Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34260 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. II, 15/11/2021, (ud. 01/04/2021, dep. 15/11/2021), n.34260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25494-2019 proposto da:

R.H., rappresentato e difeso dall’avv. GIUSEPPE BRIGANTI, e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 22/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/04/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con il decreto impugnato il Tribunale di Ancona rigettava il ricorso proposto da R.H., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria. Il R. aveva dichiarato, in particolare, di essere fuggito dal (OMISSIS) per la situazione di estrema povertà in cui lui e i suoi familiari si erano venuti a trovare a seguito di un’inondazione che aveva distrutto la sua casa. Il Tribunale riteneva che tali dichiarazioni, seppur credibili, non integrassero i presupposti necessari per la concessione della tutela invocata.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione di rigetto R.H., affidandosi a sei motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l’erroneità del giudizio di non credibilità espresso dal giudice di merito, deducendo di aver riferito sin dal principio una storia credibile e coerente. Ritiene poi che in (OMISSIS) non sarebbe assicurata un’effettiva protezione e che il Tribunale avrebbe omesso di esaminare il contesto del Paese di provenienza, non richiamando alcuna fonte informativa, disattendendo così il dovere di cooperazione istruttoria. Il R. lamenta poi che non sarebbe stato condotto alcun giudizio comparativo tra la condizione di vita in Italia e quella che il richiedente avrebbe se fosse rimpatriato né alcuna valutazione circa il suo percorso migratorio; si duole del fatto che nel corso dell’udienza di comparizione non sarebbe stato assicurato il suo diritto ad essere interrogato dal giudice; ed infine contesta il fatto che l’udienza si sarebbe svolta davanti ad un G.O.T., e non al relatore, né tantomeno al collegio.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta ancora l’omesso esame del contesto interno del (OMISSIS).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta invece l’erroneo giudizio di non credibilità della sua storia personale, che sarebbe stato condotto – a suo dire – in violazione dei criteri di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3. Contesta inoltre la mera apparenza della motivazione; torna sui temi dell’udienza tenuta dal G.O.T., della mancata valutazione del contesto interno del (OMISSIS), e dell’assenza del giudizio comparativo tra condizioni di vita in Italia e in patria, già svolti nella prima censura.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. e della Convenzione E.D.U., perché non gli sarebbe stato assicurato un rimedio giudiziario effettivo.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la mancata valutazione del contesto della Libia, Paese in cui, in ragione della durata della sua permanenza prima di giungere in Italia, doveva ritenersi comunque radicato.

Infine, con il sesto motivo invoca in subordine la violazione delle disposizioni del D.L. n. 113 del 2018, introduttive della c.d. protezione speciale.

Le censure che devono essere esaminate congiuntamente in considerazione del fatto che ciascuna di esse propone argomentazioni in parte riprese dalle altre, sono nel loro complesso inammissibili.

1) La storia personale del richiedente è stata ritenuta dal Tribunale non idonea, in considerazione del fatto che le dichiarazioni dallo stesso rese “… restano confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di miglioramento socioeconomico, atteso che gli aspetti evidenziati in ricorso integrano personali timori circa la necessità di sostenere la famiglia d’origine tuttora in patria…” (cfr. pag. 2 del decreto impugnato). Questa valutazione non viene in alcun modo attinta dalle censure proposte dal ricorrente, tutte incentrate piuttosto sulla critica del giudizio di non credibilità, che nel caso di specie non viene neppure in rilievo.

Il Tribunale, invece, ha escluso tanto il riconoscimento dello status, che della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), perché ha ritenuto insussistente una persecuzione, né una condizione di pericolo di vita o di esposizione a trattamento inumano o degradante, per motivi di razza, sesso, religione, appartenenza politica o etnica, sulla base di un apprezzamento di fatto che evidenzia anche l’esistenza, in (OMISSIS), di istituzioni funzionanti capaci di rispondere alle esigenze di tutela dei cittadini.

Sul punto, merita di essere ribadito il principio per cui quando la decisione di merito si fonda su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi, ovvero la mancata contestazione di essa, rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).

