Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 343 del 10/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 343 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

ORDINANZA
sul ricorso 25224-2011 proposto da:
EMMEVI DAVIMAR SAS DI GRIOTTI DANIELE & C. 04461230015 (già Virano
Paolo & C.) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA ILDEBRANDO GOIRAN 23, presso lo studio dell’avvocato ROMOLI
ADRIANA, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro
CONDOMINIO RESIDENCE LA PEPINIERE 90004610086 in persona
dell’Amministratore pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE
QUATTRO FONTANE 10, presso lo studio dell’avvocato GHIA LUCIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato BUSCAGLIA ILVO, giusta procura a
margine del controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 1038/2010 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del

23.9.2010, depositata il 02/10/2010;
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Data pubblicazione: 10/01/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/06/2013 dal
Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Massimo Cammarota (per delega avv. Adriana Romoli)
che si riporta ai motivi del ricorso e deposita inoltre n. 2 cartoline;
udito per il controricorrente l’Avvocato Daniela Ciardo (per delega avv. Lucio Ghia) che

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. SERGIO DEL CORE che si
riporta alla relazione scritta.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 26 novembre 2012, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:
“1. Il Tribunale di Genova rigettava l’impugnazione della delibera emessa dal,
Condominio Residence la Pepiniere in Ospedaletti, via dei Pepi n. 13, proposta da
EMMEVI-DAVIMAR di Virano Paolo & C. s.a.s., proprietaria di un appartamento sito
nel predetto complesso immobiliare, con la quale l’istante aveva lamentato che: i
condomini a maggioranza avevano deciso, relativamente alle autorimesse sottostanti il
campo da tennis condominiale, la realizzazione, nell’area giardino confinante con la Via
Pepi, di nuove aperture di aerazione alte circa 65 cm. e ricoperte da un bauletto a
protezione della pioggia, con conseguente rimozione di tutta la siepe posta in loco; tale
delibera doveva ritenersi nulla, in quanto lesiva del diritto del condominio di servirsi
della cosa comune nei limiti previsti dall’art. 1102 c.c.; l’eliminazione dell’area verde
aveva comportato una limitazione dell’uso del campo da tennis, essendo quest’ultimo
sottoposto all’immissione dei fumi provenienti dalle autorimesse.
La sentenza era confermata in sede di gravame, in cui — disattesa l’eccezione di carenza
di legittimazione dell’amministratore del Condominio, era escluso che fosse stato a
maggioranza costituito un diritto di servitù a carico del Condominio, posto che: i lavori
— resi necessari per il rilascio del certificato prevenzione incendi in relazione alle
autorimesse — rivestivano interesse non solo per i terzi proprietari delle stesse ma anche
per il Condominio; in considerazione della

contenute

dell’intervento, l’utilizzo dei

singoli beni non aveva mutato il godimento dei singoli beni; le aperture sul lato sud
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si riporta agli scritti.

erano preesistenti, per cui era da escludere che i lavori avessero comportato la
costituzione di una nuova servitù; le immissioni dovevano ritenersi trascurabili, mentre
non era stata mutata la destinazione dei beni; era confermato il rigetto delle istanze
istruttorie essendovi stata decadenza.
Ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi EMMEVI-DAVIMAR di

Ha resistito l’intimato.
2. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 376,380 bos e
375 cod.proc.civ, essendo manifestamente infondato.
Il primo motivo censura la sentenza laddove aveva ritenuto legittimato l’amministratore
a resistere alla presente lite, che non rientrava nelle attribuzioni di cui all’art. 1131
cod.civ. nell’ambito delle quali il medesimo può agire o resistere in giudizio senza
l’autorizzazione o ratifica dell’assemblea: di conseguenza la costituzione del Condominio
doveva essere considerata invalida con conseguente nullità della sentenza impugnata.
Il motivo va disatteso.
Va qui ricordato che l’amministratore del condominio è sempre legittimato a resistere
contro l’impugnazione delle deliberazioni assunte dall’assemblea, tenuto conto che la
legittimazione passiva non incontra limite alcuno nelle controversie riguardanti le parti
comuni (cfr. in motivazione Cass. 11757/2012 e 3542/1994): il che è assorbente di ogni
altra considerazione e quindi rende inutile la verifica circa l’ammissibilità, ex art. 372
cod.proc.civ., della produzione da parte resistente dell’autorizzazione o della ratifica
dell’assemblea.
Il secondo motivo censura la decisione gravata che aveva erroneamente ritenuto
preesistenti sul lato sud le aperture di areazione, così escludendo la violazione dell’art.
1108 terzo comma cod.civ. che vieta la costituzione a maggioranza di una servitù,
quando invece preesistenti semmai erano le aperture vano sul lato nord, per cui era
rilevante la chiesta acquisizione delle planimetrie che avrebbe consentito di accertare
l’esecuzione di lavori ex novo. Erroneamente si era fatto riferimento alla norma sopra
citata e mai richiamata da essa ricorrente, che non riguarda la denunciata limitazione al

