Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34311 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/11/2021, (ud. 24/09/2021, dep. 15/11/2021), n.34311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALSAMO Milena – rel. Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11348/2018 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato Cesarini Vincenzo;

– ricorrente –

contro

Equitalia Centro Spa, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2109/2017 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA,

depositata il 28/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/09/2021 dal consigliere Dott. BALSAMO MILENA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.D. ricorre sulla base di quattro motivi per la cassazione della sentenza n. 2109/2017, depositata il 28 settembre 2017, con la quale la CTR della Toscana, nel riformare la sentenza di primo grado, accoglieva il gravame, statuendo che i crediti sorti nell’ambito dell’attività professionale del contribuente erano stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia; – che questi erano stati in parte sgravati dall’amministrazione finanziaria sino all’ammontare di Euro 17.625,13.

L’Agenzia delle Entrate – Riscossione ha replicato con controricorso, eccependo l’infondatezza del ricorso introduttivo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

2. Il primo motivo di ricorso formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), espone la denuncia di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, per avere la Regionale affermato la legittimità dell’iscrizione ipotecaria nonostante il credito tributario fosse inferiore all’importo di Euro 20.000,00 indicato dalla citata norma quale limite al di sotto del quale non è possibile per l’amministrazione procedere alla iscrizione ipotecaria.

Si sostiene, altresì, che il giudicante avrebbe dovuto dichiarare la parziale cessazione della materia del contendere, in presenza del sopravvenire della riduzione del credito tributario.

3. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 76, come novellato dal D.L. n. 69 del 2013, art. 52, lett. g, che impedisce l’iscrizione ipotecaria se l’unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso, è adibito ad uso abitativo e vi risiede anagraficamente.

3. La terza censura prospetta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4), per omessa pronuncia parziale sulla istanza di cessazione della materia del contendere per sopravvenienza della impignorabilità della prima casa citato ex art. 76.

4. Con l’ultimo mezzo, si lamenta la violazione dell’art. 170 c.c., per avere i giudici regionali affermato la correlazione tra i debiti relativi all’attività di impresa ed i bisogni della famiglia, benché la pretesa fiscale (relativa all’Iva ed irpef) fosse stata accertata durante una verifica fiscale nei confronti del ricorrente per la sua attività di professionista, il che escluderebbe a priori la riconducibilità del debito ai bisogni della famiglia.

In aggiunta, deduce che l’immobile sul quale è stata iscritta ipoteca appartiene al fondo patrimoniale costituito con atto regolarmente trascritto.

5. La prima e la seconda censura sono inammissibili.

Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 76, stabilisce il divieto di iscrizione di ipoteca per crediti inferiori a ventimila Euro. L’ipoteca, rappresentando un atto preordinato all’espropriazione immobiliare, soggiace agli stessi limiti per quest’ultima stabiliti dal medesimo D.P.R., art. 78, e non può, quindi, essere iscritta se il debito del contribuente non supera la soglia legale.

Emerge dal ricorso che la questione della “soglia legale” di iscrivibilità dell’ipoteca non è stata sottoposta dal contribuente alla CTR della Toscana, atteso che con le controdeduzioni in appello il contribuente insisteva nella impignorabilità dell’immobile per l’estraneità del credito vantato dall’Agenzia ai bisogni della famiglia. Solo in data (OMISSIS), il C. depositava documentazione dalla quale risultava il parziale sgravio emesso dall’Agenzia in data (OMISSIS) che riduceva l’importo dovuto ad Euro 17.625,13, senza, tuttavia, eccepire la sopravvenuta improcedibilità della iscrizione ipotecaria per il mancato raggiungimento della soglia legale.

Trattandosi di un vizio sopravvenuto dell’atto riscossivo è evidente che tale eccezione doveva essere sollevata dalla parte interessata almeno con le controdeduzioni in appello ovvero con le memorie difensive, da depositarsi venti giorni prima della udienza di trattazione, non trattandosi di un’eccezione rilevabile d’ufficio (cfr. ex multis, da ultimo Sez. 5, Sentenza n. 13126 del 24/06/2016; Cass. n. 12699 del 2017).

