Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3427 del 03/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 03/02/2022, (ud. 18/01/2022, dep. 03/02/2022), n.3427

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15912-2020 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

D.D., (alias D.G.);

– intimato –

avverso la sentenza n. 5207/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30.12.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 18.1.2022 dal Presidente Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, D.D., alias D.G., cittadino del Senegal, nato nella regione di Kolda, in Casamance, ha adito il Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

2. Con ordinanza del 15.5.2017 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

3. L’appello proposto da D.D. è stato parzialmente accolto dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 30.12.2019, con il riconoscimento della protezione umanitaria e il rilascio del relativo permesso di soggiorno.

La Corte milanese ha ritenuto l’esistenza di profili di vulnerabilità meritevoli di tale forma di protezione, tenuto conto della presenza in Italia da oltre sette anni del richiedente, del suo positivo e costante percorso di inserimento, dello svolgimento di attività di volontariato, della partecipazione a corsi dell’assunzione quale bracciante agricolo con contratto a tempo determinato e valutazione qualitativa molto positiva da parte del suo datore di lavoro. Tutto ciò secondo la Corte denotava il consolidamento di rapporti significativi e capacità di inclusione e integrazione.

4. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso l’Amministrazione dell’Interno, con atto notificato il 16.6.2020 svolgendo due motivi.

L’intimato non si è costituito.

E’ stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la trattazione in Camera di consiglio non partecipata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Ministero ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, vigenti ratione temporis.

Secondo il Ministero la protezione umanitaria era stata riconosciuta sulla base di presupposti (il nucleo di verità delle dichiarazioni del richiedente asilo; l’inserimento sociale e lavorativo in Italia) che non rientravano fra quelli previsti dall’ordinamento vigente per il riconoscimento del permesso.

6. Il motivo è infondato.

6.1. Come è noto, la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande debbono, pertanto, essere scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dal suddetto D.L., art. 1, comma 9, (Sez. U, n. 29459 del 13.11.2019, Rv. 656062 – 01).

6.2. La stessa sentenza delle Sezioni Unite aveva inoltre chiarito che in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto, alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, n. 29459 del 13.11.2019, Rv. 656062 – 02).

6.3. Occorre tuttavia tener conto dei più recenti sviluppi giurisprudenziali nella nuova prospettiva ermeneutica disegnata dalla recente sentenza delle Sezioni Unite del 9.9.2021 n. 24413.

Tale pronuncia ha affermato che ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve instaurarsi una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti, che impone un peculiare bilanciamento tra la condizione soggettiva del richiedente asilo e la situazione oggettiva del Paese di eventuale rimpatrio; il principio va ricondotto in termini generali al paradigma del modello di comparazione, c.d. “attenuata”; resta fermo, che l’accertamento del diritto alla protezione umanitaria postula sempre, proprio per l’atipicità dei relativi fatti costitutivi, l’esigenza di procedere a valutazioni soggettive ed individuali, da svolgere caso per caso; resta fermo altresì il principio che occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato; tuttavia tale valutazione comparativa deve essere compiuta attribuendo alle condizioni soggettive e oggettive del richiedente nel Paese di origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano; in presenza di situazioni di deprivazione dei diritti fondamentali nel Paese di origine (quali la mancanza delle condizioni minime per poter soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, ossia quelli strettamente connessi al sostentamento ed al raggiungimento dei livelli minimi per un’esistenza dignitosa) il grado di integrazione del richiedente in Italia assume una rilevanza proporzionalmente minore; in situazioni di particolare gravità (quali la seria esposizione alla lesione dei diritti fondamentali alla vita o alla salute, conseguente, ad esempio, a eventi calamitosi o a crisi geopolitiche che abbiano generato situazioni di radicale mancanza di generi di prima necessità) può anche non assumere alcuna rilevanza; l’integrazione sociale non costituisce una conditio sine qua non della protezione umanitaria, bensì uno dei possibili fatti costitutivi del diritto a tale protezione, da valutare, quando sussista, in comparazione con la situazione oggettiva e soggettiva che il richiedente ritroverebbe tornando nel suo Paese di origine, anche – con riguardo alla situazione soggettiva – sotto il profilo della permanente sussistenza di una rete di relazioni affettive e sociali; in presenza di un livello elevato d’integrazione effettiva nel nostro Paese desumibile da indici socialmente rilevanti quali la titolarità di un rapporto di lavoro (pur se a tempo determinato, costituendo tale forma di rapporto di lavoro quella più diffusa, in questo momento storico, di accesso al mercato del lavoro), la titolarità di un rapporto locatizio, la presenza di figli che frequentino asili o scuole, la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento le condizioni oggettive e soggettive nel Paese di origine assumono una rilevanza proporzionalmente minore; in presenza di un apprezzabile livello di integrazione del richiedente in Italia, se il ritorno nel Paese d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dalla Convenzione EDU, art. 8, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno.

7. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia motivazione apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4.

7.1. Il Ministero osserva che era del tutto incomprensibile quale fosse la parte del racconto del richiedente asilo, pur giudicato dalla Corte territoriale generico, inverosimile e destituito di prova, che era stata considerata assistita da un nucleo di verità in modo tale da consentire l’apprezzamento di una condizione di vulnerabilità.

7.2. Il motivo è redatto per denunciare difetto totale o mera apparenza di motivazione relativamente al ravvisato “nucleo di verità” delle dichiarazioni del ricorrente, valorizzate nell’ambito del giudizio comparativo secondo la giurisprudenza di questa Corte (SSUU 29459 del 13.11.2019) in rapporto al percorso di integrazione socio-lavorativa in Italia; fra l’altro, in contraddizione con quanto osservato nella stessa motivazione in tema di protezione internazionale, in cui si parla, a più riprese di genericità, inverosimiglianza, non credibilità del racconto del richiedente asilo (cfr., sentenza impugnata, pag. 6, 1 e 3 capoverso).

7.3. La Corte di appello tuttavia ha fatto, sia pur implicitamente, riferimento, con la citata menzione del “nucleo di verità”, alla parte del racconto del richiedente asilo relativa alla sua identità, nazionalità, provenienza e attività, mostrando di ritenere generici e non credibili i fatti specifici relativi alle ragioni di concreto timore per la propria incolumità fisica addotti dal richiedente (incendio accidentale di un campo di cotone, danni richiesti dal proprietario e sua incapacità di pagamento).

Al riguardo questa Corte ha recentemente affermato con le ordinanze n. 41778 e 41789 del 28.12.2021 che “In tema di riconoscimento della protezione umanitaria del richiedente asilo, in base alla normativa del testo unico sull’immigrazione anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, occorre: operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto in Italia; ed accertare se e quale livello di integrazione è stato raggiunto in Italia e se il ritorno del richiedente nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata o familiare tali da recare un vulnus al diritto riconosciuto dalla Convenzione EDU, art. 8, così che sussista un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno. A tal fine, eccezione fatta per le ipotesi di radicale incertezza sulla identità o nazionalità stessa del richiedente, non è di ostacolo al riconoscimento del beneficio domandato la ritenuta non credibilità del racconto della vicenda personale reso dal richiedente asilo, dovendosi apprezzare le conseguenze del rimpatrio sulla base delle condizioni generali del Paese di origine correlate alla sua posizione individuale”.

Pertanto il ricorso deve essere rigettato, senza condanna alle spese, in difetto di costituzione della parte intimata.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022

 

 

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