Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34256 del 21/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 21/12/2019), n.34256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12984-2C19 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

ITALBOLT INOX SERVICE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

VINCENZO BELLINI 24, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA

TERRANOVA, che rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO

ALESSANDRO BRUNO;

– controricorrente –

e contro

ITALSEMPIONE SPEDIZIONI INTERNAZIONALI SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4507/2017 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 08/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2019 dal Consigliere Dott. CORRADINI GRAZIA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 1516/1/2017 la Commissione Tribunale Provinciale di Milano rigettava i ricorsi riuniti proposti da ITALBOLT INOX SERVICE Srl, quale importatore e da ITALSEMPIONE Spa, quale rappresentante indiretto contro tre avvisi di accertamento suppletivo e di rettifica n. (OMISSIS) RU Dogane Dazi del 9.6.2014, n. (OMISSIS) RU del 9.6.2014 e n. (OMISSIS) del 23.6.2014, relativi all’anno 2011 e contro i contestuali provvedimenti di irrogazione delle sanzioni n. (OMISSIS) RU, n. (OMISSIS) RU e n. (OMISSIS) RU emessi dall’Ufficio delle Dogane di Milano 2 a carico dell’importatore ITALBOLT INOX Service Srl e del rappresentante indiretto ITALSEMPIONE Spa in relazione a tre bollette di importazione definitiva di “elementi di fissaggio di acciaio inossidabile e loro parti”, effettuate in regime di rappresentanza diretta per la prima e di rappresentanza indiretta dallo spedizioniere e coobbligato in solido ITALSEMPIONE per la seconda e la terza, sottoposte a revisione dell’accertamento con verbali del 7.5.2014 e del 21.5.2015 con cui era stato contestato ai rispettivi responsabili, a seguito di controllo a posteriori dei certificati di origine e delle contestuali indagini condotte dall’OLAF sulla base di una missione presso le autorità doganale delle Filippine, che i beni oggetto della importazione erano stati realizzati a Taiwan e non nelle Filippine, come dichiarato all’atto della importazione, con conseguente applicazione del dazio antidumping del 23,6%, riferibile alle merci prodotte a Taiwan in luogo del dazio preferenziale applicato alle merci provenienti dalle Filippine.

La Commissione Tributaria Provinciale, in risposta ai motivi di ricorso della Srl Italbolt e della Spa Italsempione, sintetizzati nella sentenza impugnata in dieci punti (che riguardavano la omessa allegazione del rapporto finale OLAF a sostegno della rettifica, l’omessa notifica diretta del processo verbale, la carenza di motivazione in relazione all’applicazione del dazio antidumping, la mancanza di prove circa la provenienza di merci da Taiwan e la errata applicazione dell’art. 24 del codice doganale comunitario sulle regole di origine, la mancata applicazione del sistema di cooperazione amministrativa, la buona fede e la coerenza delle prove offerte, il legittimo affidamento creato dai controlli doganali, l’illegittima contestazione dell’IVA, la buona fede dell’importatore in materia di sanzioni, la inapplicabilità del T.U.L.D., art. 303, alla erronea indicazione d’origine, la violazione del principio di proporzionalità, la mancata applicazione del concorso di sanzioni, l’omessa applicazione delle sanzioni al di sotto del minimo D.Lgs. n. 472 del 1997 ex art. 7, ed infine la decadenza dall’azione di accertamento per decorrenza del termine triennale di cui all’art. 221 del CDC), rigettava i ricorsi riuniti (per evidente errore materiale la sentenza impugnata indica, a pag. 2, che la CTP avrebbe accolto il ricorso della Italbolt), ritenendo infondate le censure proposte (in parte comuni, ma per una parte residuale differenziate con riguardo alla posizione del rappresentante indiretto Italsempione) con specifica motivazione. In particolare rilevava che gli atti impugnati contenevano tutti gli elementi previsti dalla legge ed erano correttamente ed adeguatamente motivati, che non era intervenuta la decadenza in considerazione della data della consegna degli atti per la notifica, che la contestazione in merito all’IVA era tardiva, che non sussisteva alcun legittimo affidamento poichè i pregressi controlli non avevano efficacia vincolante, che anche i motivi relativi alla applicazione delle sanzioni erano infondate e che, infine, anche lo spedizioniere doganale, avendo agito come rappresentante indiretto della operazione, era identificabile quale autore della violazione.

