Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34261 del 21/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 21/12/2019), n.34261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 9520 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

C.M.E. Costruzioni Manutenzioni Elettromeccaniche s.r.l., in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa,

giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’avv.to Prof.

Marco Miccinesi, dall’avv.to Prof. Francesco Pistolesi e dall’avv.to

Simone Ginanneschi, domiciliata presso la cancelleria della Corte di

cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana n. 2001/05/2017, depositata il 21 settembre

2017, non notificata.

Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto

procuratore generale Dott.ssa Mastroberardino Paola, il quale ha

chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli

altri.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 settembre 2019 dal Relatore Consigliere Dott.ssa Putaturo Donati

Viscido di Nocera Maria Giulia.

Fatto

RILEVATO

che

– con la sentenza n. 2001/05/17, depositata in data 21 settembre 2017, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello proposto da C.M.E. Costruzioni Manutenzioni Elettromeccaniche s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Arezzo n. 185/01/15, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società, avverso il silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso, del D.Lgs. n. 504 del 1995 (TUA), ex art. 14, di Euro 118.897,86, oltre spese e interessi, asseritamente versati a titolo di eccedenza di accisa sul gasolio utilizzato, nell’anno 2012, per la autoproduzione di energia elettrica, sul presupposto dell’indebita applicazione dell’aliquota ordinaria in luogo di quella agevolata ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995 (TUA), punto 11 della Tabella A;

– in punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle dogane sull’istanza di rimborso proposta da C.M.E. Costruzioni Manutenzioni Elettromeccaniche s.r.l., avente ad oggetto l’accisa sul consumo di gasolio asseritamente versata in eccedenza, per l’anno 2012, la detta società aveva proposto ricorso alla CTP di Arezzo, stante la dedotta spettanza dell’agevolazione, ai sensi del punto 11 della Tabella A del TUA, avendo impiegato il gasolio per autoprodurre, a mezzo gruppi elettrogeni mobili dotati di apposita licenza, energia elettrica che aveva rivenduto;2) la CTP di Arezzo, con la sentenza n. 185/1/2015, aveva rigettato il ricorso non avendo la contribuente assolto l’onere probatorio in ordine al fatto costitutivo del diritto al rimborso azionato; 3) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello la società ribadendo le argomentazioni dedotte in primo grado; 4)l’Agenzia delle dogane aveva controdedotto chiedendo la conferma della sentenza della CTP;

– in punto di diritto, la CTR- nell’aderire alla sentenza di primo grado-ha osservato che la società contribuente non aveva motivato le proprie tesi nè aveva smontato quanto dedotto e dichiarato dalla rappresentante della stessa in sede di verifica fiscale;

– avverso la sentenza della CTR, C.M.E. Costruzioni Manutenzioni Elettromeccaniche s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli;