2) Il giudice di merito ha poi escluso la sussistenza, in (OMISSIS), di un contesto rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, richiamato art. 14, ex lett. c), richiamando le fonti informative consultate (cfr. pagg. 2 e 3 del decreto impugnato), dando conto della data e dell’origine della fonte consultata, nonché delle notizie specificamente tratte da essa. Il ricorrente, nel contrapporre una diversa ricostruzione della situazione esistente in (OMISSIS), non richiama fonti informative diverse, ed alternative, a quelle consultate dal giudice di merito, né indica per quale motivo queste ultime non sarebbero idonee e conterrebbero informazioni superate e non più attendibili o non più attuali. Nei vari motivi vengono piuttosto richiamati precedenti di merito, che tuttavia sono del tutto ininfluenti ai fini della decisione, posto che essi si riferiscono evidentemente a fattispecie diverse da quella oggetto del presente giudizio.

In proposito, occorre ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez.1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

3) Per quel che invece concerne il diniego della protezione umanitaria, il Tribunale ha svolto il giudizio di comparazione tra la condizione di vita del richiedente, in Italia, e quella che egli potrebbe avere in caso di rientro, ai fini della verifica dell’esistenza del rischio di compromissione del nucleo inalienabile dei diritti fondamentali della persona, richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020, Rv. 658471), escludendo la sussistenza di profili di vulnerabilità rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione invocata. Il ricorrente non deduce, nel motivo in esame, di aver conseguito una integrazione socio-lavorativa in Italia, né allega alcun elemento che il giudice di merito avrebbe, in ipotesi, omesso di considerare o non adeguatamente considerato; si limita a proporre considerazioni generiche, prive di qualsiasi riferimento concreto alla sua condizione soggettiva.

Ai fini del riconoscimento della suddetta protezione non rileva nemmeno il periodo di permanenza in Libia, Paese nel quale il ricorrente riferisce d’essere rimasto per alcuni mesi, omettendo, tuttavia, di allegare alcun profilo di radicamento. Invero, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che l’esame del c.d. “Paese di transito”, anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, deve essere effettuato “… allorché la vicenda espressa nella fattispecie concreta contenga in sé un aspetto, un nodo, che sia particolarmente idoneo, sotto il profilo della potenzialità, a mostrarsi significativo…” (in motivazione, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13758 del 03/07/2020, Rv. 658092).

4) La censura relativa alla audizione del richiedente in udienza è del pari inammissibile, posto che il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis prevede, al comma 10, che “E’ fissata udienza per la comparizione delle parti esclusivamente quando il giudice: a) visionata la videoregistrazione di cui al comma 8, ritiene necessario disporre l’audizione dell’interessato; b) ritiene indispensabile richiedere chiarimenti alle parti; c) dispone consulenza tecnica ovvero, anche d’ufficio, l’assunzione di mezzi di prova”. Il successivo comma 11 dispone a sua volta che “L’udienza è altresì disposta quando ricorra almeno una delle seguenti ipotesi: a) la videoregistrazione non è disponibile; b) l’interessato ne abbia fatto motivata richiesta nel ricorso introduttivo e il giudice, sulla base delle motivazioni esposte dal ricorrente, ritenga la trattazione del procedimento in udienza essenziale ai fini della decisione; c) l’impugnazione si fonda su elementi di fatto non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado”.