Le società Italbolt ed Italsempione presentavano congiuntamente appello per motivi in parte comuni ed in parte specifici a ciascuno di essi, riproponendo altresì i motivi assorbiti, in particolare in ordine alla applicabilità dello sgravio ex art. 220 e 239 del codice doganale comunitario, mentre la Agenzia delle Dogane resisteva rilevando pure la inammissibilità dei motivi proposti per la prima volta in appello in relazione a ciascun appellante.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 4507/9/2017, depositata in data 8 novembre 2017, per quanto ancora interessa, accoglieva gli appelli ed, in riforma della sentenza impugnata, annullava tutti gli atti impositivi e di irrogazione delle sanzioni, rilevando che in effetti, per consolidata giurisprudenza ed in ossequio a quanto disposto dall’art. 9 del reg. CE 1073/1999, la documentazione proveniente dall’OLAF aveva piena efficacia probatoria delle condotte fraudolente ivi indicate e conseguentemente era legittimo il richiamo a detta documentazione operato per relationem nell’atto impugnato dalla società purchè venissero riportati i tratti essenziali dei documenti richiamati al fine di consentire l’esercizio del diritto di difesa, gravando, poi, sul soggetto passivo l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per avvalersi della agevolazione. Peraltro le rettifica degli accertamenti e gli atti di irrogazione delle sanzioni si basavano unicamente sulla descrizione delle operazioni di “triangolazione” che sarebbero state poste in essere in violazione della disciplina doganale mentre non risultava che i verbali di accertamento ed il rapporto finale dell’OLAF fossero stati allegati agli atti impugnati ovvero fossero stati posti a disposizione nella fase giurisdizionale, il che rendeva non condivisibile la sentenza di primo grado, poichè l’Ufficio non aveva fornito la prova di quanto posto a base della rettifica e della conseguenza irrogazione delle sanzioni ed in particolare del presunto viaggio delle merci da Taiwan alle Filippine; il che, riguardando il motivo accolto la radicale nullità degli accertamenti, assorbiva tutte le ulteriori questioni sollevate, inerenti l’accertamento medesimo. Inoltre non emergevano dagli atti elementi di responsabilità dello spedizioniere doganale in relazione alle violazioni contestate, a norma dell’art. 201 del codice doganale comunitario, non risultando alcun ruolo svolto dal rappresentante indiretto, tale da potere fare desumere una ragionevole conoscenza del dichiarante doganale circa la effettiva natura delle merci.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Dogane con atto notificato il 21 aprile 2019 affidato a tre motivi.

Resistono con controricorso le società Italbolt Inox Service Srl ed Italsempione Spa che hanno altresì riproposto, ai sensi dell’art. 396 c.p.c., otto motivi comuni, sei motivi relativi alla specifica posizione della società Italbolt e tre motivi riguardanti la società Italsempione che non erano stati esaminati dalla sentenza di appello perchè ritenuti assorbiti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la Agenzia delle Dogane ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che la rettifica dell’accertamento e dell’atto di irrogazione delle sanzioni fossero basati esclusivamente sulla descrizione delle operazioni di triangolazione, in assenza della allegazione agli atti impugnati e della messa a disposizione della società destinataria della rettifica dei verbali di accertamento dell’OLAF ed in particolare del rapporto OLAF, anche con riferimento alla fase giurisdizionale, con ciò confondendo i due piani – motivazionale e probatorio – dei provvedimenti impugnati. La stessa sentenza dava infatti atto della descrizione, nella motivazione degli atti impugnati, delle operazioni di triangolazione integranti una illegittima elusione dei dazi antidumping, attraverso il trasbordo della merce da Taiwan alla Filippine e da quest’ultimo Paese all’Italia senza che vi fosse stata alcuna operazione intermedia e delle ragioni di fatto e di diritto che avevano spinto l’Ufficio alla revisione delle bollette, tramite la esposizione di prospetti dai quali si evinceva, in particolare, che il peso lordo ed il numero dei colli all’origine e nel duplice passaggio non avevano consentito alcuna lavorazione o modifica intermedia e ciò integrava, con riguardo al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 bis, nella interpretazione della disposizione che ne aveva dato la Corte di Cassazione, la motivazione per relationem dell’atto impositivo e sanzionatorio, mediante riproduzione del contenuto essenziale degli atti delle indagini svolte dall’OLAF in collaborazione con le autorità delle Filippine, così come richiesto dalla norma indicata, mentre non rilevava, ai fini della correttezza della motivazione, la circostanza che i verbali ed il rapporto finale dell’OLAF non fossero stati allegati all’accertamento, ben potendo la Agenzia farne allegazione in sede contenziosa, a norma dell’art. 45 del Reg. CE n. 515/97, spettando invece al contribuente allegare e provare che una parte del contenuto omesso fosse necessaria ad integrare direttamente o indirettamente la motivazione dell’atto impositivo.