– la società contribuente ha depositato memoria ex art. 380bis 1. c.p.c. insistendo per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 61, art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1 e dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali di cui all’art. 111 Cost., commi 6 e 7, per avere la CTR fondato la decisione- di adesione alla statuizione di primo grado- su di una motivazione omessa o meramente apparente, richiamandosi alla dichiarazione resa dal rappresentante della società contribuente in sede di verifica fiscale, senza evidenziare l’iter logico-argomentativo quanto all’asserito mancato assolvimento da parte di quest’ultima dell’onere probatorio circa il fatto costituivo del diritto al rimborso; in particolare, ad avviso della ricorrente, la CTR, nel richiamare pedissequamente le dichiarazioni rese dal rappresentante della società in sede di verifica fiscale, concernenti l’avvenuto sostegno da parte della società C.M.E. dell’onere di acquisto del gasolio impiegato nei gruppi elettrogeni per la produzione di energia elettrica, non avrebbe argomentato alcunchè in ordine ai motivi di appello concernenti l’avvenuto assolvimento da parte della contribuente della maggiore imposta asseritamente non dovuta e, comunque, in ordine alla mancata traslazione di quest’ultima sui clienti/committenti, essendo il prezzo complessivo dei servizi erogati al netto della stessa;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., in combinato con art. 116 c.p.c. e del D.L. n. 688 del 1982, art. 19, nell’interpretazione datane dalla Corte cost. sentenza n. 332 del 2002, del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14, comma 4, per avere la CTR, nel fare proprie acriticamente le conclusioni del giudice di primo grado, in violazione dei principi in tema di ripartizione dell’onere probatorio, nonchè delle regole in tema di prudente apprezzamento delle prove e di valutazione di quelle presuntive, desunto dalle (fraintese) dichiarazioni del legale rappresentante della società- circa l’acquisto del gasolio utilizzato nei gruppi elettrogeni da parte della C.M.E.- la mancata prova del pagamento dell’accisa da parte della medesima, stante la possibile (non dimostrata) “traslazione” dell’imposta sui clienti/committenti, mediante ricomprensione di questa nel prezzo complessivo dei servizi connessi all’autoproduzione di energia elettrica;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio, avendo la CTR ritenuto non provato dalla contribuente il presupposto del diritto al rimborso dell’accisa-ovvero il versamento dell’eccedenza di imposta asseritamente non dovuta – senza argomentare in ordine alla eccepita mancata “traslazione” della stessa nel prezzo complessivamente versato dai committenti per i servizi connessi all’autoproduzione di energia elettrica- sia nel caso di acquisto del gasolio da parte di questi ultimi che in quello di acquisto dello stesso da parte della contribuente;

– il primo motivo è fondato, con assorbimento dei restanti;

– “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01);

-“La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830; 28069 del 2018);

– pertanto, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. 22949 del 2018; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016e la giurisprudenza ivi richiamata);

– in particolare, in tema di processo tributario, è nulla, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame (Cass. n. 15884 del 2017). Deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Cass. n. 22022 del 2017);

– in via preliminare si rende opportuno richiamare la normativa che disciplina l’utilizzazione di gasolio nell’autoproduzione di energia elettrica:

1) ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995 (TUA), art. 21, comma 9 vigente ratione temporis: “i prodotti energetici di cui al comma 1, qualora siano utilizzati per la produzione di energia elettrica, sono sottoposti ad accisa per motivi di politica ambientale, con l’applicazione delle aliquote stabilite nella tabella A”;

2) la tabella A del TUA, vigente ratione temporis, disciplina gli “Impieghi degli oli minerali che comportano l’esenzione dell’accisa o l’applicazione di una aliquota ridotta” e, in particolare, il punto 11 della Tabella A prevede le esenzioni/agevolazioni in ordine all’impiego di oli minerali “per la produzione, diretta o indiretta, di energia elettrica con impianti obbligati alla denuncia prevista dalle disposizioni che disciplinano l’imposta di consumo sull’energia elettrica”, e dispone che “In caso di autoproduzione di energia elettrica, le aliquote sono ridotte al 30 per cento quale che sia il combustibile impiegato”;

– ex art. 24 TUA vigente ratione temporis: “1. Ferme restando le disposizioni previste dall’art. 17 e le altre norme comunitarie relative al regime delle agevolazioni, i prodotti energetici destinati agli usi elencati nella tabella A allegata al presente testo unico sono ammessi ad esenzione o all’aliquota ridotta nella misura ivi prevista. 2. Le agevolazioni sono accordate anche mediante restituzione dell’imposta pagata; la restituzione può essere effettuata con la procedura di accredito prevista dall’art. 14”;

