Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34277 del 23/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 23/12/2019), n.34277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17614/2018 R.G. proposto da:

ADER – Agenzia Delle Entrate Riscossione, quale successore di

Equitalia Servizi di riscossione S.p.A., ed Agenzia delle Entrate,

in persona del direttore pro tempore, rappresentate dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrenti –

contro

Mediawest s.r.l., in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa

dall’avv. Andrea Carinci, elettivamente domiciliata presso il Dott.

Marco Gardin in Roma alla via Mantegazza n. 24;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1746/3/2017 della Commissione Tributaria

Regionale della Liguria, emessa in data 15/11/2017, depositata il

7/12/2017 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22/10/2019 dal

Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udito l’Avvocato dello Stato Barbara Tidore per l’Agenzia delle

Entrate e l’ADER e l’Avv. Andrea Carinci per la società

controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’A.d.E.R. – Agenzia Delle Entrate Riscossione (di seguito A.d.E.R.), quale successore di Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A., e l’Agenzia delle Entrate ricorrono con tre motivi contro la Mediawest s.r.l. per la cassazione della sentenza n. 1746/3/2017 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria (di seguito C.T.R.), emessa in data 15/11/2017, depositata il 7/12/2017 e non notificata, che, in controversia concernente l’impugnativa dell’intimazione di pagamento e delle relative cartelle, ha accolto il ricorso della contribuente, affermando la giuridica inesistenza dell’intimazione di pagamento, notificata a mezzo posta elettronica certificata (P.E.C.), e la nullità delle cartelle esattoriali, notificate a mezzo posta, per vizi di notifica.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. ha ritenuto, preliminarmente, che l’A.d.E.R. non fosse ritualmente costituita, in quanto, a seguito della nuova formulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, come modificato dal D.Lgs. n. 156 del 2015, dal giorno 1/1/2016 non poteva essere rappresentata e difesa da un legale esterno, abilitato alla professione, bensì solo dall’Avvocatura dello Stato o da proprio personale.

Inoltre, il giudice di appello riteneva che non fosse necessario integrare il contraddittorio nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, costituita volontariamente in primo grado ed interessata solo marginalmente dalle contestazioni della società contribuente.

Passando al merito, il giudice di secondo grado affermava che l’eventuale difetto di sottoscrizione della cartella non ne comportasse l’invalidità, poichè l’atto era comunque riferibile all’Ufficio di provenienza;

inoltre, sosteneva che l’intimazione di pagamento, notificata via P.E.C., dovesse ritenersi radicalmente inesistente per i seguenti motivi: 1) trattandosi dell’invio di una copia digitale di un atto originale analogico, risultava omessa l’attestazione di conformità della copia all’originale; 2) la ricezione nella cassetta di posta elettronica certificata del destinatario non assicurava la conoscenza dell’atto, ma solo la disponibilità del documento nella cassetta; 3) stante l’assenza dell’attestazione di conformità, sarebbero state necessarie la firma digitale e l’estensione del file in p7m, al fine di certificare la provenienza e la non modificabilità del documento informatico inviato.

Infine, con riguardo alla notifica delle cartelle di pagamento, effettuata via posta prima della notifica via P.e.c. dell’intimazione di pagamento, il giudice di secondo grado riteneva che mancava la prova della raccomandata informativa, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, come modificato dal D.L. n. 223 del 2006, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2006, come per il caso del destinatario temporaneamente irreperibile; il che, secondo la C.T.R. rendeva insanabilmente nullo tutto il procedimento.

3. A seguito del ricorso, la società contribuente resiste con controricorso.

4. Il ricorso è stato fissato alla pubblica udienza del 22/10/2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Preliminarmente, deve rilevarsi che, come risulta dalla sentenza impugnata, con il ricorso originario, la società contribuente aveva impugnato l’intimazione di pagamento e le cartelle esattoriali, non solo vizi della notifica, ma anche per vizi relativi al ruolo e per la mancata sottoscrizione della cartella, chiedendo l’accertamento della prescrizione del credito dell’Amministrazione finanziaria.

La C.T.P. di Savona ha ritenuto valide e correttamente notificate le cartelle di pagamento, mentre ha annullato l’intimazione di pagamento per la nullità della relativa notifica via Pec.

Dalla sentenza della C.T.R., oggetto della presente impugnazione, si evince che l’Agenzia delle Entrate si era costituita volontariamente nel primo grado di giudizio, mentre non ha partecipato al giudizio di secondo grado, intentato dalla società contribuente nei soli confronti dell’A.d.E.R., nè il giudice di appello ha ritenuto di disporre l’integrazione del contraddittorio, non sussistendo, a suo giudizio, un’ipotesi di litisconsorzio necessario.

In linea di principio, la legittimazione al ricorso per cassazione spetta esclusivamente a chi abbia formalmente assunto la qualità di parte, alla stregua delle risultanze della decisione impugnata, con la consequenziale inammissibilità dell’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Entrate, senza che rilevi a tal fine la circostanza che la medesima abbia veste di litisconsorte sostanziale indebitamente pretermessa (Sez. U, Sentenza n. 9753 del 18/11/1994).

Comunque, rimanendo fermo il ricorso dell’A.d.E.R., costituitasi nel giudizio di cassazione a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, deve rilevarsi che, qualora il contribuente, come nel caso di specie, abbia presentato ricorso contro l’atto esattivo, eccependo vizi imputabili sia all’Agenzia delle Entrate che all’Agente della riscossione, e le parti abbiano tutte partecipato al giudizio di primo grado, in appello si configura il c.d. “litisconsorzio processuale”, con applicazione dell’art. 331 c.p.c., (Cass. Sent. n. 10934 del 27.5.2015).

Come è stato detto, “l’obbligatorietà dell’integrazione del contraddittorio nella fase dell’impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio, sorge non solo quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, ma anche nel caso del cosiddetto litisconsorzio necessario processuale, quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da un rapporto di litisconsorzio necessario, sempre che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti (art. 331 c.p.c.), nel qual caso la necessità del litisconsorzio in sede di impugnazione è imposta dal solo fatto che tutte le parti sono state presenti nel giudizio di primo grado. Ne consegue che, in entrambe le ipotesi, la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello determina la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di appello che non aveva disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Agenzia delle entrate in quanto non convenuta nel giudizio d’appello, pur essendo stata parte nel giudizio di primo grado avente ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento per TARSU)” (Sez. 5 -, Ordinanza n. 26433 del 08/11/2017).

Nel caso di specie, la società contribuente aveva impugnato l’intimazione di pagamento e le cartelle esattoriali, non solo vizi della notifica, ma anche per vizi relativi al ruolo e per la mancata sottoscrizione della cartella, chiedendo l’accertamento della prescrizione del credito dell’Amministrazione finanziaria.

L’appellante, però, non ha notificato l’appello all’Agenzia delle Entrate, già parte in primo grado, nè il giudice ha disposto l’integrazione del litisconsorzio processuale, per cui deve dichiararsi la nullità del giudizio di appello e disporsi la rimessione delle parti innanzi al giudice di secondo grado, per consentire l’integrazione del litisconsorzio processuale in quel grado del giudizio (vedi Cass. nn. 20039/18; 13834/18, 4753/18, 223/18).

1.2. La Corte, quindi, rilevando d’ufficio la non integrità del litisconsorzio nel giudizio di appello, dichiara la nullità della sentenza impugnata e dell’intero giudizio di secondo grado, rimettendo la causa innanzi alla C.T.R. della Liguria, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara la nullità della sentenza impugnata e dell’intero giudizio di secondo grado, rimettendo la causa innanzi alla C.T.R. della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2019

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