Questa Corte ha inizialmente interpretato la norma in esame affermando che, in assenza di videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi la Commissione territoriale, è indispensabile la fissazione dell’udienza (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521; conf. Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27182 del 26/10/2018, Rv. 651513; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 14148 del 23/05/2019, Rv. 654198) anche nel caso in cui il predetto colloquio sia stato effettuato davanti alla Commissione territoriale in data anteriore alla consumazione del termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del D.L. n. 13 del 2017, convertito nella L. n. 46 del 2017, “… essendo l’udienza di comparizione delle parti, anche in tale ipotesi, conseguenza obbligata della mancanza della videoregistrazione” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 32029 del 11/12/2018, Rv. 651982); a meno che, ovviamente, “… il richiedente non abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17076 del 26/06/2019, Rv. 654445). Con l’ulteriore precisazione, però, che ciò non implica anche l’automatica necessità di ripetere l’audizione del richiedente asilo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463), a condizione che sia comunque assicurata al richiedente asilo la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, davanti alla Commissione o al Tribunale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5973 del 28/02/2019, Rv. 652815; conf. Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 1088 del 20/01/2020, Rv. 658369). Si è anche ulteriormente precisato che a nulla rileva il fatto che il ricorrente, nel contestare la nullità del decreto per omessa fissazione dell’udienza nel caso di indisponibilità della videoregistrazione del primo colloquio, “… abbia omesso di prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato un pregiudizio per la decisione di merito, in quanto la mancata videoregistrazione del colloquio, incidendo su un elemento centrale del procedimento, ha palesi ricadute sul suo diritto di difesa” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10786 del 17/04/2019, Rv. 653473).

Successivamente questa Corte ha acceduto ad una lettura del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 35-bis maggiormente orientata in conformità con quanto disposto dall’art. 46, par. 3, della Direttiva 2013/32/UE, nell’interpretazione che di quest’ultima norma era stata negli anni fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, valorizzando anche il fatto che la normativa nazionale, nel prevedere la videoregistrazione del colloquio svolto dinanzi la Commissione territoriale, ha introdotto un quid pluris rispetto alla normativa Eurounitaria.

La Corte di Giustizia, nella sentenza 26.7.2017, resa nella causa C-348/16, Moussa Sacko, ha affermato che il giudice nazionale investito del ricorso avverso un provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale ha la facoltà di respingere la domanda anche in assenza di audizione del richiedente, a condizione che quest’ultima si sia svolta nella fase amministrativa del procedimento, che siano stati messi a disposizione del giudice il verbale o la trascrizione di detto colloquio, e che al giudice sia comunque consentito di disporre una nuova audizione dell’interessato, ove la ritenga necessaria ai fini del completo esame degli elementi di fatto e diritto della domanda. Con questa decisione, la Corte di Giustizia ha in sostanza operato una netta saldatura tra le due fasi, amministrativa e giurisdizionale, del procedimento di riconoscimento della protezione internazionale, fissando il principio generale per cui l’obbligo di completo esame della domanda, sancito dall’art. 46, par. 3, della Direttiva 2013/32/UE (cd. “Direttiva procedure”) dev’essere interpretato non soltanto con riferimento alla seconda fase, giurisdizionale, bensì all’intero procedimento.

Con l’ulteriore sentenza del 19 marzo 2020, resa nella causa C-406/18, LH c/ Bevandorlasi es Menekulteigyi Hivatal, la Corte di Giustizia, pur ribadendo la tendenziale necessità di ascoltare il richiedente asilo nella fase giurisdizionale, ha precisato che l’assenza del colloquio non si riflette automaticamente in una compressione dei diritti fondamentali dell’individuo, posto che questi ultimi possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste ultime siano giustificare da obiettivi interessi di natura generale e non costituiscano un intervento sproporzionato e inaccettabile, come tale idoneo a ledere la sostanza del diritto garantito.

Infine, con la sentenza del 6 luglio 2020, resa nella causa C-517/17, Mikiyos Addis, la Corte di Giustizia ha affermato l’incompatibilità con la Direttiva procedure di una decisione di rigetto della domanda di asilo assunta dal giudice nazionale in mancanza di qualsiasi audizione del richiedente asilo, tanto nella fase giurisdizionale che in quella precedente, amministrativa, posta la natura fondamentale della garanzia del contraddittorio cui l’ascolto dell’interessato è preposto nell’ambito della legislazione dell’Unione.

In sostanza, la Corte di Giustizia ha complessivamente affermato che:

1) nella procedura di riconoscimento della protezione internazionale è necessaria e sufficiente almeno una audizione del richiedente asilo;

2) ove questa si svolga nella fase amministrativa, il relativo verbale o trascrizione deve essere messo a disposizione del giudice competente a decidere sulla impugnazione del provvedimento di rigetto dell’istanza di protezione;

3) detto giudice deve sempre essere libero di fissare una nuova audizione, ove lo ritenga necessario al fine di assicurare il completo esame degli elementi di fatto e diritto della domanda.

