Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34228 del 20/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 20/12/2019), n.34228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1995 del ruolo generale dell’anno 2016

proposto da:

Jannone Arm s.r.l., in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura

speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Roberto Landolfi e

Sabrina Marotta, elettivamente domiciliata in Roma, via Ovidio, n.

20, presso lo studio Liccardo, Landolfi e Associati;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato,

presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, n. 5675/8/2015, depositata in data 11

giugno 2015;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 marzo 2019 dal

Consigliere Triscari Giancarlo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott. De Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso;

uditi per la ricorrente gli Avv.ti Sabrina Marotta e Francesca

Subrani.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dalla esposizione in fatto contenuto nella sentenza nonchè nel ricorso si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della contribuente, cinque avvisi di rettifica dell’accertamento relativo alle dichiarazioni di importazione del 2002, con i quali era stato richiesto il pagamento del dazio antidumping, avendo rilevato che, a seguito di indagini svolte dalla Missione comunitaria dell’OLAF, la merce importata, consistente in accessori filettati per tubi di ghisa malleabile, non aveva origine argentina, ma brasiliana; avverso i suddetti atti impositivi la società contribuente aveva proposto separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli che, previa riunione, li aveva accolti; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle dogane aveva proposto appello principale e la contribuente appello incidentale; la Commissione tributaria regionale della Campania aveva rigettato l’appello principale e accolto quello incidentale; avverso la suddetta pronuncia l’Agenzia delle dogane aveva proposto ricorso per cassazione e la contribuente ricorso incidentale; la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso principale dell’Agenzia delle dogane e rigettato quello incidentale, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione; a seguito della riassunzione del giudizio, la Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane, dichiarando legittimi gli avvisi di rettifica degli accertamenti.

In particolare, la Commissione tributaria regionale della Campania ha ritenuto che: dovevano seguirsi i limiti di giudizio segnati dalla pronuncia della Corte di cassazione, che aveva censurato la sentenza per la non corretta applicazione dei principi in materia di riparto dell’onere della prova, oltre che per avere ritenuto la nullità degli avvisi per violazione dell’obbligo di motivazione; era un dato incontrovertibile il fatto che la merce importata era brasiliana; tale circostanza trovava fondamento sulle univoche risultanze delle indagini svolte dalla Missione comunitaria in Argentina e su quanto contenuto nel rapporto OLAF, e, in generale, nella valutazione complessiva fatta, a livello unionale, circa la falsità della provenienza degli accessori per tubi di ghisa malleabile dall’Argentina, tanto che era stato emanato il Regolamento n. 1023/2003 del Consiglio del 13 giugno 2003, che aveva esteso il dazio antidumping anche alle importazioni della merce in esame spedita dall’Argentina, indipendentemente dal fatto che fosse stata dichiarata originaria di questo paese o meno; nessuna prova, poi, aveva fornito la contribuente in ordine alla sussistenza dell’errore attivo dell’autorità doganale del paese di esportazione e, quindi, della propria buona fede.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la società contribuente affidato a due motivi di censura.

L’Agenzia delle dogane si è costituita depositando controricorso.

La società contribuente ha altresì depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e/o falsa applicazione del Regolamento Ce n. 1023/2003 del Consiglio del 13 giugno 2003, per avere erroneamente ritenuto l’origine brasiliana della merce sulla base di quanto riportato nel suddetto regolamento.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2699 e 2700 c.c., in materia di onere di prova e degli artt. 2727 e 2729 c.c., in materia di prova per presunzioni, per non avere adeguatamente tenuto conto delle risultanze istruttorie e della documentazione prodotta, nonchè per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

3. I motivi, che possono essere esaminati unitamente, atteso che attengono alla medesima questione dell’accertamento della esatta individuazione dell’origine della merce, sono fondati.

La valutazione delle ragioni di censura in esame deve necessariamente procedere dall’esame dei limiti imposti al giudice del rinvio dalla pronuncia di questa Corte n. 24439/2013 che ha cassato con rinvio la decisione della Commissione tributaria regionale della Campania n. 89/52/2007.

Va osservato che la sentenza di questa Corte ha dettato i parametri di riferimento, cui era tenuto il giudice del rinvio, ai fini della verifica della provenienza della merce.

