Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3426 del 03/02/2022
Cassazione civile sez. VI, 03/02/2022, (ud. 14/01/2022, dep. 03/02/2022), n.3426
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3054-2021 proposto da:
F.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE TIZIANO,
108, presso lo studio dell’avvocato SONIA ALLOCCA, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIORGIO ALLOCCA,
MICHELE ZANTEDESCHI;
– ricorrente –
contro
C.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.
CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati LORENZO PICOTTI,
GABRIELLA DE STROBEL;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1552/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,
depositata il 19/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 14/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA
TRICOMI.
Fatto
RITENUTO
che:
Nel giudizio di separazione personale tra F.D. e C.O., la Corte di appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto i contrapposti appelli di F. e C. ed ha confermato la decisione di primo grado che, per quanto interessa, aveva respinto le reciproche domande di addebito, aveva posto a carico di F. il pagamento dell’assegno di mantenimento in favore della moglie per l’importo di Euro 300,00 = mensili, oltre ISTAT; aveva posto a carico di F. il mantenimento diretto – sia ordinario che straordinario. – della figlia D., maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con il padre, senza prevedere alcun contributo a carico della madre, in ragione delle maggiori disponibilità economiche del padre.
F. ha proposto ricorso per cassazione con quattro mezzi, seguito da memoria; C. ha replicato con controricorso.
Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c..
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. Il ricorso è articolato nei seguenti quattro motivi:
I) Con il primo motivo, concernente la mancata dichiarazione di addebito nei confronti della moglie, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 143,151 e 2697 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c.; deduce anche l’erronea valutazione, interpretazione e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
II) Con il secondo motivo, concernente l’attribuzione dell’assegno di mantenimento in favore della moglie, il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 156 c.c..
III) Con il terzo motivo, concernente l’esclusione dell’onere della madre C. a contribuire al mantenimento della figlia, maggiorenne e non economicamente autosufficiente, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova e dell’art. 115 c.p.c., in tema di disponibilità delle prove e sostiene che la moglie non ha provato il raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte della figlia.
IV) Con il quarto motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 183,184 e 221 c.p.c., dolendosi della mancata ammissione dei mezzi istruttori – che tuttavia non illustra e non trascrive – volti a dimostrare la responsabilità della moglie nel causare la rottura del matrimonio.
2. Va dichiarata irricevibile la documentazione prodotta per la prima volta da F. con la memoria.
Il primo motivo è inammissibile.
In tema di addebito della separazione questa Corte ha precisato che “… grava sulla parte che richieda l’addebito l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.” (Cass. n. 16691 del 05/08/2020) e che “Il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sé sufficiente a giustificare l’addebito della separazione personale, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto.” (Cass. n. 648 del 15/01/2020; cfr. Cass. n. 25966 del 15/12/2016; Cass. n. 19328 del 29/09/2015; Cass. n. 10719 del 8/05/2013).
La Corte di appello, nell’escludere l’addebitabilità della separazione alla C., ha rettamente applicato quest’ultimo principio.
Invero, pur dando atto dell’abbandono della casa familiare da parte della moglie, ha posto in risalto una serie di circostanze rimaste incontestate, ritenute idonee dal giudice del gravame a dimostrare che l’interruzione della convivenza aveva in realtà rappresentato l’esito di una crisi familiare già in atto da tempo, in quanto attestanti l’intervenuto deterioramento dei rapporti tra i coniugi, in epoca anteriore al già menzionato allontanamento.
In quest’ottica, la sentenza impugnata ha evidenziato: il tentativo dei coniugi di procedere con un percorso assistito di mediazione e, se possibile, di riconciliazione coniugale avviato senza successo; l’invio della comunicazione al F. in data 19/1/2015, da parte del legale della moglie, per informarlo della decisione di quest’ultima di allontanarsi definitivamente dal domicilio coniugale; nonché l’esistenza di una forte e persistente tensione tra i coniugi e di un clima di progressiva reciproca disaffezione.
Ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 1, dette circostanze ben potevano essere utilizzate dalla Corte di merito per la formazione del proprio convincimento, in quanto, pur non avendo costituito oggetto di specifica dimostrazione da parte della moglie, tenuta a provare la giusta causa del proprio allontanamento dalla casa familiare, erano rimaste incontestate o non efficacemente contestate, con la conseguenza che la relativa prova doveva ritenersi ormai acquisita agli atti; segnatamente va osservato che il ricorrente assume di avere contestato nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, il contenuto della missiva del 19/12/2015, nella quale erano state esplicitate le ragioni dell’allontanamento, ma non di avere contestato la mancanza di ricezione e/o di prova della ricezione dello stesso di cui si duole in sede di legittimità (fol. 14 del ric.), questione che non risulta essere stata tempestivamente sottoposta al giudice di merito; inoltre, la contestazione circa la effettiva ricorrenza della circostanza che i coniugi avessero tentato un percorso di mediazione assistita può integrare al più un vizio revocatorio per erronea percezione di un fatto e non già un vizio motivazionale.
Va aggiunto che, nel censurare le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, il ricorrente non è in grado di contestare l’accertamento in merito alla esistenza di una forte e persistente tensione tra i coniugi e di un clima di progressiva reciproca disaffezione, posto che le stesse circostanze poste a sostegno della propria domanda danno conto di una situazione familiare già da tempo irrimediabilmente compromessa, come accertato dalla Corte di merito, senza considerare che, al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge, spetta al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonché di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 19547 del 4/08/2017; Cass. n. 19011 del 31/07/2017; Cass. n. 16056 del 2/08/2016). In tal modo, il ricorrente dimostra di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del difetto di motivazione, una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonché la coerenza logica delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie possono ancora essere fatte valere con il ricorso per cassazione, a seguito della modificazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass. n. 29404 del 7/12/2017; Cass. n. 19547 del 4/08/2017).
3. Il secondo motivo è inammissibile perché sollecita il riesame del merito, senza indicare alcun fatto decisivo di cui sia stato omesso l’esame e non si confronta integralmente con la statuizione in tema di assegno di mantenimento, connotata da approfondita disamina e confronto degli elementi reddituali e patrimoniali contrapposti.
4. Il terzo motivo è fondato perché l’obbligo di mantenimento grava su entrambi i genitori, anche per il figlio maggiorenne, quando questi non abbia raggiunto la autosufficienza economica (Cass. n. 4811/2018; Cass. n. 19299/2020) – come accertato dalla Corte di appello nel presente caso con statuizione non impugnata – anche se la quantificazione richiede la valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. n. 9698/2001; Cass. n. 32529/2018).
5. Il quarto motivo è inammissibile per la sua aspecificità, quanto alle richieste istruttorie che non sarebbero state accolte.
Invero “Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative” (Cass. 19985/2017) e ciò, nel caso in esame, non è accaduto.
6. In conclusione, inammissibili i motivi primo, secondo e quarto, va accolto il terzo motivo del ricorso; la sentenza impugnata va cassata nei limiti dell’accoglimento con rinvio alla Corte di appello di Venezia per il riesame e la statuizione anche sulle spese.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
P.Q.M.
– Inammissibili i motivi primo, secondo e quarto, accoglie il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022