Questa Corte, in perfetta aderenza con la linea interpretativa seguita dalla Corte di Giustizia – ed, anzi, anticipandone in un certo senso il definitivo approdo – ha precisato che “ove il ricorso contro il provvedimento di diniego di protezione contenga motivi o elementi di fatto nuovi, il giudice, se richiesto, non può sottrarsi all’audizione del richiedente, trattandosi di strumento essenziale per verificare, anche in relazione a tali nuove allegazioni, la coerenza e la plausibilità del racconto, quali presupposti per attivare il dovere di cooperazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 27073 del 23/10/2019, Rv. 656871). E, ancor più di recente, che “In tema di protezione internazionale è nullo, per violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, commi 10 e 11, il provvedimento del giudice di merito che, in assenza della videoregistrazione del colloquio del richiedente innanzi alla Commissione territoriale, fissi l’udienza di comparizione escludendo, in via preventiva, la necessità di procedere all’audizione del cittadino straniero; tuttavia, in tal caso è onere di quest’ultimo procedere all’immediata contestazione della nullità, ex art. 157 c.p.c., comma 2, dovendosi, in difetto, ritenere integrata la sanatoria del vizio” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 15954 del 24/07/2020, Rv. 658247). Nella motivazione di detto ultimo provvedimento si è precisato che poiché la valutazione sulla credibilità della storia personale riferita dal richiedente asilo è “… fondata anche su un giudizio di verosimiglianza nel quale assumono rilievo centrale le modalità con cui, in concreto, viene narrato il racconto, è evidente che la ratio della norma che impone la fissazione dell’udienza in ogni caso in cui non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa risiede nell’esigenza di consentire l’effettivo incontro tra richiedente e giudice, al fine di consentire al primo la facoltà di esercitare pienamente il diritto al contraddittorio ed al secondo la possibilità di esercitare, in concreto, il potere-dovere di cooperazione istruttoria. Ne consegue che è contrario allo spirito della norma l’atto con il quale il giudice di merito, non avendo a sua disposizione la videoregistrazione, decida comunque di escludere a priori la possibilità stessa dell’ascolto del richiedente, con ciò di fatto svuotando di significato concreto le disposizioni di cui ai già richiamati commi 10 e 11 del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis”. Con queste decisioni la Corte, partendo dal fatto che l’ordinamento nazionale prevede – come già detto – un quid pluris rispetto a quello Eurounitario, consistente nella videoregistrazione del colloquio svolto dinanzi la Commissione territoriale, ha in sostanza ritenuto che il giudice investito dell’impugnazione del provvedimento di diniego non possa esimersi dal valutare se sussistono, in concreto ed alla luce del contenuto del ricorso proposto dal richiedente asilo, le condizioni affinché una seconda audizione sia necessaria al fine di assicurare il completo esame degli elementi di fatto e diritto della domanda, in aderenza al disposto del già richiamato art. 46, par. 3, della Direttiva procedure. La fissazione dell’udienza di comparizione con contestuale preventiva esclusione della nuova audizione, dunque, se non sostenuta da adeguata e specifica motivazione, è contraria allo spirito della norma, nazionale ed Eurounitaria, poiché preclude a priori il completo esame degli elementi di fatto e diritto della domanda di asilo e si pone pertanto in contrasto tanto con la ratio del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, commi 10 e 11, quanto con l’art. 46, par. 3, della Direttiva procedure.