In particolare, la sentenza di questa Corte ha ritenuto di cassare con rinvio la sentenza del giudice di secondo grado per vizio di violazione di legge, per non avere correttamente applicato i principi di accertamento della prova presuntiva (di cui agli artt. 2727-2729 c.c.), avendo destituito tout court di rilevanza probatoria il complesso degli elementi indiziali evidenziati nel rapporto OLAF e negli altri documenti prodotti in giudizio, avendo apoditticamente e genericamente affermato la mancanza di “fatti od elementi noti” idonei a fondare un processo logico deduttivo dimostrativo della evasione del datio antidumping, senza fornire logica giustificazione a tale conclusione, omettendo di indicare eventuali contraddizioni tra i dati emersi dalle indagini ovvero eventuali incongruenze tra i fatti indiziari, tali, secondo il dato esperienziale, da escludere con certezza qualsiasi nesso di derivazione causale logica del fatto-ignorato dal fatto-presupposto, ovvero ancora evidenziando la eccezionalità ovvero la irregolarità probabilistica, secondo l’id quod plerumque accidit della sequenza “fatto noto – fatto ignorato” costitutiva della prova presuntiva.

Più specificamente, ha ritenuto non correttamente applicato il procedimento di derivazione logica inferenziale basandosi unicamente sul mero richiamo alla risposta comunicata all’OLAF dalla Camera degli esportatori della Repubblica Argentina – CERA con nota del 10.1.2015 ovvero sulla sentenza penale emessa dall’autorità giudiziaria argentina in data 9 ottobre 2002.

Ricostruiti, quindi, i profili che hanno indotto questa Corte a cassare la sentenza della Commissione tributaria regionale, nel giudizio di rinvio si sarebbe dovuto procedere ad un nuovo procedimento di verifica della potenzialità logico presuntiva degli elementi dedotti e allegati dalle parti, secondo una valutazione specifica e complessiva degli stessi, al fine di pesare la rispettiva valenza indiziante e procedere, secondo un procedimento di valutazione inferenziale, alla verifica della sussistenza della prova della mancata origine argentina della merce.

La pronuncia censurata ha ritenuto di potere ricavare la certezza probatoria dell’origine brasiliana della merce facendo riferimento agli esiti delle indagini svolte nella Missione comunitaria in Argentina ed al contenuto del rapporto OLAF, senza indagare se, rispetto alle considerazioni presuntive poste a base dei suddetti atti, i diversi elementi prodotti e posti all’attenzione del giudicante, specificamente indicati da questa Corte con la pronuncia di cassazione con rinvio, avessero una proprio idoneità probatoria, tale da contrastare la valenza di quelli fondanti la pretesa dell’amministrazione doganale.

Invero, la pronuncia oggetto di censura, sulla questione dell’origine della merce, ha ritenuto che l’origine brasiliana poteva dirsi accertata alla luce di tutte le granitiche ed univoche risultanze delle indagini svolte dalla Missione comunitaria in Argentina e del rapporto redatto dall’OLAF, ed ha, altresì, precisato che tale circostanza risultava rafforzata dalle indagini esperite dalla Comunità Europea che avevano dato luogo all’emanazione del Regolamento (Ce) n. 1023/2003 del Consiglio 13 giugno 2003, che aveva esteso le misure antidumping sulle importazioni di alcuni accessori per tubi di ghisa malleabili originari del Brasile anche allo stesso prodotto spedito dall’Argentina, a prescindere dal fatto che fosse dichiarato o meno originario dell’Argentina.

In particolare, ha dato rilievo a quanto contenuto nel paragrafo 23 del suddetto Regolamento, secondo cui Alla luce di quanto precede, si può ragionevolmente concludere che la stragrande maggioranza delle esportazioni di accessori di ghisa malleabile dal Brasile verso l’Argentina sono state semplicemente trasbordate attraverso quest’ultimo paese verso la Comunità.

Preme evidenziare, a tal proposito, che il riferimento compiuto dal giudice del gravame al Regolamento in esame sembra effettuato ai soli fini del rafforzamento della verifica della origine brasiliana della merce, in quanto si precisa che la ragione dell’intervento estensivo trovava fondamento sulla postulazione che le dichiarazioni di origine argentina fossero tutte false, e ponendo, in tal modo, un freno definitivo alle manovre elusive sino a quel momento perpretate da tutti gli importatori (vd. sent., pag. 7).

