Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34289 del 23/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 23/12/2019), n.34289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore centrale pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso

gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

COMMERCIO E FINANZA S.p.A.-LEASING E FACTORING, in amministrazione

straordinaria, in persona del Vice Direttore Generale pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, p.zza d’Aracoeli n. 1 presso lo

Studio Maisto e Associati, rappresentata e difesa per procura in

calce al controricorso dall’Avv. Pietro Piccone Ferrarrotti;

-controricorrente-per la cassazione della sentenza n. 7085/46/2014

della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il

14 luglio 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 luglio 2019 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.

Fatto

RILEVATO

che:

Commercio e Finanza S.p.A. Leasing e Factoring (d’ora in poi la Società) propose ricorso avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria alla sua istanza di rimborso dell’imposta sostitutiva, pari al 10% del valore del fondo contributi e impianti oggetto di affrancamento, dell’imposta sul reddito dell’anno 2004;

la Società dedusse di essersi avvalsa, con riferimento al proprio “Fondo contributi impianti”, dell’opportunità offerta dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 473, di affrancamento delle riserve e dei fondi in sospensione di imposta, esistenti nel bilancio dell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2004, mediante il versamento dell’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle società o dell’imposta regionale sulle attività produttive, pari al 10% del valore dei fondi oggetto di affrancamento e di avere, conseguentemente, provveduto a liquidare, mediante indicazione nel quadro RY della dichiarazione dei redditi modello unico 2005, la suddetta imposta provvedendo al pagamento;

a seguito di parere interpretativo dell’Agenzia delle Entrate in base al quale il fondo non avrebbe potuto essere oggetto di affrancamento, la Società presentava dichiarazione integrativa nella quale, però, per errore, non provvedeva a compilare il quadro RX, nel quale avrebbe dovuto indicare il credito derivante dal pagamento dell’imposta sostitutiva;

tale errore veniva rilevato, a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, dallo stesso Ufficio il quale provvedeva a rettificare la dichiarazione, indicando il “rimborso” spettante alla Società del quale, però, ometteva il pagamento tant’è che il 15 dicembre 2010 la contribuente provvedeva a presentare formale istanza di rimborso;

il ricorso, proposto dalla Società, avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Ufficio venne accolto dall’adita C.T.P. con decisione, appellata dall’Agenzia delle entrate e confermata dalla C.T.R. della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe;

in particolare, il Giudice di appello -superando l’eccezione di decadenza, reiterata dall’Agenzia delle Entrate, per avere la contribuente presentato istanza solo il 15.12.2010- riteneva che l’esposizione di un credito di imposta nella dichiarazione dei redditi, seppur a seguito di rettifica della stessa a opera dell’Ufficio, equivaleva a istanza di rimborso satisfattiva della condizione posta dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, per evitare la decadenza;

aggiungeva la C.T.R. che l’adeguamento della Società all’esito dell’interpello costitutiva fattispecie soggetta al termine di decadenza decennale, con conseguente infondatezza dell’eccezione di decadenza sollevata dall’Agenzia;

avverso la sentenza propone ricorso, su tre motivi, l’Agenzia delle Entrate;

la contribuente resiste con controricorso;

il P.G., nella persona del Sostituto Dott. Kate Tassone ha depositato requisitoria con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1 con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, avendo la C.T.R. erroneamente e illegittimamente sovrapposto le due differenti discipline di cui alle norme invocate. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, il Giudice di appello avrebbe erroneamente qualificato istanza di rimborso la mera rettifica, operata dallo stesso Ufficio, della dichiarazione a seguito di controllo automatizzato;

1.1 la censura è infondata. Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, sin dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 2687/2007 (ribadita da Cass. n. ri 6940/2006; 21734/2014; 10690/2018) l’esposizione di un credito di imposta in dichiarazione costituisce istanza di rimborso che soddisfa la condizione posta dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, per evitare la decadenza, con conseguente applicazione dell’ordinario termine di prescrizione decennale, non occorrendo la presentazione di un’apposita istanza, in quanto l’Amministrazione, resa edotta con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, è posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria (Cass.n. 21788/2018);

1.2 nella specie, è irrilevante che l’esposizione del credito nella dichiarazione non fosse stata effettuata dalla contribuente in quanto l’errore materiale in cui la stessa era incorsa, nell’omissione della compilazione dell’apposito rigo, è stato riconosciuto e corretto, in sede di liquidazione D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 36 bis, dalla stessa Amministrazione la quale, per come è pacifico, ha provveduto a rettificare essa stessa la dichiarazione riconoscendo “un’eccedenza di versamento”;

1.3. ne consegue che, seppure è vero che, per altrettanto consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’Amministrazione può contestare il credito esposto in dichiarazione anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non anche dei suoi debiti (cfr. cass.SSUU n. 5069/2016), è altrettanto vero che, nel caso in specie, l’Amministrazione ha tenuto un comportamento concludente incompatibile con il disconoscimento del diritto della contribuente a ottenere il rimborso di quanto indebitamente versato;

1.4 deve, quindi, concludersi nel senso che, nel caso in esame, era applicabile il termine di prescrizione ordinario con conseguente correttezza sul punto della sentenza impugnata;

2 con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e si denuncia di inintelligibilità l’argomentazione svolta ad abundantiam dalla C.T.R. sull’efficacia dell’adesione della Società a quanto prospettato dallo stesso Ufficio in sede di risposta negativa all’interpello;

2.1 La censura è inammissibile. Non si ravvisa la dedotta nullità della sentenza impugnata laddove l’argomentazione svolta dal Giudice di appello e fatta oggetto di censura, non costituisce autonoma ratio decidendi ma, come peraltro riconosciuto dalla stessa ricorrente, ulteriore dissertazione posta a conforto della decisione assunta, e, secondo questa Corte (Cass. n. 8755 del 10/04/2018), “è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam”, e pertanto non costituente una “ratio decidendi” della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse”;

3 con il terzo motivo, infine, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, laddove la C.T.R., ritenendole assorbite, ha ritenuto di non pronunciarsi in merito alle ulteriori questioni prospettate dall’Ufficio in ordine all’insussistenza dei presupposti per chiedere il rimborso;

3.1 La censura è inammissibile alla luce dei principi costantemente ribaditi da questa Corte (Cass. n. 28995 del 12/11/2018; id. n. 28663 del 2013) secondo cui “la figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa”;

3.2. nel caso in esame, appare chiaro dal tenore complessivo della sentenza impugnata che il Giudice di appello ha ritenuto che, dalle ragioni fondanti il rigetto delle eccezioni svolte dall’Agenzia delle Entrate con l’appello, in ordine alla tempestività o meno dell’istanza di rimborso, conseguisse il rigetto delle ulteriori eccezioni, svolte nel merito, avendo l’Amministrazione riconosciuto con la rettifica della dichiarazione la debenza del credito. Onde il mezzo non coglie nel segno.

4.Ne consegue, conclusivamente, il rigetto del ricorso con condanna dell’Agenzia delle Entrate, soccombente, al pagamento in favore della controricorrente delle spese liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle entrate alla refusione in favore della controricorrente delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 10.000,00, oltre 15% per rimborso forfetario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2019

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