2. Con il secondo motivo di ricorso la Agenzia delle Dogane lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 9 del Reg. CE 1073/99, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la sentenza impugnata invertito e quindi disapplicato i criteri sanciti dall’art. 2697 c.c. e dall’art. 9 del reg. CE citato, ritenendo erroneamente la violazione dell’onere della prova, da parte dell’Ufficio delle Dogane, nella fase processuale, benchè fin dal primo grado l’Ufficio avesse allegato alle controdeduzioni in data 14.11.2014 ed in data 7.11.2014, sia nel giudizio contro ITALBOLT (allegati da 1 a 6), sia in quello contro ITALSEMPIONE (allegati da 1 a 3), due CD-Rom contenenti gli allegati provenienti dall’OLAF, le bollette doganali e la missiva delle Autorità Filippine (Bureau of Customs filippino) del 19.7.2013 con cui comunicava la revoca di tutti i certificati di origine emessi (pagine 4, 5, 6 e 16 del ricorso per cassazione) e la relazione finale OLAF fosse stata allegata anche ai PVC notificati ai contribuenti. Tali atti integravano la prova della pretesa fiscale, che era dotata di una pregnante efficacia, riconosciuta dagli artt. 9 e 10, comma 1, del Reg. UE n. 1073/1999 (trasfusi nel Reg. CE 11/9/2013 n. 883/2013), comportante inversione dell’onere della prova in ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo connesso all’origine della merce, dichiarata al momento della importazione, prova che poteva essere completata anche nel giudizio di appello, non esistendo limiti, nel giudizio tributario, alle integrazioni documentali in appello. Spettava quindi alla contribuente, una volta che l’Ufficio delle Dogane aveva dimostrato, tramite le indagini dell’OLAF, che le regole di origine erano state violate e che, di conseguenza, i certificati di origine previsti dalla normativa comunitaria erano irregolari, provare il contrario ed al giudice valutare le eventuali eccezioni formulate dalla contribuente, mentre tale regola probatoria era stata violata dalla sentenza impugnata.

3. Con il terzo motivo la Agenzia deduce, poi, sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 201 del Codice Doganale Comunitario, come interpretato ed applicato dalla Giurisprudenza dell’Unione e da quella nazionale, poichè, a norma del comma 3 della suddetta disposizione, in caso di rappresentanza indiretta era debitrice anche la persona per conto della quale era stata presentata la dichiarazione in dogana, prescindendo da elementi di intenzionalità che non erano richiesti per la verificazione del presupposto impositivo ancorato esclusivamente su dati oggettivi, rientrando la sussistenza di errori nella dichiarazione e la conseguente richiesta del dazio dovuto in seguito a revisione, come riconosciuto dal costante orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nei rischi della attività stessa del dichiarante contro i quali l’operatore economico poteva premunirsi nell’ambito dei rapporti negoziali, considerato che la Comunità Europea non era tenuta a subire le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini.