Ed invero con la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, si è attuata quella che si può definire una vera e propria “rivoluzione copernicana” nel diritto tributario. Con il nuovo testo di legge, in sostanza, viene sancito l’obbligo di specificare già nel ricorso introduttivo del procedimento tutte le domande e le eccezioni, sia di rito, sia di merito. Ogni successiva integrazione dei motivi non è più ammessa, tranne che nei casi tassativamente previsti dal citato D.Lgs., art. 24. Il citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, chiarisce, in merito, che, pur avendo il processo tributario natura inquisitoria, le commissioni tributarie esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta “ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti”.

Alla luce di quanto finora detto e della prevalente giurisprudenza della sezione tributaria emerge che il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso e tale caratteristica circoscrive il dibattito alla pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato. Ne consegue che non è consentito al giudice tributario, pur se libero di qualificare giuridicamente i fatti allegati a sostegno della pretesa fiscale, di estendere la propria indagine sulla fondatezza della pretesa all’esame di circostanze nuove ed estranee a quelle originariamente invocate dall’ufficio ovvero sottoposte in sede di appello in quanto dipendenti da fatti sopravvenuti. Pertanto l’organo giudicante si pronuncia nell’ambito dei presupposti di fatto e di diritto indicati nel ricorso introduttivo, ma pur sempre entro i limiti delle contestazioni mosse dal contribuente. Tali principi trovano conferma nella sentenza della Cassazione n. 9754 del 2003, secondo cui “Il giudizio tributario, anche in base alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, art. 19 e art. 24, comma 2, è sostanzialmente caratterizzato da un meccanismo d’instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati, e ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo, in primo grado, onde delimitare sin dalla nascita del rapporto 3rocessuale tributario le domande e le eccezioni proposte dalle parti. Da ciò consegue che nuove censure del contribuente, introdotte in appello con memoria aggiuntiva, sono inammissibili perché comportano l’esame di una nuova causa petendi”.

Il contribuente, assumendo la veste sostanziale di parte attrice, ha l’onere di allegazione (e di prova) dei fatti costitutivi dei suo credito verso l’erario, mentre grava sull’Amministrazione Finanziaria convenuta quello di esporre le proprie difese (e di indicare le prove di cui intende valersi), prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e proponendo le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. In relazione a tali oneri va interpretata, quindi, la preclusione alla proposizione nel secondo grado del giudizio di eccezioni nuove, posta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2. Ciò in quanto, da un lato, deve escludersi che la norma comporti l’improponibilità con nuovi argomenti di eccezioni già formulate (laddove non venga violato il divieto di ampliamento in appello del thema decidendum al rispetto del quale è funzionale il limite imposto dalla legge). Dall’altro, non può ritenersi inclusa nella sua operatività la nuova prospettazione di c. d. eccezioni improprie, o mere difese, dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del Giudice dell’inesistenza dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, della cui prova era onerato il contribuente.

A conferma di quanto detto si richiama la sentenza 03.03.2005, n. 4602, nella quale la Cassazione ribadisce che è improponibile per la prima volta in appello l’eccezione, che non sia rilevabile anche d’ufficio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, ovvero la prospettazione di una ragione su cui il giudice non può pronunciarsi, se ne manchi l’allegazione ad opera delle parti.

In tema di contenzioso tributario, pertanto, costituisce eccezione in senso tecnico lo strumento processuale con il quale il contribuente (convenuto in senso sostanziale) faccia valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa fiscale, con conseguente improponibilità, per la prima volta, nel giudizio d’appello dell’eccezione stessa, che non sia rilevabile anche d’ufficio, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2.

