Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3431 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 3431 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA

SENTENZA

sul ricorso 1894-2008 proposto da:
MAMAZZA GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA,
presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato FIORITO SERGIO
giusta delega in atti e CARUSO MARIA GRAZIA con studio
in CATANIA VIA DALMAZIA 5 giusta procura speciale del
2013
2462

Dott.

D’ORO

Notaio NATALIA

in MASCALUCIA il

15/10/2013, rep. n. 3507;
– ricorrente contro

COM TREMESTIERI ETNEO 00646630871 in persona del

1

Data pubblicazione: 14/02/2014

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato FRENI MATTEO
giusta delega in atti;
– controricorrente –

di CATANIA, depositata il 02/10/2007, R.G.N.
1768/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/12/2013 dal Consigliere Dott.
GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine per il rigetto del
ricorso;

2

avverso la sentenza n. 967/2007 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l.

Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 2 ottobre

2007, la Corte d’Appello di Catania ha rigettato l’appello
proposto da Giovanni Mamazza nei confronti del Comune di
Tremestieri Etneo avverso la sentenza del Tribunale di Catania

domanda del Mamazza diretta ad ottenere il risarcimento dei
danni per il mancato rilascio del certificato di agibilità,
previa autorizzazione al cambio di destinazione d’uso, di un
immobile “destinato a sala cinematografica con bar e
pasticceria”, che egli aveva promesso in vendita a terzi con due
preliminari, rimasti inadempiuti, secondo l’attore, a causa del
comportamento del Comune.
2.

Proposto appello da parte del Mamazza, la Corte d’Appello

ha, come detto, rigettato il gravame, ritenendo, in primo luogo,
che nei confronti della pubblica amministrazione sia
configurabile il danno da ritardo nell’adozione di un
provvedimento favorevole per il privato a condizione che
quest’ultimo abbia assolto agli obblighi allo stesso imposti
dalla legge e che, nel caso di specie, il provvedimento
richiesto dal Mamazza non avrebbe potuto essere emanato

«non

avendo l’attore posto in essere i vari adempimenti prescritti
dalla legge>>,

sicché, in mancanza di questi,

ritardo può essere addebitato al Comune>>.

«nessun colpevole

In secondo luogo, ha

ritenuto che l’appellante non avesse dato prova del danno
concretamente subito, non essendo all’uopo sufficienti i

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del 29 giugno 2002. Con questa sentenza era stata rigettata la

contratti preliminari prodotti in giudizio (trattandosi di
scritture formate da una delle parti

e da un terzo e quindi

liberamente apprezzabili dal giudice solo in concorso con altre
circostanze) e non essendo ammissibile -a parere della Corte- la
prova testimoniale richiesta dall’appellante. La Corte d’Appello

condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado.
3.- Avverso la sentenza Giovanni Mamazza propone ricorso
affidato a due motivi.
Il Comune di Tremestieri Etneo si difende con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l.-

Col primo motivo di ricorso si prospettano due vizi

distinti, denunciati rispettivamente ai sensi del n. 3 e del n.
5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ.
Col primo si lamenta la

<< violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043 segg., 2697 segg. cod. civ. in relazione all'art. 346 e all'art. 112 c.p.c. >>.
Il ricorrente censura la decisione della Corte d’Appello per
aver mandato esente da responsabilità l’amministrazione comunale
ritenendo non addebitabile alla medesima il ritardo nel rilascio
dell’autorizzazione al mutamento di destinazione d’uso
dell’immobile a causa del comportamento dell’istante, che,
secondo la Corte, non avrebbe adempiuto agli obblighi su di lui
gravanti.