4. I primi due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, considerata la loro connessione, sono fondati.

4.1. La sentenza impugnata, sotto il primo profilo attinente alla correttezza della motivazione dell’avviso di rettifica, ha fatto erronea applicazione del principio giuridico per cui “L’avviso di accertamento in materia doganale, che si fondi su verbali ispettivi OLAF, i quali, pur riservati, possono essere utilizzati dall’Amministrazione nei procedimenti per inosservanza della regolamentazione doganale, è legittimamente motivato ove risponda alle prescrizioni del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5-bis, ossia riporti nei tratti essenziali, ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, il contenuto di quegli atti presupposti richiamati “per relationem”, anche se non allegati, non rientrando la produzione del rapporto finale OLAF tra i requisiti di validità della motivazione. Tale principio vale a maggior ragione per i documenti, cui faccia rinvio il rapporto OLAF (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10118 del 21/04/2017 Rv. 644042 – 01), poichè per l’accertamento in materia doganale opera lo “jus speciale” di cui al D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11 (v. Sez. 5, Sentenza n. 8399 del 05/04/2013 Rv. 626110 – 01) che appresta particolari garanzie, volte ad assicurare il diritto di difesa, diverse da quelle esistenti in materia di imposta sui redditi dalle quali consegue, ad esempio, che la mancata comunicazione al contribuente del rapporto OLAF anteriormente all’emissione di tale avviso non determina un concreto pregiudizio all’esercizio dei mezzi di tutela allo stesso accordati dall’ordinamento giuridico.

4.2. Si tratta di principi giuridici affermati dalla giurisprudenza ampiamente consolidata di questa Corte, la quale, proprio in tema di avviso di rettifica in materia doganale, pone la netta distinzione tra la questione dell’esistenza della motivazione dell’atto impositivo, requisito formale di validità, e quella concernente, invece, indicazione ed effettiva esistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, non prescritta quale elemento costitutivo della validità dell’atto impositivo, bensì disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria da applicarsi nello svolgimento dell’eventuale giudizio, introdotto dal contribuente con il ricorso in opposizione avverso il menzionato atto; cosicchè la produzione in giudizio del rapporto finale OLAF, ma anche dei relativi allegati deve ritenersi ricompresa tra gli oneri di deduzione probatoria e non tra i requisiti di validità della motivazione dell’atto impositivo (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8399 del 05/04/2013 Rv. 626109 – 01).

4.2. La circostanza che i verbali ed il report finale dell’OLAF non siano stati allegati all’atto impugnato non incide quindi sulla validità della motivazione dell’avviso di rettifica e del conseguente atto di irrogazione delle sanzioni e d’altronde è la stessa sentenza impugnata a riconoscere a pagina 2 che, ai fini della validità dell’accertamento, è sufficiente il richiamo alla documentazione proveniente dall’OLAF anche solo per relationem, purchè vengano riportati i tratti essenziali del documento richiamato, per cui non può poi asserire la mancanza di motivazione per la mancata allegazione di tali verbali all’accertamento, ciò attenendo al diverso problema della prova che deve essere fornita nel giudizio. La motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica ha infatti la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l'”an” ed il “quantum” della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa, sicchè il corrispondente obbligo deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e delle relative risultanze, con le specificazioni che si rendano in concreto necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando riservati a quest’ultima fase l’onere dell’Ufficio di fornire la prova della sussistenza in concreto della pretesa tributaria, attraverso la produzione dei documenti eventualmente occorrenti (v. per tutte Sez. 5, Sentenza n. 9810 del 07/05/2014 Rv. 630679 – 01).

4.3. Anche il secondo motivo concernente l’error in procedendo insito nella violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, è fondato.

4.4. Premesso che il vizio è stato correttamente posto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, senza che peraltro possa incidere sulla ammissibilità del ricorso la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere, come nel caso in esame, un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia, per cui è ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti la violazione di una norma processuale, ancorchè la censura sia prospettata, in ipotesi, sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anzichè sotto il profilo dell'”error in procedendo”, di cui al citato art. 360 c.p.c., n. 4, o viceversa (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 23381 del 06/10/2017 Rv. 645638 – 01), è principio consolidato quello per cui nel processo tributario regolato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in sede di giudizio ed anche in appello, le parti possono produrre qualsiasi documento, anche se ne avevano la disponibilità già in precedenza.