– va, altresì, ricordato che, in materia, questa Corte, a sezioni unite, con la sentenza n. 11987 del 2009, ha chiarito- con riguardo all’accisa sul gas metano- che: “l’imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, nel senso che soggetto passivo dell’imposta è il fornitore del prodotto e non il consumatore al quale il corrispondente onere viene traslato in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico” e “pertanto, il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge solo tra la Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l’utente consumatore, con la conseguenza che quest’ultimo, quando (…) fa valere nei confronti del fornitore – che aveva compreso nel prezzo di vendita del prodotto anche l’imposta di consumo pagata allo Stato ai sensi del suddetto D.L. 7 febbraio 1977, n. 15, art. 10 – l’azione di ripetizione della parte di prezzo corrispondente al tributo, per ritenere di essere esonerato dal relativo pagamento, non esercita un’azione tributaria di rimborso, ma chiede, con riferimento al rapporto con l’altro contraente, la restituzione di una parte del prezzo indebitamente corrisposta, perchè, secondo legge, la stessa non avrebbe potuto essere compresa nel prezzo medesimo”; questo indirizzo è stato ribadito da ultimo, in Cass. n. 3050 del 2019, secondo cui “il rapporto tributario in materia di accise intercorre esclusivamente tra il fornitore del gas metano e lo Stato, là dove il rapporto tra il fornitore ed il consumatore (o il subfornitore non autorizzato) è di natura contrattuale e si pone su un piano distinto rispetto a quello tributario. E’, quindi, sempre il fornitore ad essere titolare, dal lato passivo, dell’obbligazione tributaria di corrispondere l’accisa in generale e, in esito al pagamento, egli può riversarne l’onere mediante rivalsa”; in definitiva: l’imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, di guisa che soggetto passivo dell’imposta è il fornitore del prodotto; quanto al consumatore, l’onere corrispondente all’imposta è su di lui traslato in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico. Ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge soltanto tra l’amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente i prodotti; ad esso è del tutto estraneo l’utente consumatore. I due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico. La configurabilità della rivalsa come oggetto di un diritto e non come elemento connaturale ed ineludibile della fisionomia del tributo esclude la configurabilità del rapporto di sostituzione d’imposta e, per conseguenza, l’autonoma rilevanza del sostituito, ossia del consumatore finale;

-ne consegue che legittimato all’esercizio del diritto di rimborso, ex art. 14 TUA, comma 2, dell’imposta o della maggiore imposta indebitamente pagata nei confronti dell’Amministrazione finanziaria è esclusivamente il soggetto passivo di imposta e giammai il consumatore finale, terzo estraneo al rapporto tributario medesimo. Ciò, peraltro, trova conferma nella previsione legislativa di cui all’art. 14 TUA, comma 2, nel testo vigente ratione temporis, per cui: “Qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme”. Da qui la chiara distinzione legislativa tra “l’accisa (…) indebitamente pagata” e le “somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa”, concetti, pertanto, non sovrapponibili;

– nella specie, la motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate negli arresti giurisprudenziali sopra richiamati e, dunque, concretizzando un chiaro esempio di “motivazione apparente” ossia del tutto mancante, si pone sicuramente al di sotto del “minimo costituzionale”; infatti, la CTR si è limitata ad affermare che la società appellante non aveva comprovato le sue tesi nè aveva smontato quanto dichiarato dal legale rappresentante della stessa in sede di verifica fiscale, senza che la laconicità della motivazione consenta di appurare che, alla condivisione della decisione di prime cure, il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello; pertanto, le considerazioni svolte dal giudice di appello nella motivazione della sentenza, “non disvelano il percorso logico-giuridico seguito dal decidente” e non permettono di individuare l’effettiva ratio decidendi, non essendo possibile, peraltro, evincere dall’esame della stessa se il rigetto dell’appello sia fondato

sulla ravvisata insussistenza in concreto dei presupposti per la oncessione dell’agevolazione medesima (per non rientrare, come eccepito dall’Agenzia nel controricorso, la CME nella nozione nè di produttore nè di autoproduttore di energia elettrica) ovvero semplicemente sulla accertata mancanza del presupposto del rimborso qual è l’effettiva incidenza sul contribuente dell’onere tributario non dovuto o dovuto in una misura minore;

– in conclusione, va accolto il primo motivo, assorbiti i restanti; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, per un riesame della vicenda nel merito.

P.Q.M.

la Corte:

accoglie il primo motivo di ricorso; assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione;

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 21 dicembre 2019

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