Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34254 del 21/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 21/12/2019), n.34254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29550/17 proposto da:

SIRIO S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa in forza di procura speciale rilasciata in

calce al ricorso, anche disgiuntamente fra loro, dall’Avv. Attilio

Toppan e dall’Avv. Lorenza Dolfini, ed elettivamente domiciliata

presso lo studio di quest’ultima in Roma, Via Giuseppe Avezzana, n.

45.

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore

pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi

n. 12.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5018/2017, della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata il 1 dicembre 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 settembre 2019 dal Consigliere Grasso Gianluca.

Fatto

RITENUTO

che:

– la Sirio s.r.l. ha impugnato l’avviso di accertamento n. 35724/RU, emesso in data 12 dicembre 2014, per maggiori diritti doganali di complessivi Euro 178.039,60, oltre interessi maturati, pari a Euro 21.799,96 e avverso l’atto di irrogazione delle sanzioni n. 479/2014 per violazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 303, comma 1, parte seconda, pari a Euro 30.000,00. L’accertamento scaturiva dalla segnalazione del servizio antifrode della Direzione regionale della Lombardia di possibili frodi da parte delle società Praxair s.p.a. e Praxair Surface Technology s.r.l., con cui si ipotizzava che le aziende in questione potevano avere importato cavi contenenti in peso, almeno il 99,95% di molibdeno, con una sezione trasversale di dimensione massima superiore a 1,35 mm. da classificare alla Taric 8102.9600.10 in luogo della Taric dichiarata 8102.9600.90, che avrebbe permesso di sottrarsi alle misure antidumping. Secondo quanto ricostruito, la società svizzera Metaltec A.G. importava dalla Cina cavi di molibdeno che, sbarcati a Genova, venivano trasferiti in Svizzera tramite un transito con documenti T1. In Svizzera, la merce subiva delle lavorazioni che non ne modificavano però lo Stato di provenienza. Successivamente, i cavi di molibdeno venivano importati in Italia dalle società Trafilsteel s.r.l. e Sirio s.r.l. con rappresentanza indiretta e dichiarati come di origine preferenziale svizzera con codice Taric 8102.9600.90, ossia contenenti meno del 99,95% di molibdeno. Mediante un processo di trafilatura di precisione e ricondizionamento in bobine, con un incremento del valore aggiunto superiore al 50% rispetto al valore originario i cavi ottenevano un certificato Eur 1, attestante l’origine preferenziale svizzera. I cavi importati venivano quindi ceduti alla Praxair s.r.l. L’attività di polizia giudiziaria condotta dall’Ufficio delle dogane di Varese e dall’OLAF aveva accertato che i cavi ordinati dalla Trafilsteel s.r.l., oggi in liquidazione, avevano almeno una percentuale di molibdeno maggiore del 99,95% per cui rientravano nel codice Taric 8102.9600.10 e, pertanto, avrebbero dovuto essere assoggettati a dazi antidumping. Inoltre, da informazioni assunte dall’OLAF da parte di operatori del settore, le operazioni di trafilatura e ricondizionamento non sarebbero state tali da apportare il valore aggiunto dichiarato, potendosi al massimo ipotizzare un incremento del 5%;

– la Commissione tributaria provinciale di Varese ha accolto il ricorso;

– la Commissione tributaria regionale della Lombardia, in riforma della decisione impugnata, ha giudicato tempestiva l’azione dell’Ufficio, ritenendo che l’astratta qualificazione come reato dei fatti da cui avrebbe avuto origine l’obbligazione doganale risultasse idonea a interrompere la prescrizione triennale dell’azione dell’Agenzia ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, e ha quindi ritenuto “assorbiti” gli ulteriori motivi di impugnazione;

– la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi;

– l’Agenzia delle dogane dei monopoli resiste con controricorso;

– in prossimità dell’adunanza camerale, parte ricorrente ha depositato una memoria ex art. 380 bis1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si contesta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 158 e 276 c.p.c. in quanto deliberata da un collegio diverso da quello innanzi al quale si è svolta la discussione dell’appello (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Parte ricorrente evidenzia che la sentenza impugnata risulta deliberata, secondo quanto risulta dall’intestazione della medesima, dal collegio della Commissione tributaria regionale della Lombardia – Sezione 7, composto da Russo Giuseppe, Presidente e Relatore, Calà Rosario e Ocello Maria, la quale ultima, tuttavia, non aveva fatto parte del collegio che aveva assistito alla discussione in appello, svoltasi nell’udienza del 26 ottobre 2017. Come risulta, infatti, dal verbale di detta udienza, in sostituzione di Ocello Maria aveva partecipato alla discussione Bolognesi Mauro, donde la radicale nullità della sentenza ex artt. 158 e 276 c.p.c., potendo partecipare alla decisione in camera di consiglio soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione;

– il motivo è infondato;