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ha perciò confermato la sentenza di rigetto del Tribunale,

Il ricorrente deduce che l’<> di non addebitabilità
al Comune del ritardo nel rilascio del provvedimento
amministrativo, che pure era stata proposta dal Comune di
Tremestieri Etneo in primo grado, non sarebbe stata riproposta
in appello ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ. e quindi la

non violando appunto quest’ultima norma e l’art. 112 cod. proc.
civ.
1.1.- Il motivo è infondato.
Va ribadito il principio per il quale, in tema di risarcimento
del danno per lesione di interessi legittimi, l’accertata
illegittimità della condotta della P.A. o di suo organi,
derivante dal ritardo, dall’inerzia o dalla mancata istruzione
del procedimento, che si traducono nella violazione dell’obbligo
di portarlo comunque a compimento (in modo favorevole o
sfavorevole per l’istante), non è sufficiente ai fini
dell’affermazione della responsabilità aquiliana, occorrendo
altresì che risulti danneggiato l’interesse al bene della vita
al quale è correlato l’interesse legittimo dell’istante, e che
detto interesse risulti meritevole di tutela alla luce
dell’ordinamento positivo. In riferimento al rilascio di una
‘.

concessione edilizia, l’accertamento di tale interesse implica
un giudizio prognostico sulla fondatezza dell’istanza, da
condursi in riferimento alla normativa di settore ed agli
elementi offerti dall’istante, onde stabilire se costui fosse
titolare di una situazione suscettibile di determinare un

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Corte territoriale non avrebbe potuto esaminarla d’ufficio, se

oggettivo affidamento circa la conclusione positiva del
procedimento (così Cass. n.12455/08; cfr. anche Cass. n.
21170/11).
Pertanto, spetta all’istante, che si assume danneggiato dalla
p.a., dimostrare di essere stato titolare di una situazione

amministrativo richiesto e che il mancato rilascio, dal quale
sostiene gli siano derivati i danni di cui chiede il
risarcimento, sia imputabile esclusivamente al comportamento
colpevolmente dilatorio od omissivo dell’ente pubblico, tale
che, se invece quest’ultimo avesse agito con diligenza e
nell’osservanza delle norme che regolano l’azione
amministrativa, avrebbe conseguito quanto richiesto.
A fronte dell’onere della prova così gravante sull’attore,
rientra nell’attività difensiva della p.a. convenuta la
deduzione della mancanza in capo a quest’ultimo di un interesse
legittimo a carattere pretensivo tutelabile, per non avere lo
stesso fatto tutto quanto a lui richiesto per ottenere il
provvedimento amministrativo preteso.
Trattandosi di una mera difesa, trova applicazione il principio
per il quale le eccezioni vietate in appello, ai sensi dell’art.
345, comma secondo, cod. proc. civ. (o quelle da riproporre ai
sensi dell’art. 346 cod. proc. civ. per evitare la presunzione
di rinuncia prevista da questa norma), sono soltanto quelle in
senso proprio, ovvero “non rilevabili d’ufficio”, e non,
indiscriminatamente, tutte le difese, comunque svolte dalle

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soggettiva tale che gli sarebbe spettato il provvedimento

parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di
controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e risultanti
dalle acquisizioni processuali essere rilevati d’ufficio dal
giudice alla stregua delle eccezioni “in senso lato” o
“improprie” (Cass. n. 11774/07, n. 11015/11 ed altre).
Alla medesima conclusione si dovrebbe peraltro pervenire

ove si ritenesse soltanto il concorso del fatto colposo del
danneggiato ai sensi dell’art. 1227, comma primo, cod. civ.,
poiché tale ipotesi configura non un’eccezione in senso proprio,
ma una semplice difesa, che deve essere esaminata, anche,
d’ufficio, dal giudice, sempre che risultino prospettati gli
elementi di fatto dai quali sia ricavabile – sul piano causale la colpa concorrente dello stesso danneggiato (Cass. n.
15382/06, n. 12714/10). La conseguenza è che anche il giudice
d’appello può valutare d’ufficio detto concorso di colpa, pure
nel caso in cui il danneggiante si limiti a contestare

in toto

la propria responsabilità (Cass. n. 6529/11, nonché Cass. S.U.
n. 13902/13).
1.3.-