4.5. Considerato che il giudizio tributario si atteggia come tipico procedimento documentale, alla luce del fondamentale principio di specialità fatto salvo dall’art. 1 – in forza del quale nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria prevale quest’ultima -, non può infatti trasferirsi “tout court” l‘esegesi, in tema di produzione di documenti in appello, dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel senso che tale disposizione fissa sul piano generale il principio dell’inammissibilità dei “nuovi mezzi di prova” e, quindi, anche delle produzioni documentali. L’art. 58 del nuovo processo tributario, al contrario, oltre a consentire, al comma 1, al giudice d’appello di valutare la possibilità di disporre “nuove prove” (comma 1), fa espressamente salva, al comma 2, “la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti” senza alcun limite (v., per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3611 del 20/02/2006 Rv. 587923 – 01).

4.6. La Corte non ignora una risalente pronuncia secondo cui questa produzione nuova potrebbe avvenire solo se senza l’effetto di allargare l’oggetto del contendere rispetto a quello di primo grado, in quanto la produzione non potrebbe essere esercitata in contrasto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, il quale, escludendo l’introduzione di eccezioni e tematiche nuove, non consente l’ampliamento della materia del contendere neppure attraverso la produzione di nuovi documenti (Cass. 21 gennaio 2009 n. 1464); nondimeno, va tenuto conto anche della recente sentenza n. 199 del 2017 della Corte Costituzionale sulla legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, resa su ordinanza sollevata dalla CTR Campania. Il giudice remittente, tra l’altro, ha dubitato proprio della costituzionalità della facoltà di produrre per la prima volta in appello documenti già nella disponibilità della parte nel grado anteriore, per disparità di trattamento tra le parti del giudizio, ed in quanto impedirebbe artatamente alla controparte la proposizione di motivi aggiunti in primo grado. La Consulta ha ritenuto nel merito non fondata la censura di disparità di trattamento tra le parti del giudizio, non solo in quanto tale facoltà è riconosciuta ad entrambe le parti del giudizio, ma anche in quanto non sussiste alcuna violazione dell’art. 24 Cost. per la dedotta perdita di un grado di giudizio, in quanto è giurisprudenza pacifica di questa Corte che la garanzia del doppio grado non gode, di per sè, di copertura costituzionale (Corte Cost., sentenza n. 243 del 2014). Nè, ha ribadito la Consulta, esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità del processo tributario e di quello civile (tra le altre, ordinanze n. 316 del 2008, n. 303 del 2002, n. 330 e n. 329 del 2000, n. 8 del 1999). Tali argomentazioni ben si attagliano al caso di specie, in cui fin dal primo grado erano stati prodotti numerosi documenti, fra cui il pvc da cui risultava che le indagini OLAF avevano ritenuto “non attendibile il certificato di origine esibito all’atto dell’esportazione ed attestante l’origine preferenziale filippina delle merci importate” e la prova era stata poi completata in sede di appello attraverso i nuovi documenti a supporto di pretese e considerazioni già svolte, prodotti nel rispetto del principio di difesa e del contraddittorio (Cass. 2015 n. 3361; Cass. 2013 n. 26741), così da consentire al contribuente di replicare e contestare tempestivamente.

4.7. Ciò comporta che anche nel giudizio di appello, nel rispetto del termine finale di 20 giorni prima della data di trattazione del ricorso, per consentire alla controparte di replicare e contestare tempestivamente, le parti possono produrre qualsiasi documento, anche se ne avevano la disponibilità già in precedenza, per cui è nulla la decisione del giudice di appello che non ha preso in esame la documentazione prodotta in appello (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 17164 del 28/06/2018 Rv. 649401 – 01; N. 22776 del 2015 Rv. 637175 – 01: N. 5429 del 2018 Rv. 647276 – 01).

4.8. Le società Italbolt ed Italsempione, in sede di controricorso (pagg. 10, 11, 12 e 16), hanno riconosciuto che nel giudizio la Agenzia delle Dogane aveva prodotto le due Relazioni finali dell’OLAF (quella del 2013 in primo grado e quella del 2015 in appello), contenenti pure l’invito agli stati membri a recuperare l’evasione daziaria, sostenendo che tuttavia non avevano carattere decisivo ai fini della prova per mancanza dei requisiti di specificità che caratterizzano invece i processi verbali degli organi verificatori italiani; peraltro ciò conferma che i Report finali OLAF erano stati prodotti in giudizio dall’Ufficio e che il giudice di appello non li ha presi in esame, mentre ha erroneamente sostenuto che non erano stati messi a disposizione delle società destinatarie della rettifica e delle sanzioni, determinando le carenze probatorie che avevano portato all’annullamento degli atti impugnati. Nè si può trascurare che si trattava proprio, con particolare riferimento al rapporto finale dell’OLAF ed ai suoi allegati, della documentazione idonea, in base alla giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata, a fornire piena prova della pretesa del recupero, spettando in tal caso all’obbligato fornire la prova contrario al diritto all’agevolazione in virtù della asserita origine preferenziale della merce.