La sentenza in esame, quindi, non ha fatto riferimento al Regolamento ai fini della sua applicazione anche alla fattispecie, profilo che avrebbe dovuto comportare una verifica dell’applicabilità temporale dello stesso alla fattispecie in esame, ma ai soli fini del rafforzamento della valenza probatoria, anche se presuntiva, delle risultanze delle indagini OLAF.

Ma tale riferimento, di per sè, non può costituire profilo idoneo a consentire la mancata valutazione degli elementi probatori prospettati dalla contribuente.

In questo contesto, tuttavia, va tenuto conto del rispetto del principio di specificità dei motivi cui era tenuta la parte ricorrente nel presente giudizio, in particolare alla corretta indicazione degli elementi indizianti dalla stessa prospettati e non considerati dal giudice del rinvio.

Salvo quanto si preciserà in seguito, con i motivi di censura in esame parte ricorrente propone ragioni di contestazione agli specifici rilievi contenuti nelle risultanze ispettive, formulando argomentazioni che, tuttavia, difettano del requisito di specificità, non risultando in quale sede processuale o in quale atto specifico, prodotto nelle precedenti fasi di merito, gli elementi di prova erano stati allegati e prodotti e, quindi, posti all’attenzione del giudicante. In particolare, al fine di provare l’origine argentina della merce e, quindi, di superare la valenza probatoria delle risultanze delle indagini ispettive OLAF, parte ricorrente fa riferimento ai seguenti atti: sentenza di proscioglimento della Tupy Argentina nel procedimento penale; documenti e verbali delle attività investigative svolte nell’arco di due anni (2001/2002); verbale dell’11 marzo 2002 redatto dall’AFIP, Ministero dell’Economia, delle Opere e dei servizi Pubblici, Amministrazione Federale delle Entrate Pubbliche della Repubblica Argentina; bollette di importazione ed esportazione (profilo relativo alla ritenuta infondatezza della tesi dell’origine brasiliana della merce); contenuto del verbale del 14 agosto 2001 dei funzionari della Dogana argentina.

Inoltre, con riferimento alla questione della posizione tariffaria (Norma IRAM 2548) dei raccordi non filettati, fa riferimento a due dichiarazioni giurate, una resa dallo spedizioniere doganale, l’altra da un professionista, in ordine alla corretta linea di lettura della classificazione relativa ai prodotti industriali argentini, nonchè ad una lettere del 10 gennaio 2005 del Direttore del CERA all’OLAF.

Non risulta in alcun modo che gli elementi sopra indicati erano stati posti all’attenzione del giudice del gravame, essendosi parte ricorrente limitata a lamentare la mancata valutazione, senza indicazione, come invece richiesto da questa Corte (Cass. civ., 19 luglio 2018, n. 19307), del dato, testuale o extratestuale, da cui il fatto storico non considerato risulti esistente, nonchè il come ed il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti, nonchè la sua decisività.

Tuttavia, le considerazioni sopra esposte non possono riguardare la sentenza di proscioglimento della Tupy Argentina nel procedimento penale dinanzi all’autorità argentina (riprodotta peraltro nel ricorso) e la lettera, del 10 gennaio 2005 del Direttore del CERA all’OLAF, di cui la stessa pronuncia di questa Corte n. 24439/2013, che ha cassato con rinvio, fa espresso riferimento, sicchè delle stesse, quindi, il giudice del gravame avrebbe dovuto tenere conto al fine della corretta applicazione delle norme in materia di prova presuntiva.

Trovano, quindi, fondamento, nei limiti sopra precisati, le ragioni difensive di parte ricorrente in ordine al mancato esame degli elementi di prova posti all’attenzione del giudice del gravame, prospettate sotto il profilo della violazione di legge in ordine alla corretta applicazione della disciplina in materia di prova presuntiva, di cui all’art. 2729 c.c., nonchè dell’omessa valutazione delle risultanze istruttorie e della documentazione prodotta, e ricondotte alla ritenuta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Ne consegue l’accoglimento del ricorso, nei limiti sopra indicati, e la cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2019

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