Ne segue che, nel caso di specie, il giudice d’appello

doveva delibare il comportamento della parte privata, tenendo
conto di tutti gli elementi offerti sia da quest’ultima che
dalla controparte. In particolare, rientrava nel

thema decidendi

del giudizio di gravame la verifica d’ufficio della situazione
soggettiva che si assumeva lesa, dovendosi allo scopo
considerare non solo le allegazioni dell’attore appellante ma
anche le difese del Comune di Tremestieri Etneo; vale a dire, le

7

1.2.-

difese già svolte in primo grado -ma da reputarsi richiamate in
appello- con la ricostruzione dell’iter amministrativo che era
seguito all’istanza di rilascio dell’autorizzazione al cambio di
destinazione d’uso e con l’indicazione degli adempimenti
richiesti all’istante (in particolare, versamento dell’oblazione

presentazione della scheda relativa alla determinazione del
contributo per oneri e costo di costruzione), la cui mancata
esecuzione, secondo lo stesso Comune, aveva comportato l’esito
sfavorevole del procedimento.
Il Comune non aveva alcun onere processuale di riproposizione
della questione ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., poiché
non si trattava di un’eccezione, tale che, in mancanza di
esplicita riproposizione, si potesse ritenere rinunciata e
perciò non esaminabile d’ufficio da parte del giudice di secondo
grado. La Corte d’Appello non ha violato tale ultima norma, né
quella dell’art. 112 cod. proc. civ., nel valutare, in sede di
gravame, la condotta tenuta dal danneggiato nel contesto
dell’iter amministrativo volto ad ottenere l’autorizzazione al
cambio di destinazione d’uso.
Non sussiste nemmeno la violazione degli altri articoli di legge
indicati in rubrica con riferimento alle conclusioni raggiunte
all’esito di detta valutazione.
Ed, invero, una volta accertato, in punto di fatto, il mancato
adempimento da parte del Mamazza di obblighi su di lui
incombenti e propedeutici al rilascio dell’autorizzazione al

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dovuta ai sensi dell’art. 13 della legge regionale 37/85 e

cambio di destinazione d’uso, la Corte d’Appello non avrebbe
potuto concludere se non nel senso della mancanza di ogni
responsabilità in capo al Comune per essere stato il
comportamento del danneggiato ostativo al rilascio
dell’autorizzazione.

detto è stato censurato dal ricorrente. Col primo motivo di
ricorso il Mamazza ha dedotto, oltre al vizio di violazione di
legge, il vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria
su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360
n. 5 cod. proc. civ.
La censura ai sensi di quest’ultima norma è tuttavia
inammissibile.
Il ricorso è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al
regime dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (inserito dall’art. 6
del decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40, ed abrogato
dall’art. 47, comma l, lett. d, della legge 18 giugno 2009 n.
69), applicabile in considerazione della data di pubblicazione
della sentenza impugnata

(2 ottobre 2007).

Quando venga denunciato il vizio di omessa contraddittoria o
insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio, è necessario che il ricorso contenga il c.d.
quesito di fatto, o momento di sintesi, richiesto dalla norma
dell’art. 366

bis,

seconda parte, cod. proc. civ., così come

interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, che qui si
ribadisce (cfr. Cass. S.U. n. 20603/07, secondo cui, in tema di

9

2.- In effetti, anche l’accertamento in fatto di cui si è appena

formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i
provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2
febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, poiché secondo l’art. 366

bis cod.

proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto

motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara
indicazione del fatto controverso in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le
ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione
la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa
censura deve contenere, un momento di sintesi -omologo del
quesito di diritto- che ne circoscriva puntualmente i limiti, in
maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del
ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; nello stesso
senso, tra le altre, Cass. n. 24255/11).
Nel caso di specie, il quesito formulato dal ricorrente alle
pagine 13-14 del ricorso, con riguardo al primo motivo, sembra
comprendere, in un’unica proposizione, il quesito di diritto
riferito al vizio di violazione di legge ed il c.d. quesito di
fatto riferito al vizio di motivazione.
Quest’ultimo è espresso nei seguenti termini:<<__La eccezione di non imputabilità del comportamento illecito sollevata dalla P.A. _non può essere esaminata d'ufficio dal giudice, il quale peraltro è tenuto a motivare indicando specificamente quali adempimenti il privato avrebbe dovuto porre in essere per 10 dall'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l'illustrazione di ciascun consentire alla amministrazione di procedere regolarmente ad esaminare i provvedimenti richiesti, per poi accertare se la correlativa prova sia stata fornita e ciò nel caso che tale omissione venga ricondotta all'ambito della responsabilità sia contrattuale sia extracontrattuale>>.

di inammissibilità dovuto alla confusione, in un unico quesito,
dei profili attinenti ai due distinti vizi di violazione di
legge e di insufficiente motivazione, la seconda parte del
quesito sopra riportata non integri il momento di sintesi
idoneo, ai sensi dell’art. 366

bis,

seconda parte, cod. proc.

civ. come sopra interpretato, a circoscrivere i limiti della
censura, vale a dire ad individuare con precisione il fatto
controverso e decisivo per il giudizio sul quale la motivazione
si assume omessa o contraddittoria o le ragioni per le quali
risulta insufficiente, avuto riguardo al tenore della sentenza
impugnata ed ai profili di critica del ricorrente.
Ed invero, alla stregua della giurisprudenza di legittimità,
richiamata anche nella memoria del ricorrente, per poter
configurare il vizio di motivazione su un asserito punto
decisivo della controversia è necessario un rapporto di
causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la
soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere
che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe
portato ad una diversa soluzione della vertenza. Il mancato
esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a

11

Il collegio ritiene che, anche a voler prescindere dal profilo

fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di
un punto decisivo solo se le risultanze processuali non
esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza
e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre
risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la

ratio

le altre nonché, da ultimo, Cass. n. 18368/13).
Nel caso di specie, la <> l’affermazione della
sentenza impugnata circa la sua colpevole inerzia ed, allo
scopo, ha riportato l’indice del fascicolo d’appello. Orbene,
sia le deduzioni che tale ultima elencazione sono atte a dar
conto dell’avvenuta produzione dei documenti, ma non consentono

13

aveva versato l’importo dell’oblazione dovuta ai sensi dell’art.

di riscontrarne la decisività, ai sensi e per gli effetti
dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (nel testo applicabile
ratione temporis).

In particolare, non emerge dal motivo del

ricorso che i documenti indicati dal ricorrente fossero
esattamente quelli sulla cui mancanza il Comune aveva fondato le

pretesa del Mamazza; vale a dire che è rimasta mera asserzione
del ricorrente quella per la quale se i detti documenti fossero
stati considerati dalla Corte questa sarebbe dovuta pervenire a
diversa conclusione.
Pertanto, il primo motivo di ricorso, infondato quanto al primo
profilo di censura ed inammissibile quanto al secondo, va
rigettato.
3.

Il rigetto del primo motivo, concernente la sussistenza

della condotta colposa imputabile alla pubblica amministrazione,
quale causa dei danni lamentati dal ricorrente, comporta
l’assorbimento del secondo, concernente la sussistenza di questi
danni.
La peculiarità della vicenda oggetto di causa induce a ritenere
che vi siano giusti motivi per compensare le spese del giudizio
di cassazione ai sensi dell’art. 92, comma secondo, cod. proc.
civ., nel testo vigente prima delle modifiche apportate con le
leggi n. 263 del 2005 e n. 69 del 2009.
Per questi motivi

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, assorbito il
secondo; compensa le spese del giudizio di cassazione.

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proprie difese e la Corte d’Appello ha ritenuto infondata la

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2013.

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