Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34282 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. I, 15/11/2021, (ud. 24/09/2021, dep. 15/11/2021), n.34282

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 4170/2018 proposto da:

M.C., quale titolare della Azienda Agraria Tenuta San

Rocco di M.C., elettivamente domiciliata in Roma, Via

Anapo n. 20, presso lo studio dell’avvocato Rizzo Carla,

rappresentata e difesa dall’avvocato Depretis Francesco, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Società Agricola S. Antimo Società Semplice, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

G.P. da Palestrina n. 47, presso lo studio dell’avvocato Iossa

Francesco Paolo, rappresentata e difesa dall’avvocato Marconi

Enrico, giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 836/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

Sez. I – RG 4170/2019 camera di consiglio 24.9.2021, depositata il

13/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2021 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

LA CORTE:

 

Fatto

RILEVA

1. – Tra M.C., titolare dell’impresa denominata Azienda Agraria Tenuta San Rocco, e Società Agricola S. Antimo società semplice è intercorso un “contratto di associazione temporanea di imprese” stipulato il 28 giugno 2002 e della durata di quindici anni, avente ad oggetto l’acquisto e l’uso in comune di attrezzatura specifica per la meccanizzazione delle operazioni colturali dei vigneti lavorati dai due soggetti e la realizzazione e utilizzazione in comune della cantina e delle strutture connesse, da realizzare su terreno di proprietà della suddetta M..

In data 2 agosto 2013 la società S. Antimo ha notificato alla controparte domanda di arbitrato: ha chiesto, tra l’altro, che venisse accertata la risoluzione per inadempimento del contratto, per non essere stato consentito lo sfruttamento del potenziale produttivo della cantina di proprietà in misura pari al 50%, e che la controparte fosse inoltre condannata al risarcimento dei danni, quantificati nel corso del giudizio arbitrale in Euro 200.000,00.

Il Collegio arbitrale ha respinto la domanda di risoluzione, in considerazione della natura associativa del contratto concluso, e ha accolto la domanda risarcitoria: ha liquidato il danno nel maggior esborso sostenuto dalla società per la vinificazione delle uve e nell’ammontare corrispondente all’anticipazione degli oneri finanziari sulla somma di Euro 200.000,00, stimando questa ultima voce di danno nel costo finanziario che sarebbe stato sostenuto per procacciarsi il succitato importo; a tal fine ha assunto come termine di riferimento il tasso di interesse del 3,5% annuo.

2. – La pronuncia arbitrale è stata impugnata da M.C..

Nella resistenza della società S. Antimo, la Corte di appello di Perugia ha dichiarato la nullità parziale del lodo con riferimento al profilo risarcitorio relativo ai costi di vinificazione. Riguardo al danno consistente nella realizzazione della cantina, il giudice dell’impugnazione ha osservato come il Collegio arbitrale avesse evidenziato che ai fini della quantificazione del danno potesse rilevare la sola anticipazione della costruzione, che sarebbe stato comunque necessario effettuare al termine del contratto. In tal senso non vi era stata sostituzione di una causale di inadempimento con altra, quanto, semplicemente, l’adozione di un differente criterio di determinazione del danno, basato su di una frazione dell’importo commisurato al costo complessivo dell’opera. Ha precisato, in proposito, non essere decisivo che la parte avesse mancato di dedurre di aver fatto ricorso al credito bancario, “apparendo evidente che si (era) trattato di un criterio equitativo di determinazione del danno, che come è noto è possibile che venga utilizzato anche dagli arbitri, in presenza di un criterio certo nell’an, ma di difficoltosa quantificazione”.

3. – La sentenza della Corte perugina è impugnata per cassazione da M.C. con un ricorso articolato in due motivi. Resiste con controricorso la società S. Antimo che svolge, a sua volta, una impugnazione incidentale basata su di un unico motivo. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

4. – I motivi articolati dalle parti si riassumono come segue.

Col primo motivo del ricorso principale sono lamentate violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. E’ osservato che gli arbitri avrebbero individuato, quali pregiudizi risarcibili, due tipologie di danni che non erano state dedotte nel giudizio arbitrale: i costi affrontati per la vinificazione presso un’altra cantina e gli oneri finanziari sostenuti per l’anticipazione dell’investimento, e cioè per la realizzazione della cantina dal 2017 (termine finale del contratto associativo) al 2009. Rileva la ricorrente, con riguardo a questa ultima voce di danno, che tra il diritto reclamato dall’attrice (l’intero costo della nuova cantina) e quanto riconosciuto dagli arbitri (l’ammontare degli oneri finanziari dell’investimento) non vi era alcuna corrispondenza, in quanto i fatti costitutivi delle due forme di pregiudizio risultavano essere tra loro completamente diversi. Osserva, del resto, che il danno liquidato non presentava alcuna connessione con le domande formulate dalla società attrice, la quale non aveva allegato di avere sostenuto oneri finanziari per la realizzazione della nuova cantina e, in particolare, non aveva dedotto di aver fatto ricorso al credito bancario, a finanziamenti onerosi dei soci o, infine, a nuovi conferimenti dei medesimi.

Col secondo motivo del ricorso principale sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1226 c.c.. Sostiene la ricorrente che tale disposizione non consentirebbe di affermare un “indebitamento oneroso”, connotato da costi finanziari, in assenza di allegazioni da parte dell’attore e in mancanza dell’acquisizione di pertinenti riscontri probatori. Deduce, altresì, che nella circostanza sarebbe mancato “il preventivo accertamento dell’impossibilità o dell’estrema difficoltà di una stima esatta del danno, dipendente da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l’entità”.

Il motivo articolato nel ricorso incidentale, svolto in via condizionata, oppone il giudicato interno formatosi sul lodo arbitrale con riferimento al tema della liquidazione equitativa del danno. Sostiene, in particolare, la società S. Antimo che il Collegio arbitrale aveva statuito sull’applicazione del criterio equitativo, liquidando così il danno in ragione di Euro 63.000,00 pari a nove anni di interessi da corrispondersi al tasso annuo del 3,50%. Sostiene, in sintesi, che la Corte di appello avrebbe riesaminato un aspetto della questione che non era stato oggetto di impugnazione e che era quindi coperto dal giudicato interno.

5. – Il ricorso, ad avviso del Collegio, prospetta profili meritevoli di approfondimento in pubblica udienza: ciò, con particolare riguardo ai limiti del sindacato di legittimità che investa la pronuncia della corte di appello resa in sede di impugnativa del lodo, allorquando si faccia questione – come nel caso in esame – della liquidazione equitativa del danno.

P.Q.M.

LA CORTE

rinvia la causa alla pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

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