Il processo tributario è dunque disciplinato da un regime difforme da quello processuale civile – a parte le ipotesi non disciplinate espressamente dal D.Lgs. n. 546 del 1992, che, se compatibili, sono regolate dalle norme processuali ordinarie – in virtù del quale la questione della “soglia legale” di iscrivibilità dell’ipoteca trattandosi di un vizio dell’atto riscossivo – è eccezione doveva essere posta in quanto sopravvenuta allo sgravio disposto nelle more del giudizio di merito, con le memorie di cui al prefato D.Lgs., art. 32, non trattandosi di un’eccezione rilevabile d’ufficio (cfr. ex multis, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 13126 del 24/06/2016, Rv. 640141 – 01, e da ultimo Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12699 del 19/05/2017, Rv. 644259 – 01; Cass. n. 22859 del 26/09/2018 – Rv. 650815 – 01).

Sotto altro profilo, si osserva che in ottemperanza al principio di autosufficienza, la ricorrente, riportando nel ricorso il testo delle controdeduzioni in appello ha dimostrato l’omessa deduzione della relativa eccezione.

Le eccezioni non rilevabili d’ufficio sono, difatti, quelle nelle quali la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva, ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere che il giudice di merito possa tener conto di tutte le circostanze di fatto evincibili dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass. 13.1.2012, n. 409).

Difatti, in relazione all’opzione difensiva della parte consistente nel contrapporre alla altrui pretesa fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sostanziale dedotto in causa, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito, mentre il secondo compete alla parte solo nei casi in cui la manifestazione della volontà di quest’ultima sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo delle fattispecie difensiva, ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass. 20.5.2010, n. 12353; Cass. s.u., 3.2.1998, n. 1099; Cass. n. 27998 del 2018).

5.1 Le medesime considerazioni vanno svolte con riferimento al motivo relativo alla impignorabilità della prima casa, la cui deduzione non emerge dalla trascrizione dei motivi del ricorso originario, ma solo dalla trascrizione di parte delle controdeduzioni di appello e neppure dalla motivazione della sentenza di appello, con conseguente assorbimento della terza censura.

5.2 In ogni caso, si osserva che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza, n. 19667/2014 – seppur affrontando il diverso tema dell’applicabilità o meno alla fattispecie prevista al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, del medesimo citato Decreto, art. 50, comma 2, – sono pervenute ad escludere l’iscrizione ipotecaria, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77, dall’ambito specifico dell’espropriazione. In particolare, ritenendo valide le medesime conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite con l’ordinanza n. 14831 del 2008 rispetto al fermo amministrativo, hanno affermato – nella parte motiva – che, nonostante la collocazione nel D.P.R. n. 602 del 1973, Titolo II, al capo II, della disciplina dell’iscrizione di ipoteca potrebbe far propendere maggiormente ad una relazione strettamente funzionale della stessa con l’espropriazione forzata, “l’iscrizione ipotecaria, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77,non costituisce atto dell’espropriazione forzata, ma va riferita ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria”.

Ciò posto, questa Corte, a fronte, quindi, della dichiarata natura alternativa e svincolata dall’esecuzione forzata dell’iscrizione di ipoteca finalizzata ad assicurare la riscossione de crediti tributari – per come meglio supra – ne ha affermato sia la giuridica autonomia della disciplina (v. tra le altre, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4464 del 07/03/2016) sia la funzione di garanzia. (cfr. Cass. n. 13618 del 2018).

5.3 Ebbene, proprio in merito a quest’ultima, la Corte ha avuto modo di specificare (v. Cass. n. 7002 del 2020) come le previsioni di vincoli sulla natura dei beni, quali cause di “inespropriabilità” – in particolare, (l’indisponibilità ed impignorabilità di immobili, ex artt. 828-830 c.c. – non ostano all’iscrizione su di essi dell’ipoteca, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77, atteso che detti vincoli assumono rilevanza in merito all’espropriazione forzata, e non anche rispetto all’ipoteca, quale atto solo preordinato all’esecuzione, avente funzione di garanzia e di cautela.