4.9. Di tale documentazione non si è fatta quindi carico la sentenza impugnata, la quale, pur sulla corretta premessa che la messa a disposizione del rapporto OLAF avrebbe giustificato la pretesa di recupero dei diritti di dogana, ha sostenuto che ciò non sarebbe avvenuto nel caso in esame, in violazione della regola procedurale sopra indicata, con conseguente nullità della sentenza di appello che tale regola ha violato.

5. E’ fondato anche il terzo motivo di ricorso per avere la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto che spettasse alla Agenzia delle Dogane offrire la specifica prova della conoscenza della erroneità dei dati dichiarati in capo allo spedizioniere doganale, fatto erronea applicazione dell’art. 201, comma 3, del codice doganale comunitario.

5.1. E’ consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, per cui la responsabilità del rappresentante indiretto dell’importatore, la quale concerne i rapporti interni fra ausiliario e preponente senza determinare, in rapporto ai terzi (compreso l’ufficio doganale), alcuna sostituzione, implica per il rappresentante l’obbligo di vigilare, con la diligenza qualificata da ragguagliare, ex art. 1176 c.c., comma 2, alla natura dell’attività esercitata, sull’esattezza delle informazioni fornite dall’esportatore allo Stato di esportazione, non essendo sufficiente ad integrare il requisito della buona fede l’inconsapevolezza dell’irregolare introduzione della merce (v., da ultimo, Cass. Sez. 5-, Ordinanza n. 13383 del 17/05/2019 Rv. 653868 – 01).

5.2. In tema di esenzione dai dazi doganali in ragione dell’origine preferenziale delle merci, grava infatti anche sul rappresentante indiretto dell’importatore l’obbligo di vigilare – con la diligenza qualificata da ragguagliare, ex art. 1176 c.c., comma 2, alla natura dell’attività esercitata sull’esattezza delle informazioni fornite dall’esportatore allo Stato di esportazione, al fine di evitare abusi, posto che l’Unione Europea non è tenuta a subire le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini, rientranti nel rischio dell’attività commerciale, e contro i quali gli operatori economici ben possono premunirsi nell’ambito dei loro rapporti negoziali (v., ancora, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 3739 del 08/02/2019 Rv. 652505 – 02; N. 24675 del 2011 Rv. 620611 – 01; N. 5199 del 2013 Rv. 625740 – 01; N. 1583 del 2012 Rv. 621388 – 01; inoltre: Corte giustizia 17 luglio 1997, causa C-97/95, Pascoal & Filhos; Cass. n. 19195 del 06/09/2006; Cass. n. 14509 del 30/05/2008; Cass. n. 1583 del 03/02/2012; Cass. n. 15758 del 19/09/2012).