Approfondendo la disamina del rapporto tra colloquio (o audizione) e videoregistrazione, questa Corte ha ulteriormente chiarito (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, Rv. 659115) che anche la presenza della videoregistrazione del primo colloquio non toglie che l’audizione rappresenti comunque un momento centrale per la valutazione della credibilità e della coerenza del racconto del richiedente asilo, come dimostrato proprio dalla disposizione di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 10, lett. a). Dunque, la predetta disposizione va necessariamente interpretata nel senso che, fermo il principio per cui l’obbligo di fissazione dell’udienza non implica automaticamente anche quello di rinnovare l’audizione del richiedente, tuttavia il giudice è tenuto a disporla quando:

a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda di asilo (ipotesi prevista dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 11, lett. c)), poiché in tal caso va assicurato il confronto tra il giudice ed il richiedente, ed il diritto di quest’ultimo di essere ascoltato, su detti nuovi elementi, non preventivamente dedotti ed approfonditi nella fase amministrativa;

b) il giudice ritenga necessaria una nuova audizione, anche in assenza di nuove deduzioni, per acquisire chiarimenti in ordine alle incongruenze e contraddizioni rilevate dalla Commissione nelle dichiarazioni del richiedente asilo (ipotesi prevista dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 10, lett. a) e b));

c) il ricorso contenga l’istanza del richiedente di essere ascoltato, con la precisazione degli aspetti in ordine ai quali egli intende fornire chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (ipotesi prevista dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 11, lett. b)).

La censura in esame non rientra nel paradigma suindicato, in quanto il ricorrente non specifica di aver dedotto, nel ricorso proposto al giudice di merito, alcuno specifico tema o elemento nuovo, non previamente approfondito in occasione dell’audizione innanzi la Commissione territoriale, né di aver proposto con il predetto atto specifica istanza di essere ascoltato, corredata dall’indicazione degli aspetti in relazione ai quali egli intendeva rendere chiarimenti.

5) Parimenti inammissibile è la doglianza relativa al fatto che l’udienza di comparizione sia stata celebrata da un G.O.T., e non si sia invece tenuta davanti al relatore, né davanti al collegio, al quale è attribuita ope legis la trattazione dei giudizi in materia di protezione internazionale.

La questione è stata già affrontata da questa Corte, che ha affermato il principio – al quale il collegio ritiene di dare continuità – secondo cui “In tema di protezione internazionale, non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 3356 del 05/02/2019, Rv. 652464).

Tale interpretazione si fonda sulla considerazione che “quando un giudice onorario, appartenente all’ufficio giudiziario, decida una causa in materia che, secondo la ripartizione tabellare, sia sottratta alla sua potestà decisoria, il provvedimento non è nullo (salvo che si tratti di procedimenti possessori o cautelari ante causam, espressamente esclusi dal R.D. n. 12 del 1941, art. 43 bis), in quanto la decisione assunta dal g. o. t. in violazione delle tabelle organizzative dell’ufficio non incide sulla composizione dell’ufficio giudiziario, né alcuna norma di legge prevede una siffatta nullità, configurandosi, invece, una semplice irregolarità” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19660 del 03/10/2016, Rv. 642599).