Va poi sottolineato che – in conformità alla ratio dell’istituto del diritto reale di garanzia – il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 3, ha introdotto al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, il comma 1-bis, a mente – del quale “L’agente della riscossione, anche al solo fine di assicurare la tutela del credito da riscuotere, può iscrivere la garanzia ipotecaria di cui al comma 1, anche quando non si siano ancora verificate le condizioni per procedere all’espropriazione di cui all’art. 76, commi 1 e 2, purché’ l’importo complessivo del credito per cui si procede non sia inferiore complessivamente a ventimila Euro.” Ai sensi del citato D.P.R., art. 77, “L’agente della riscossione, anche al solo fine di assicurare la tutela del credito da riscuotere, può iscrivere la garanzia ipotecaria di cui al comma 1, anche quando non si siano verificate le condizioni per procedere ad espropriazione di cui all’art. 76 commi 1 e 2”. E’, quindi, la stessa evoluzione della disciplina di riscossione a rendere pensabile ora la possibilità di iscrivere ipoteca quand’anche non si siano ancora verificate le condizioni per procedere all’espropriazione, ovvero quand’anche ex lege inibite, e ciò “anche al solo fine di assicurare la tutela del credito da riscuotere” fatta salva, comunque, la soglia minima del quantum da recuperare.

Ed infatti, l’iscrizione ipotecaria de qua, per la sua finalità di tutela, incontra l’unico limite del quantum debeatur, così per come fissato dal legislatore, e non soggiace ai limiti per procedere ad esecuzione forzata, attesa la natura, meramente, di tutela del credito” da riscuotere.

Se il decreto del fare ha inciso profondamente sulla disciplina riguardante i pignoramenti immobiliari da parte dell’Agenzia, nulla cambia per quanto attiene la possibilità per l’ente della riscossione di iscrivere ipoteca sui beni immobili del contribuente. Resta così immutato il regime della misura cautelare per i beni immobili previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 76, come modificato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 16.

Da un lato, dunque, l’iscrizione ipotecaria non costituisce atto di espropriazione forzata (Cass. trib 22.2.2017 n. 4587), dall’altro, sulla casa di abitazione può essere iscritta ipoteca da parte dell’agente della riscossione a garanzia della sua pretesa creditoria, in quanto essa continua a far parte dei beni che assicurano la garanzia patrimoniale dell’art. 2740 c.c..

6. L’ultimo motivo è destituito di fondamento.

Al riguardo, deve precisarsi che questa Corte, dopo alcuni arresti (cfr. Cass. n. 19667 del 2014, Cass. n. 15354 del 2015 e Cass. n. 10794 del 2016) che avevano affermato che l’esecuzione richiamata dall’art. 170 c.c., fosse estranea all’iscrizione ipotecaria che, quindi, doveva ritenersi generalmente consentita, ha statuito più specificamente, con principio al quale questo Collegio intende dare continuità, che “in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’iscrizione ipotecaria di cui D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’art. 170 c.c., sicché è legittima solo se l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia, circostanze che non possono ritenersi dimostrate, né escluse, per il solo fatto dell’insorgenza del debito nell’esercizio dell’impresa.”(Ordinanza n. 3738 del 2015; Cass. n. 23876 del 2015). In conseguenza di ciò, il debitore deve necessariamente dimostrare non solo la regolare costituzione del fondo patrimoniale e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il debito nei confronti di tale soggetto sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari.

Ha osservato, in particolare, questa Corte che “L’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, sicché, ove sia proposta opposizione, ex art. 615 c.p.c., per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a tal fine occorrendo che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa: pertanto, i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari”(Cass. n. 20998 del 2018; Cass. n. 222761 del 2016; Cass. n. 641 e Cass. n. 5385 del 2015; Cass. n. 23876 del 2015, Cass. n. 3738 del 2015; Cass. n. 4011 del 2013).

Nel caso in esame, la CTR ha correttamente affermato che anche i debiti contratti per l’attività professionale del contribuente possono ritenersi contratti per i bisogni della famiglia, salva la prova contraria offerta dal contribuente, sul quale incombe l’onere di dimostrare che il debito che intende soddisfare fosse stato contratto per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte di Cassazione:

Rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla refusione delle spese sostenute dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione che liquida in Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della quinta sezione della Corte di cassazione, il 24 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

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