5.3. Nel caso di specie è perciò irrilevante lo stato soggettivo di consapevolezza o meno della irregolarità della introduzione della merce in capo all’importatore o al suo rappresentante indiretto, stante l’obbligo di vigilare “sull’esattezza dell’informazione fornita alle autorità dello Stato di esportazione dall’esportatore, al fine di evitare abusi” (Cass. n. 24675 del 23/11/2011). L’affermazione dell’obbligo in questione si rispecchia nel p. 57 della sentenza della Corte di giustizia 17 luglio 1997, causa C-97/95, Pascoal & Filhos, richiamata da Cass. n. 24675 del 2011, cit., la quale espressamente paventa che, se la buona fede dell’importatore fosse capace di esentarlo comunque da responsabilità, “(…) l’importatore sarebbe indotto a non verificare più l’esattezza dell’informazione fornita alle autorità dello Stato di esportazione da parte dell’esportatore, nè la buonafede di quest’ultimo, il che darebbe luogo ad abusi”. Si noti che, sebbene la sentenza della Corte di giustizia si riferisca al regolamento CEE n. 1697/79 del Consiglio, del 24 luglio 1979, l’attualità del pericolo paventato dalla Corte di giustizia e dell’obbligo affermato da questa Corte trovano riscontro nell’art. 220, par. 2, lett. b), CDC, secondo cui “la buona fede del debitore può essere invocata qualora questi possa dimostrare che, per la durata delle operazioni commerciali in questione, ha agito con diligenza per assicurarsi che sono state rispettate tutte le condizioni per il trattamento preferenziale”. Si tratta, in questo caso, di una diligenza qualificata, da ragguagliare, giusta l’art. 1176 c.c., comma 2, più volte richiamato, alla “natura dell’attività esercitata”; in particolare, l’esercizio professionale dell’attività di rappresentante indiretto dell’importatore da parte della società contribuente comporta ineludibilmente che lo sforzo diligente ad essa richiesto si estenda al controllo esigibile dell’esattezza delle informazioni fornite dall’esportatore allo Stato di esportazione (Cass. n. 5199 del 01/03/2013; Cass. n. 6621 del 15/03/2013).

5.4. Nella fattispecie, inoltre, non può nemmeno configurarsi l’errore determinato da un comportamento “attivo” delle autorità competenti: l’Ufficio doganale italiano, così come l’Autorità doganale filippina, si sono limitate ad esaminare la regolarità formale dei documenti giustificativi del regime preferenziale, come loro specifico onere. Solo successivamente, a seguito della segnalazione dell’OLAF e una volta venuta a conoscenza della diversa origine della merce, l’Agenzia delle dogane ha legittimamente proceduto al recupero a posteriori (comportamento ritenuto legittimo da Corte di giustizia, 16 marzo 2017, 16 marzo 2017, p. 43).

5.5. Nel caso di specie l’Ufficio doganale italiano ha correttamente proceduto alla contabilizzazione a posteriori dei dazi in ragione del fatto che l’origine della merce, indicata dall’esportatore come filippina, è stata in un secondo momento accertata come di provenienza Taiwan sulla base della Missiva del Bureau of Customs filippino del 19.7.2013 (allegata alle controdeduzioni dell’Agenzia delle Dogane in primo grado), attestante la revoca di tutti i certificati di origine rilasciati ai fornitori della ricorrente, relativi alla provenienza dalle Filippine dei prodotti in questione; e poichè la falsa certificazione di origine della merce non è oggetto di contestazione (avendo la sentenza impugnata espressamente riconosciuto, a pagine 4 e 5, che gli elementi desumibili dai verbali delle indagini antifrode svolte dall’OLAF sono idonei a giustificare il recupero daziario, gravando sul soggetto passivo l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per avvalersi della agevolazione), con ciò l’Ufficio ha assolto all’onere probatorio sullo stesso gravante (cfr. Corte di giustizia 16 marzo 2017, cit., p. 47), restando a carico dell’importatore e, in ragione della sua qualità di rappresentante indiretto, della Spa Italsempione, la prova contraria della ricorrenza delle ulteriori condizioni per l’applicazione della esenzione prevista dall’art. 220, p. 2, lett. b), CDC (cfr. Cass. n. 7674 del 16/05/2012, in motivazione).

5.6. Tali principi giuridici consolidati sono stati violati dalla sentenza impugnata, il che comporta l’accoglimento anche del terzo motivo di ricorso.

6. Ne deriva che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, in altra composizione, per nuovo esame, che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.

7. Il giudice del rinvio procederà altresì all’esame dei motivi di appello rimasti assorbiti in appello dall’accoglimento della questione ritenuta preliminare dalla sentenza impugnata e non coperti da giudicato, di cui si sono fatte carico le società contribuenti in sede di controricorso (v. Cass. sez. 5 n. 23502 del 28.9.2018, rv. 650515 -01; Cass. n. 7988 del 2018 rv 648262-01).

8. Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per la decisione sugli altri iniziali motivi di ricorso, riproposti in appello, ritenuti assorbiti dal giudice di appello.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2019

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