– la nullità della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione, che è insanabile e rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 158 c.p.c. può esser dichiarata solo quando vi sia la prova della non partecipazione al collegio deliberante di un giudice che aveva invece assistito alla discussione della causa; tale prova non può evincersi dalla sola omissione, nella intestazione della sentenza, del nominativo del giudice non tenuto alla sottoscrizione, quando esso sia stato invece riportato nel verbale dell’udienza di discussione, sia perchè l’intestazione della sentenza non ha una sua autonoma efficacia probatoria, riproducendo i dati del verbale d’udienza, sia perchè da quest’ultimo, facente fede fino a querela di falso dei nomi dei giudici componenti il collegio e della riserva espressa degli stessi giudici a fine udienza di prendere la decisione in camera di consiglio, nasce la presunzione della deliberazione della sentenza da parte degli stessi giudici che hanno partecipato all’udienza collegiale, ulteriormente avvalorata dalla circostanza che, ai sensi dall’art. 276 c.p.c., tra i compiti del presidente del collegio vi è quello di controllare che i giudici presenti nella camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell’udienza di discussione. Ne consegue che l’omissione nella intestazione della sentenza del nome di un giudice, indicato, invece, nel predetto verbale, si presume determinata da errore materiale emendabile ai sensi degli artt. 287 e 288 c.p.c. (Cass. 5 febbraio 2016, n. 2318; Cass. 6 luglio 2010, n. 15879);

– nel caso di specie, come dedotto dalla stessa parte ricorrente, dal verbale di udienza, in sostituzione di Ocello Maria aveva partecipato alla discussione Bolognesi Mauro, per cui, in assenza di querela di falso, si deve presumere che la pronuncia sia stata deliberata dagli stessi giudici che hanno partecipato all’udienza collegiale, mentre costituisce un mero errore materiale l’indicazione nell’intestazione del giudice sostituito;

– con il secondo motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 221 Regolamento CEE n. 2913/1992 e del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, per aver la Commissione tributaria regionale ritenuto che la mera astratta qualificazione di un fatto generatore di obbligazioni doganali come reato produca l’effetto dilatorio del termine di prescrizione triennale per il recupero a posteriori del diritti doganali non versati, senza che sia necessario il verificarsi di ulteriori condizioni, ovverosia che una notitia criminis sia stata effettivamente inoltrata all’autorità giudiziaria entro il termine di tre anni dalla data della bolletta doganale (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

– il motivo è infondato;

– secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di tributi doganali, il decorso del termine triennale di prescrizione dell’azione di recupero dei dazi all’importazione, il cui mancato pagamento totale o parziale abbia causa da un reato, è prorogato sino ai tre anni successivi alla data d’irrevocabilità della decisione penale (a prescindere dall’esito di condanna o assoluzione), in base al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, comma 3, come modificato dalla L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 1, a condizione che, nel triennio decorrente dall’insorgenza dell’obbligazione doganale, l’Amministrazione emetta un atto nel quale venga formulata una notitia criminis, tale da individuare un fatto illecito, penalmente rilevante, e idoneo a incidere sul presupposto d’imposta (Cass. 3 dicembre 2015, n. 24674; Cass. 3 agosto 2012, n. 14016);

– dalla lettura del provvedimento impugnato emerge che, sulla base di quanto prospettato dall’ufficio, a seguito dell’accertamento compiuto dall’Agenzia delle dogane, era stata inoltrata una denuncia alla procura della Repubblica di Varese in data 21 dicembre 2012, entro tre anni dalle dichiarazioni doganali oggetto di revisione, per cui la successiva affermazione relativa al fatto materiale “qualificato astrattamente” come reato va riferita alla circostanza che non era stata accertata una effettiva responsabilità penale e non che mancasse la stessa comunicazione;

– difetta inoltre di specificità la doglianza formulata in riferimento alla contestazione della sussistenza della prova della comunicazione all’autorità giudiziaria, poichè dalla lettura del provvedimento non emerge che il fatto fosse controverso, nè la parte ricorrente ha indicato dove le relative censure sarebbero state formulate, rinviando del tutto genericamente all’esame della documentazione prodotta in giudizio dall’Agenzia e alle relative eccezioni della società contribuente. In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694);

– con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. non essendosi la Commissione tributaria regionale di Milano pronunciata su nessuno dei subordinati (rispetto alla preliminare eccezione di prescrizione) motivi di impugnazione degli atti impositivi proposti dalla Sirio in primo grado ed espressamente riproposti in appello (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4);

– il motivo è infondato;

– in tema di giudizio per cassazione, l’illogica dichiarazione di assorbimento di un motivo di appello si risolve in una omessa pronuncia e, come tale, può essere censurata in sede di legittimità solo ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 30 aprile 2019, n. 11459);

– nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’Agenzia delle dogane, dichiarando assorbiti gli altri motivi di ricorso e le difese prospettate dalle parti. Dalla lettura della pronuncia nella sua interezza emerge che, nel dichiarare l’assorbimento delle ulteriori questioni dedotte in giudizio, i giudici del gravame hanno partitamente preso in considerazione tutte le difese proposte nell’atto d’appello che – puntualmente – replicavano a tutte le eccezioni del contribuente, parimenti prese in considerazione. Di conseguenza, quando la Commissione tributaria regionale ha respinto il ricorso originario del contribuente, ha evidentemente scelto di ritenere fondate le difese dell’ufficio, avendole specificatamente prese in considerazione e delibandole positivamente. Non sussiste, pertanto, il vizio di omessa pronuncia così come prospettato in ricorso;

– il ricorso deve essere respinto;

– le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

– sussistono le condizioni per dare atto della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento di spese di lite che liquida in Euro 5.600,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2019

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