, secondo un orientamento pienamente condivo dal Collegio, ha affermato che “In tema di estimo catastale, qualora il nuovo classamento sia stato adottato ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335, nell’ambito di una revisione dei parametri catastali della microzona nella quale l’immobile è situato, giustificata dal significativo scostamento del rapporto tra il valore di mercato ed il valore catastale rispetto all’analogo rapporto sussistente nell’insieme delle microzone comunali, il provvedimento di riclassamento, atteso il carattere diffuso dell’operazione, deve essere adeguatamente motivato in merito agli elementi che, in concreto, hanno inciso sul diverso classamento della singola unità immobiliare, in modo che il contribuente sia posto in condizione di conoscere le ragioni che ne giustificano l’emanazione” (ex plurimis Cass. n. 9770 del 2019). In tali casi, dunque, non può ritenersi congruamente motivato il provvedimento che si limiti a richiamare i rapporti di cui al citato art. 1, comma 335 e il relativo loro scostamento nonchè i provvedimenti amministrativi a fondamento del riclassamento, laddove da tali ultimi non siano evincibili gli elementi che, in concreto, hanno inciso sul diverso classamento. Allo stesso modo non può ritenersi sufficiente il riferimento a generici miglioramenti della microzona dovuti ad interventi pubblici e privati. Ciò vale anche considerando che l’attribuzione di una determinata classe è correlata sia alla qualità urbana del contesto in cui l’immobile è inserito (infrastrutture, servizi, eccetera), sia alla qualità ambientale (pregio o degrado dei caratteri paesaggistici e naturalistici) della zona di mercato immobiliare in cui l’unità stessa è situata, sia infine alle caratteristiche edilizie dell’unità stessa e del fabbricato che la comprende (l’esposizione, il grado di rifinitura, eccetera). Le espressioni indicate, infatti, non sono tali da porre il contribuente in condizione di conoscere le concrete ragioni a base della pretesa impositiva, così da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an ed il quantum debeatur. Da quanto sopra discende che l’Amministrazione è tenuta ad un adeguata valutazione, caso per caso, del singolo immobile, oggetto di riclassificazione, di talchè “poichè non è sufficiente il rispetto dei criteri generali previsti dalla norma, ma si richiede che l’attribuzione della nuova rendita venga contestualizzata in riferimento alle singole unità immobiliari, anche gli oneri motivazionali devono adeguarsi ad esigenze di concretezza e di analiticità, senza che possa ritenersi sufficiente una motivazione standardizzata, applicata indistintamente, che si limiti a richiamare i presupposti normativi in modo assertivo” (Cass. n. 19810 del 2019). In particolare, è necessario che dall’atto emergano gli elementi (come la qualità urbana del contesto nel quale l’immobile è inserito, la qualità ambientale della zona di mercato in cui l’unità è situata, le caratteristiche edilizie del fabbricato) che, in concreto, hanno inciso sul diverso classamento (Cass. n. 3156 del 2015).

La motivazione nei termini sopra indicati è elemento essenziale dell’atto e, quindi, deve sussistere a prescindere da una eventuale impugnazione di quest’ultimo, essendo la sua funzione quella di far comprendere al contribuente le ragioni poste a fondamento dell’azione amministrativa si da consentirgli di valutare l’opportunità di eventualmente proporre ricorso dinnanzi all’autorità giudiziaria. L’Amministrazione, quindi, non può limitarsi ad indicare di aver proceduto al classamento a seguito della procedura e sulla base dei dati essenziali del procedimento estimativo delineato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335, senza indicare gli elementi che in concreto hanno determinato lo scostamento previsto da tale norma e che non possono prescindere da quelli indicati dal D.P.R. n. 138 del 1998, art. 8.

La CTR nel rigettare l’appello proposto dall’Agenzia dell’Entrate ha fatto corretta applicazione di tali principi. Ed invero, il contenuto dell’atto impugnato – per come riassunto nella sentenza d’appello ed indicato nei suoi tratti essenziali nello stesso ricorso – non risponde a quei requisiti primi e indefettibili sopra indicati, in quanto caratterizzato da una motivazione generica e, dunque, meramente apparente affidata a formule stereotipate e di stile, se non meramente riproduttive di precetti normativi affidata a richiami agli atti della fase prodromica del procedimento. In tal modo risultano assenti proprio quei dati primigeni ed essenziali del peculiare procedimento valutativo delineato dall’art. 1, comma 335, cit. e dalle fonti normative integrative e, dunque, specifici riferimenti all’immobile oggetto di revisione.

5. La questione posta con il primo motivo – riguardante l’asserita pregiudizialità del giudizio pendente dinanzi al Consiglio di Stato sull’appello avverso la sentenza del giudice amministrativo, che ha annullato i presupposti atti amministrativi generali (T.a.r. Puglia, sez. Lecce, 11 luglio 2013, n. 1621) – è logicamente e giuridicamente irrilevante, attesa l’invalidità del nuovo classamento per irrimediabile vizio genetico di motivazione.

6. Il ricorso va pertanto rigettato.

7. Nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva da parte della parte vittoriosa.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica al D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 23 dicembre 2019

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