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Virano Paolo & c. s.a.s.

godimento della cosa comune, tenuto conto delle esalazioni dei gas di scarico
provenienti dalle autorimesse e dell’eliminazione di un’area a verde.
Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 1120 cod.civ., posto che le innovazioni
devono riguardare miglioramenti della cosa comune, mentre i lavori andavano a
vantaggio di terzi estranei al Condominio; non possono rendere inservibili all’uso o al

architettonico, e ciò a prescindere dall’entità dell’intervento che comunque si era rivelato
notevole e aveva comportato una notevole modifica del bene comune, atteso che la siepe
era stata abbattuta ed era stato edificato al suo posto un manufatto in cemento su una
superficie di mq. 13. Il Condominio non aveva dimostrato che le aperture erano
preesistenti.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 184 bis per avere ritenuto la ricorrente
decaduta dalla richiesta di acquisizione delle planimetrie allegate al regolamento di
condominio formulata alla stessa udienza in cui aveva appreso che la controparte non
aveva ottemperato all’ordine di esibizione della medesima documentazione, per cui la
tardività della richiesta non era imputabile a colpa della ricorrente: si trattava di
documentazione decisiva, in quanto dalle planimetrie si evinceva l’assenza di aperture
preesistenti.
Nel denunciare la violazione dell’art. 2697 cod.civ., deduce che la sentenza aveva fondato
il suo convincimento sulla preesistenza delle aperture che era stata invocata dal
convenuto il quale aveva l’onere di fornirne la relativa prova, che non aveva dato ed era
anzi smentita dal comportamento tenuto dall’amministratore, che non ebbe a

godimento anche di un solo condomino le parti comuni, vietando la lesione del decoro

ottemperare all’ordine di esibizione, nonché da quanto risultato dalla perizia dell’ing.
Giordano e dalle fotografie in atti.
I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente stante la stretta connessione, sono
infondati.
La sentenza ha accertato che: era incontroverso che le aperture fossero preesistenti; i
lavori di areazione rispondevano anche ad esigenze del Condominio, che aveva interesse
ad adeguata areazione delle autorimesse in caso di incendio; l’utilizzo dei beni comuni

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ti

non aveva subito alcun mutamento, attesa la ridotta portata degli interventi; la
preesistenza delle aperture escludeva la costituzione di alcuna servitù.
Ciò posto, a) la realizzazione ex novo delle aperture, denunciata fra i motivi posti a base
della denunciata illegittimità della delibera impugnata, costituiva oggetto dell’onere della
prova posto a carico dell’attrice che aveva dedotto la esistenza di un peso e di una

della domanda, ha in concreto accertato che le aperture in questione erano preesistenti,
per cui il riferimento alla violazione dei principi in materia di onere della prova appare
fuori luogo; b) la verifica sulla preesistenza o meno di tali aperture così come l’incidenza
dei lavori eseguiti ovvero la modifica e la compromissione dell’utilizzo e del godimento
della cosa comune o ancora la lesione del decoro architettonico involgono accertamenti
di fatto riservati al giudice di merito che è incensurabile in sede di legittimità se non per
vizio di motivazione che nella specie non è stato neppure dedotto, dovendo in proposito
chiarirsi che per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi
mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione
materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le
modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa
comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione (Cass. 11936/1999;
15460/2002); c) il riferimento all’art. 1108 terzo comma è stato correttamente compiuto
a stregua di quanto dedotto con l’appello, nel quale si denunciava la creazione di u
illegittimo peso (così come riportato nel ricorso, pag. 4, oltre che nella sentenza
impugnata), derivante dalla realizzazione delle aperture; d) la rimessione in termini, tanto
nella versione prevista dall’art. 184-bis cod.proc.civ. che in quella di più ampia portata
contenuta nel’art. 153, secondo comma, cod.proc.civ., come novellato dalla legge 18
giugno 2009 n. 69, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da
una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua
volontà (Cass. 19836/2011) e certamente non può ritenersi tale la circostanza dedotta
dalla ricorrente di avere in sostanza confidato nel fatto che la controparte avrebbe
ottemperato all’ordine di esibizione, quando l’attrice avrebbe potuto attivarsi per

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illegittima innovazione e peraltro il Giudice, nell’ambito della verifica i fatti costitutivi

prendere le iniziative necessarie per la tempestiva produzione della documentazione alla
quale aveva interesse.
P.Q.M.
il ricorso deve essere rigettato”.
Rilevato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui

Ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato e che le spese del presente
giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono, in applicazione del
principio della soccombenza, essere poste a carico della ricorrente.
P . Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, che liquida in complessivi curo 2700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta civile —2, il 6 giugno
2013.

sopra;

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