Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34328 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2021, (ud. 29/09/2021, dep. 15/11/2021), n.34328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5009-2020 proposto da:

B.B., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MANUELA AMORE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 6560/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato

il 27/12/2019 R.G.N. 8128/18;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2021 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con decreto 27 dicembre 2019, il Tribunale di Bologna rigettava il ricorso di B.B., cittadino (OMISSIS), avverso la decisione della Commissione Territoriale della stessa città, di reiezione delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;

2. esso escludeva, per la natura della vicenda umana narrata dal ricorrente (abbandonato fin dalla nascita dai genitori naturali, mai ritrovati e cresciuto in (OMISSIS) da una famiglia, che lo aveva però emarginato rispetto ai figli naturali e quindi indirizzato presso una famiglia in (OMISSIS), indicata come quella dei suoi veri genitori, in realtà non rivelatasi tale; sicché, privo di ogni relazione familiare, si era sempre mantenuto come falegname e aveva generato un figlio con una ragazza, i cui genitori non avevano accolto né lui, siccome privo di origini chiare, né il bambino, che egli aveva tenuto per qualche tempo con sé poi affidandolo ad altri e abbandonando il Paese, non potendo più sopportare la penosa situazione), la ricorrenza dei presupposti per la protezione sussidiaria richiesta; anche tenuto conto della situazione del (OMISSIS), non versante in una condizione di violenza indiscriminata per conflitto armato rilevante a fini di grave danno (come da fonti ufficiali consultate, aggiornate al 2018 e specificamente indicate);

3. il Tribunale riteneva analogamente preclusa la concessione della protezione umanitaria, in assenza di elementi di vulnerabilità neppure ravvisabili nelle attuali condizioni di salute del ricorrente (di certificato stato ansioso depressivo, con prescrizione di farmaco antidepressivo associato ad ipnotico) in quanto non critiche siccome non ostative ad una sua buona capacità di collaborazione lavorativa e di relazione personale (come da lettera del suo datore di lavoro), né di integrazione sociale significativa, anche in via comparativa con la situazione del suo Paese di provenienza, in cui presente il figlio, con cui aveva dichiarato il costante mantenimento negli anni di rapporti telefonici e di un regolare invio di denaro in suo favore;

4. con atto notificato il 28 gennaio 2020, lo straniero ricorreva per cassazione con quattro motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce nullità del decreto per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la situazione esistente attualmente in (OMISSIS), Paese nel quale egli aveva trasferito forzosamente il proprio centro di interessi e vissuto gran parte della propria esistenza, prima di giungere in Italia, nonostante la specifica richiesta al Tribunale (primo motivo); violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, per inosservanza dell’obbligo di cooperazione istruttoria, in riferimento alla concessione di protezione sussidiaria, in difetto di ogni accertamento sulla condizione della (OMISSIS), limitato al (OMISSIS) (secondo motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

3. gli approfondimenti richiesti sulla condizione della (OMISSIS) sono inconferenti, posto che dal 2010 fino alla partenza definitiva (il 1 gennaio 2015) il richiedente ha vissuto in (OMISSIS), dove ha aperto l’attività di falegnameria (già avviata in (OMISSIS)), conosciuto la ragazza con cui ha generato il figlio e dove lo ha lasciato, mantenendo con lui l’unico legame familiare della sua esistenza;

4. il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, per la mancanza di un’adeguata valutazione, in riferimento alla concessione della protezione umanitaria, delle condizioni socio-economiche e dell’ordinamento giuridico del (OMISSIS), ben diversa da quella operata ai fini della protezione sussidiaria (terzo motivo);

5. anch’esso è inammissibile;

6. lungi dal denunciare, se non formalmente nella rubrica, una violazione di legge inconfigurabile, non implicando un problema interpretativo della stessa, né di falsa applicazione della legge, che consiste nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851), il motivo consiste piuttosto nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, pertanto esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155);

6.1. in realtà il ricorrente contrappone una propria valutazione compartiva a quella compiuta e congruamente argomentata dal Tribunale (ultimi quattro capoversi di pg. 8 del decreto), anche alla luce del ribadito paradigma del modello di comparazione c.d. attenuata, secondo cui, in base alla normativa del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia; e tale valutazione comparativa deve essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano; tuttavia, situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese di origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia e, per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno (Cass. s.u. 9 settembre 2021, n. 24413);

7. il ricorrente deduce infine travisamento della prova in riferimento al contenuto di alcuni documenti su un punto decisivo ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, per anomalia motivazionale per inconciliabile contraddizione tra le affermazioni di assenza di proprie relazioni personali e affettive stabili in Italia e quindi di buona capacità relazionale e collaborativa (tratta dalla lettera del suo datore di lavoro) a fini di valutazione dei requisiti per la misura di protezione minore, nonché per travisamento della circostanza della sua convivenza in comunità, non già, come erroneamente ritenuto dal Tribunale, per mancanza di risorse economiche, ma per adesione ad un percorso di accoglienza e di inclusione (quarto motivo);

8. esso pure è inammissibile;

9. il mezzo ha una formulazione non corretta, privo come è di alcuna specifica indicazione di vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, pertanto non rientrante in alcuna della tassativa tipologia da esso prescritta (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 14 maggio 2018, n. 11603): né configurandosi alcun vizio di inesistenza o intrinseca contraddittorietà della motivazione, ricorrente, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’ipotesi riconducibile (così come quelle di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “motivazione perplessa od incomprensibile”) alla violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, comportante la conversione in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e la conseguente nullità della sentenza (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940); né potendo trarsi una conveniente deduzione di un eventuale travisamento della prova, che presuppone l’acquisizione non valutata soltanto di un’informazione probatoria su un punto decisivo, che metta in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito, facendo escludere l’ipotesi contenuta nella censura: posto che il travisamento della prova implica non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, sia contraddetta da uno specifico atto processuale (Cass. 25 maggio 2015, n. 10749; Cass. 21 gennaio 2020, n. 1163; Cass. 14 febbraio 2020, n. 3796), che non si verifica nel caso di specie;

10. inoltre, a suggello riepilogativo finale, il ricorso non illustra affatto la vicenda raccontata dal richiedente, che integra requisito essenziale, prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuare necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072; Cass. 12 marzo 2020, n. 7025;

11. pertanto il ricorso deve dichiarato inammissibile, senza assunzione di un provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto difese e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 29 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

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