Anche in precedenza, questa Corte aveva affermato che “Il vice pretore onorario è un giudice previsto e regolato dalle norme sull’ordinamento giudiziario che può legittimamente sostituire il magistrato ordinario in tutte le sue funzioni, e dunque anche nell’espletamento dell’attività propria del giudice istruttore, senza che da ciò discenda la nullità degli atti dallo stesso compiuti, tenuto conto che il vizio di costituzione del giudice è ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all’ufficio, non investita della funzione esercitata, e che le circolari con le quali il C.S.M. disciplina gli incarichi affidabili ai giudici onorari, quali fonti normative di secondo grado, non possono introdurre ipotesi di nullità processuali non previste dalla legge” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 466 del 14/01/2016, Rv. 638215). Le circolari con le quali il C.S.M. disciplina gli incarichi che possono essere affidati ai giudici onorari del Tribunale, in quanto fonti normative di secondo grado, non possono introdurre ipotesi di nullità processuali non previste dalla legge. Pertanto, in materia di immigrazione, era stato affermato che “… il decreto del G.O.T. che dispone la proroga per un mese del trattenimento di uno straniero presso il locale centro di identificazione ed espulsione non violando il R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 43-bis (introdotto dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, art. 10) che disciplina le attività delegabili ai giudici onorari, non è affetto da nullità” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 727 del 14/01/2013, Rv. 625421). Circolari che, peraltro, nella specie non risultano neppure esser state violate, poiché il G.O.T. non ha deciso la controversia, ma si è limitato a svolgere un’udienza di trattazione, in quanto delegato al compimento di specifiche attività, secondo il modello dell’affiancamento del magistrato onorario al magistrato professionale. In virtù di tale modello organizzativo, al giudice onorario vengono indicati i compiti e le attività, anche di natura istruttoria, che gli sono delegati – sulla base di una indicazione centralizzata valida per tutta la sezione – ed il magistrato professionale vigila sul loro espletamento, mantenendo comunque la piena responsabilità del procedimento. La scelta a favore del modello di affiancamento per l’organizzazione della sezione che si occupa dei procedimenti relativi alla protezione internazionale è stata peraltro indicata anche dalle Delib. C.S.M. 15 marzo 2017 e Delib. 15 giugno 2017, nella seconda delle quali si legge: “successivamente all’operatività delle sezioni specializzate, a far data dal 17 agosto, tenuto conto di quanto previsto dalla Legge Delega 28 aprile 2016, n. 57, art. 2, comma 5, lett. b) per quanto attiene ai procedimenti trattati collegialmente, i magistrati onorari possono essere inseriti nell’ambito di una struttura di supporto funzionale ad una pronta decisione dei procedimenti”; è inoltre possibile “prevedere che, nell’ambito della struttura dell’ufficio del processo, il giudice onorario possa coadiuvare il giudice professionale a supporto del quale la struttura organizzativa è assegnata. In particolare, sotto la direzione e coordinamento del giudice professionale egli può compiere tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale, provvedendo tra l’altro allo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale e alla predisposizione delle minute dei provvedimenti”; ed infine, “al fine di assicurare la ragionevole durata del processo, il giudice professionale può, poi, delegare al giudice onorario inserito in tale struttura compiti e attività, anche a carattere istruttorio, ritenuta dal medesimo magistrato togato utile alla decisione dei procedimenti”. Ne’ si potrebbe configurare, nel caso di specie, una violazione dell’art. 276 c.p.c., poiché per orientamento consolidato di questa Corte, detta norma va interpretata nel senso che i giudici che deliberano la sentenza devono essere gli stessi dinanzi ai quali sono state precisate le conclusioni o si è tenuta l’udienza di discussione (Cass. Sez. 61, Ordinanza n. 4925 del 11/03/2015, Rv. 634690). Così si è ritenuto, ad esempio, che, in grado di appello, in base alla disciplina di cui all’art. 352 c.p.c., il collegio che delibera la decisione debba essere composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali è stata compiuta l’ultima attività processuale, e dunque la precisazione delle conclusioni o la discussione della causa, conseguendo la nullità della sentenza al mutamento della composizione del collegio medesimo dopo detto momento (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18268 del 12/08/2009, Rv. 609349; conf. Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 15660 del 23/07/2020, Rv. 658777), mentre non esiste alcun principio di immutabilità del collegio prima dell’inizio della fase della discussione (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 21667 del 20/09/2013, Rv. 627978), anche nel caso in cui la trattazione della causa si svolga in diverse udienze, essendo i mutamenti nella composizione del collegio consentiti fino all’udienza di discussione. Solo da questo momento, infatti, opera il principio che vieta la deliberazione della sentenza da parte di un collegio diversamente composto rispetto a quello che ha assistito alla discussione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 26820 del 20/12/2007, Rv. 600874; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11295 del 15/05/2009, Rv. 608480).

Nella specie, la sentenza è stata deliberata dal medesimo collegio innanzi al quale si è svolta l’adunanza camerale, ex artt. 737 c.p.c. e ss. e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, poiché il G.O.T. aveva soltanto celebrato una udienza, rimettendo poi gli atti, per la decisione, all’organo giudicante competente. Non vi è stata dunque alcuna violazione del principio di immodificabilità del collegio, posto che non si è svolta alcuna udienza di discussione davanti ad un giudice diverso da quello che poi ha svolto la fase deliberativa.

Peraltro, e per concludere, il ricorrente neppure indica quale concreto pregiudizio al suo diritto di difesa sia, eventualmente, derivato dall’asserito – e, in fatto, inesistente – vizio processuale.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 1 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

 

 

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